04 Luglio 2025
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Tra negazionisti e riduzionisti degli eccidi slavo-comunisti

14-06-2025 17:25 - Opinioni
GD – Roma, 14 giu. 25 - Anche quest'anno in occasione della commemorazione del Giorno del Ricordo delle foibe e dell'esodo istriano-fiumano-dalmata si sono ripetute le affermazioni riduzioniste, o giustificazioniste della sinistra, senza dire di quelle ormai inveterate proposte dall'ANPI in nome di una partigianeria appartenente ormai solo alla Storia. Né sono mancati pennivendoli che hanno cercato di minimizzare gli eccidi slavo-comunisti compiuti con la frequente connivenza di Togliatti e compagni del PCI, riducendo a dismisura il numero delle vittime rispetto ai «ventimila italiani di Fiume, Istria e Dalmazia che attendono giustizia»; nonché continuando ad attribuire agli italiani crimini ben documentati commessi dai nazisti, dai partigiani comunisti e dagli Ustascia filonazisti croati nella ex Jugoslavia.
Ma non meno deprecabili sono stati negli ultimi tempi coloro che ricoprendo allora alte cariche istituzionali sottolineavano la necessita di approfondire le ricerche sui crimini asseritamente commessi dal fascismo nei territori slavi. E invece ben documentato e testimoniato che, diversamente dai partigiani di Tito, gli italiani non seviziarono, non condussero genocidi e pulizie etniche verso gli slavi. Ciononostante ci fu chi tra le massime cariche dello Stato continuò a ribadire «una durissima occupazione nazifascista di quelle terre».
Valgano per tutti gli interventi dell'allora presidente del Senato, Pietro Grasso, nel 2010 che si soffermò sulla necessita di «elaborare una severa riflessione sulle colpe del Fascismo, sui crimini e sulle sofferenze inflitte alla minoranza slovena e croata negli anni bui della dittatura».
Analogamente si espresse al Senato l'allora ministro Stefania Giannini intervenuta a nome del Governo la quale affermò che «già dal 1923 l'Italia volle imporre alla Jugoslavia» (Regno dei Servi, Croati e Sloveni fino al 1929) «un'umiliazione inaccettabile e dannosa con l'ostracismo all'insegnamento di lingua croata slovena».
Non meno tendenziose e vanno respinte le tesi dello storico Raul Pupo, definito da molti «il più autorevole studioso delle Foibe» che arrivò a sostenere che i crimini slavo-comunisti contro gli italiani nella Venezia Giulia, Istria e Dalmazia non fossero una preordinata "pulizia etnica", ma "politico-ideologica". Ma non basta perché il predetto sostiene altresì che nella valutazione storica complessiva di Tito il suo ruolo politico internazionale renderebbe la pulizia etnica perseguita nei confronti delle popolazioni di Venezia Giulia, Istria e Dalmazia una questione di poco conto.
Al riguardo, andrebbe innanzitutto evidenziato che le politiche di contrasto alla plurisecolare presenza italiana nelle suddette regioni iniziano già sotto l'Impero Asburgico, continuarono con il Regno di Jugoslavia e si concludono tragicamente con la pulizia etnica pianificata - sin dalla seconda metà degli anni ‘30 del secolo scorso - e attuata dal regime di Tito, soprattutto dopo la fine della seconda guerra mondiale!
In effetti, l'operazione di de-italianizzazione di quelle terre iniziò già nel novembre 1866 con l'editto imperiale di Francesco Giuseppe che ordinava di procedere «in modo deciso contro l'influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e occupando opportunamente i posti degli impiegati pubblici, giudiziari, dei maestri come pure l'influenza della stampa. Si opere nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori, a seconda delle circostanze, con energia e senza riguardo alcuno».
Cosi fu fatto! Nelle regioni adriatiche degli Asburgo tali politiche di contrasto determinarono il primo esodo di circa trentamila connazionali (tra i quali Niccolò Tommaseo), mentre si registravano contestualmente rilevanti immigrazioni forzose di slavi sin quasi alla vigilia della Grande Guerra.
Contrariamente alla vulgata nostrana, dura a morire, che asserisce l'aver gli italiani di quelle zone perseguitato gli slavi, i fatti dimostrano il contrario. È ben documentata la serie di misfatti compiuti, dopo il 1866 e fino al 1915, da sloveni croati e serbi contro gli italiani. Limitiamoci a citare, nella sola Trieste, l'attacco degli sloveni il 13 luglio 1868 al Caffè dei portici di Chiozza al grido di «fora i taliani, fora i ebrei»; gli universitari colpiti nel 1901, 1903, 1907 nei moti per I'Università italiana della città di San Giusto, nonché le devastazioni delle sedi del quotidiano “II Piccolo", della Lega Nazionale, della Società ginnastica triestina, del monumento a Giuseppe Verdi.
Per arrivare al proclama sloveno - sul quotidiano Edinost, organo ufficiale di quella sparuta minoranza slava di Trieste e dintorni dominio, il quale recitava: «la nostra lotta è per il dominio, non cesseremo mai finché non avremo ai nostri piedi, ridotti in polvere l'italianità di Trieste... italiani noi vi annienteremo».
Il secondo esodo, anch'esso precedente al fascismo, di circa ventimila persone, fu susseguente al Trattato di Rapallo tra il Regno d'Italia e il neo-costituito Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. In tale documento si stabiliva che la protezione della minoranza italiana sarebbe stata assicurata dal governo jugoslavo: l'esistenza stessa dell'esodo in parola denota che tale protezione non ebbe luogo: alla fine degli anni ‘30, un esponente serbo della monarchia jugoslava pianificò la pulizia etnica di tutte le minoranze nazionali nel Regno dei Karadjordjevic.
Costui Vasa Cubrilovic divenne stretto collaboratore di Tito il quale la attuò nei confronti di quella italiana nel novembre 1943 iniziando un genocidio terminato nel 1947, con la sopra citata collaborazione e connivenza criminale di Togliatti e dell'intero PCI. I massacri vennero a lungo da noi ignorati, com'é ben noto. Dopo l'approvazione della legge del Giorno del Ricordo, é stato difficile ai più negare i crimini commessi dalle orde partigiane di Tito a Trieste, Istria, Dalmazia contro nostri connazionali inermi, soprattutto, é bene ribadirlo, a guerra finita!
A fronte di tale sviluppo, non é mancato chi si é impegnato a ridimensionare, a giustificare annacquando I'enorme dimensione tali crimini, arrivando a sostenere - come ho già ricordato - che si trattò non di preordinata “pulizia etnica", ma “politico-ideologica”.
In proposito torno opportuno ricordare come nella "solennità civile" del giorno del ricordo nel febbraio 2019 al Quirinale, il presidente Mattarella abbia sottolineato che «il confine orientale dell'Italia ... divenne su iniziativa dei comunisti jugoslavi un teatro di violenze, uccisioni, rappresaglie, vendette contro gli italiani lì da tempo residenti». Il Capo dello Stato precisò anche non essersi trattato «come qualche storico negazionista o riduzionista ha voluto insinuare, di una ritorsione contro i torti del fascismo».
Peccato che successivamente, nel contesto di un suo incontro a Trieste con l'omologo sloveno, abbia concesso un'onorificenza al noto negazionista della minoranza slovena della città di San Giusto, Boris Pahor. II quale nella successiva conferenza stampa ha affermato che «le foibe sono una balla!».
Nel proprio intervento del 10 febbraio ultimo scorso, il presidente Mattarella ha tra I'altro ribadito che «nelle zone del confine orientale» le violenze titine avvennero «dopo l'oppressione fascista, responsabile di una politica duramente segregazionista nei confronti delle popolazioni slave»: ma l'affermazione induce a ricordare che nel 1922 venne promulgata I'italianizzazione dei toponimi sloveni e croati riportando quelli italici esistenti prima del sopracitato provvedimento Asburgico che aveva deliberato l'operazione inversa.
Né poi si può sottacere come lasci perplessi la sua precedente l'affermazione secondo la quale «alla durissima occupazione nazifascista di queste terre, segui la violenza del comunismo titino che scatenò sugli italiani inermi la rappresaglia dal 1943 al 1945».
Perché é ben noto e documentato che i crimini titini furono compiuti principalmente - come già ricordato - a guerra finita, tra il 1945 e il 1947.
In questo contesto come, ahimè, non ripensare alla massima onorificenza conferita dall'allora presidente Saragat all'infoibatore di italiani Josip Broz Tito. Il successivo rifiuto omertoso di ritirare la vergognosa concessione al massacratore di italiani costituisce uno degli atti più disonoranti della dignità nazionale, commesso da un Presidente della Repubblica e mantenuta dai suoi successori a tutt'oggi.
Ed in proposito ritorna in mente quanto dichiarava un osservatore dalmata nel lontano 1905: «non é possibile trovare tutori più eloquenti e tenaci dei diritti affermati dagli stranieri contro Italia: è da popoli negletti e stolti dubitare senz'altro del proprio diritto, esaltando l'altrui».

Amb. Gianfranco Giorgolo a.r.


Fonte: Gianfranco Giorgolo
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