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Ucraina: una strategia necessaria, puntare subito sul cessate il fuoco

02-12-2025 13:29 - Opinioni
GD - Roma, 2 dic. 25 - Il piano europeo dei 19 punti propone una soluzione diplomatica che rispetta l'integrità territoriale dell'Ucraina, rifiutando a monte l’ipotesi di cedere territori. La strategia è ottenere subito il cessate il fuoco, ancor prima di ogni ipotesi di mediazione internazionale sulle questioni controverse come lo status di Donbass e Crimea.
Ogni intesa, dunque, non potrà che partire da un presupposto: occorre un dialogo multilaterale – e ciò vale anche per gli USA - per la stabilizzazione della regione a lungo termine.
Dopo l’ultimatum di Trump sul “piano dei 28 punti”, l’Europa è riuscita con sorpresa a far considerare anche al G20 e alle Nazioni Unite il suo piano alternativo dei 19 punti, ovviamente contestato da Putin: gli fa comodo avere come interlocutore il più naif presidente 'MAGA', con cui condivide autoritarismo e logica neo-imperiale. Il presidente Zelensky, scosso anche dallo scandalo della corruzione, aveva lanciato un appello agli ucraini, ma che riguarda anche gli europei: «Siamo di fronte a una scelta molto dura: o la perdita della nostra dignità, oppure il rischio di perdere un alleato chiave». Il leader ucraino ha resistito sfidando l’ultima possibilità di discutere sull’accordo: «Esporrò le argomentazioni. Mi batterò affinché, tra tutti i punti, almeno due non vengano trascurati: la dignità e la libertà degli ucraini».
Gli europei hanno percepito le gravi conseguenze della postura unilaterale assunta da Trump: anche la sua assenza all’ultimo G20 ha rappresentato un segnale inequivocabile. I 19 punti del piano alternativo dell’Europa rimuovono così i punti critici del ‘piano russo-americano’: la cessione di Donbass e Crimea come fatto compiuto; la smilitarizzazione dell’Ucraina, con una riduzione unilaterale delle forze armate (mentre quelle dell’aggressore non sarebbero state toccate); una amnistia che avrebbe cancellato Bucha, Mariupol, e Izium senza nemmeno una giustizia riparativa al posto della Corte penale internazionale.
L’iniziativa europea - di cui va dato merito ai promotori della formula E3, Francia, Regno Unito e Germania - insiste sul fatto che l’Ucraina deve mantenere la sua integrità territoriale, non prevede amnistie per i crimini di guerra, esclude la smilitarizzazione unilaterale dell'Ucraina sottolineando il suo diritto a difendersi, e ribadisce il supporto alle forze di difesa territoriali ucraine, con un’ulteriore cooperazione tra Ucraina, NATO e Unione Europea, pur senza adesioni immediate alla NATO.
Inoltre il piano europeo prevede la ricostruzione dell'Ucraina con fondi provenienti da alleati internazionali - anche con gli asset russi, se non interviene il cessate il fuoco - ma con un controllo collegiale, respingendo così l’impostazione del piano Witkoff-Dmitriev, che affidava agli Stati Uniti il dominio dei programmi finanziari.
Efficaci sono anche altri punti di forza del piano che - se davvero ci fossero interlocutori ragionevoli in Russia - non avrebbero difficoltà ad essere riconosciuti come un’attenzione alle ‘ragioni profonde del conflitto’ rivendicate da Putin. Si parte dall’intenzione di non sviluppare capacità nucleari proprie dell’Ucraina, per giungere alla tutela delle minoranze e dei diritti umani, inclusi il riconoscimento della lingua russa e dei diritti delle popolazioni russofone nelle regioni oggi occupate.
In particolare si ribadisce l'inclusione delle minoranze nelle istituzioni democratiche ucraine, garantendo che non vi siano abusi o discriminazioni. Fondamentale è poi il capitolo su ‘risoluzione diplomatica e mediazione internazionale’: si rinviano infatti le questioni controverse a un ‘processo diplomatico di mediazione’ sotto l'egida delle Nazioni Unite, che potrebbe significare anche una apertura al negoziato per definire uno status speciale per Donbass e Crimea. Qui, in sostanza, se si volesse seguire una rigorosa impostazione sul piano del diritto internazionale ogni istanza della Federazione Russa potrebbe essere rinviata anche a un giudizio della Corte internazionale di Giustizia, se non ad una determinazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: d’altro canto la ridefinizione dei confini delle Nazioni richiede comunque un riconoscimento della comunità internazionale.
La questione del Donbass rimane infatti la più critica posto che allo stato rimangono inconciliabili le posizioni delle parti. A rigore, per il diritto internazionale anche l’occupazione della Crimea da parte della Russia non ha finora avuto alcun riconoscimento formale: lo status attuale rimane quella di una occupatio bellica che ha rilievo solo de facto (così Natalino Ronzitti, in Diritto internazionale dei conflitti armati) e non può determinarsi in un’annessione de iure nel territorio di uno Stato aggressore. A maggior ragione il ragionamento va seguito anche per il Donbass e gli altri territori occupati dopo il 2022.
Sul punto, vale ancora il Memorandum di Budapest del 1994, l’accordo sottoscritto tra Russia, USA, Regno Unito e Ucraina con cui Kiev ufficializzò la consegna a Mosca delle armi nucleari presenti sul territorio dopo lo scioglimento della Unione Sovietica ottenendo in cambio il riconoscimento dei confini (con inclusi Donbass e Crimea). Ma i giuristi più attenti richiamano anche il Trattato sui confini di Stato (Border Treaty) sottoscritto a Kiev il 28 gennaio 2003, proprio da Vladimir Putin e il presidente ucraino Leonid Kuchma: in 300 pagine di dichiarazioni e mappe emerge con chiarezza che Donbass e Crimea sono considerati a tutti gli effetti territori dell’ Ucraina. Da qui la necessità di una definizione della controversia sul piano esclusivamente politico e diplomatico: l’Ucraina e solo il popolo ucraino - che dovrebbe essere chiamato ad una consultazione referendaria, perché i confini dello Stato sono definiti nella loro Costituzione - potrebbero accettare la cessione della Crimea occupata dal 2014 in cambio però di garanzie di sicurezza per il restante territorio nazionale.
Si comprende così nel piano europeo il senso del punto 19, il capitolo su ‘stabilizzazione e promozione della pace regionale’: l’ipotesi è ancora un’apertura a riconsiderare l’architettura di sicurezza in Europa. Se davvero la Russia volesse riproporre il tema della sua sicurezza rispetto alla ‘espansione della NATO’ - a prescindere se tale può essere considerata la spontanea adesione di Nazioni che volevano liberarsi dall’ingerenza russa - invece che prolungare la guerra di aggressione all’Ucraina non ha che prospettare le sue istanze sui tavoli diplomatici.
L’importante è che si considerino anche le preoccupazioni delle popolazioni confinanti con la Russia (a cominciare dai Paesi Baltici e da quanti hanno già subito intrusioni aeree) e che si abbia chiaro il presupposto: occorre un dialogo multilaterale - vale anche per gli USA - per la stabilizzazione della regione dell'Europa Orientale nel lungo termine, e quindi un impegno comune e concreto nel promuovere la pace, cominciando subito con il cessate il fuoco.

Maurizio Delli Santi
membro dell’International Law Association


Fonte: Maurizio Delli Santi