01 Maggio 2025
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Si fa presto a dire accoglienza, non scordare la dura realtà

22-04-2025 09:14 - Opinioni
GD - Roma, 22 apr. 25 - La narrativa e la realtà sono le facce complesse della intricata questione dell'accoglienza. Può capitare, a volte, che la narrativa comunemente diffusa infatti si discosti molto dalla realtà che, purtroppo, è sempre molto più dura di quello che si racconta. Molte personalità politiche, religiose e opinion leader difendono il diritto dei migranti e il dovere dell'accoglienza, che dovrebbe essere garantita a coloro che decidono di abbandonare il loro paese per giungere in Europa. Si parla di persone in fuga dalle guerre e dalla miseria che hanno diritto ad ambire ad una vita migliore.
Ma è veramente così? In realtà non è così e sarebbe interessante guardare con occhi scevri di ideologia, la realtà per provare ad aiutare veramente coloro che molto spesso finiscono nella rete di organizzazioni criminali senza scrupoli, che depredano queste persone di tutti i loro beni e mettono a rischio la loro vita. Questi criminali usando improbabili narrazioni che vengono diffuse soprattutto nelle aree rurali dei paesi da cui originano le migrazioni, sfruttano l'ingenuità e la creduloneria di persone per poterle truffare.
Ad esempio, in Pakistan (dove non ci sono guerre) la narrativa dei trafficanti di esseri umani racconta che in Italia, dove la natalità è bassa, vengono “regalati terreni” in Toscana ai cittadini Pakistani che decidono di trasferirsi in Italia. Vengono utilizzati persino dei video delle campagne toscane e vengono narrate le bellezze del territorio e la produttività della terra. Si tratta di video pubblicitari in inglese che promuovono realmente la Toscana, ma non certamente perché in Toscana si regalano le terre a chi ne faccia domanda.
A coloro che dovessero mostrare interesse o semplice curiosità vengono elencati tutti i diritti di cui potranno godere una volta giunti in Italia, come ad esempio un salario mensile (senza specificare da parte di chi questo salario mensile viene erogato), enfatizzando che questo salario è equivalente al salario di un intero anno in Pakistan. Affermano inoltre che in Italia potranno beneficiare di cure mediche e trasporti gratuiti.
Queste persone che vivono in aree rurali, isolate dal resto del mondo, non hanno modo di verificare cosa viene loro raccontato. Quindi decidono di vendere le due bestie e la casa che possiedono per raggranellare i soldi necessari per dare la “caparra” al sensale che li ha messi in contatto con l'associazione che li porterà in Italia.
Nell'ottanta per cento dei casi, queste persone scompaiono dopo il primo acconto. Nel venti per cento dei casi, ove si ha evidenza di buone capacità economiche, la trattativa prosegue e le persone vengono portate in aereo in Libia e vengono abbandonate lì.
A questo punto entra la seconda fase della truffa: vengono richiesti ulteriori pagamenti per poter proseguire il viaggio verso l'Italia. Coloro che hanno capacità economica, possono partire su uno dei barconi stracolmi che vediamo da oltre dieci anni a questa parte. Arrivati in Italia, scopriranno definitivamente di essere stati truffati e depredati dei loro averi.
Questa è la realtà testimoniata da gente che ha vissuto questa terribile esperienza.
Per altro non è neanche una novità assoluta quella che stiamo vivendo negli ultimi decenni in Italia. Questa modalità di adescamento di persone per depredarle dei loro averi esiste da oltre 30 anni. È iniziata alla fine degli anni ‘80 proprio in Pakistan, India, Bangladesh e Sri Lanka quando si offrivano permessi di soggiorno per lavorare negli Emirati Arabi Uniti.
Il racconto di un autista arrivato a Dubai nel 2000 è illuminante. Nel suo Paese, il Pakistan, quest'uomo aveva una sua impresa con cui faceva piccoli lavori edili. Aveva una casa e viveva una vita dignitosa. Poi qualcuno gli ha promesso di poter diventare ricco in un solo anno e quindi investire nella sua attività in Pakistan per poter creare un futuro migliore per la sua famiglia. Questo giovane, padre di due piccoli bambini, accetta l'offerta. Vende la sua impresa, mette da parte i soldi necessari per comprare il visto e parte per Dubai. Giunto a Dubai scopre che il visto è falso, viene arrestato e deve essere rimpatriato. A questo punto scatta la seconda fase della truffa: gli viene offerta la possibilità di lavorare per evitare l'onta di dover rientrare a casa povero e senza nulla e di poter mantenere la sua famiglia lavorando a Dubai. Diventa quindi lo “schiavo” di un suo connazionale dove è costretto a fare qualsiasi lavoro: cura il giardino, pulisce casa e guida l'auto. Viene trattato poco più che come un animale domestico, dorme in uno sgabuzzino, mangia in una ciotola gli avanzi e lavora 16 ore al giorno. Solo dopo 15 anni riesce a “pagare il suo debito”.
Questa persona ha perso la sua attività, ha perso la famiglia e si ritrova senza radici a vivere in un appartamento condiviso con due dozzine di suoi connazionali che hanno subito la stessa sorte.
Forse se noi europei e noi italiani in particolare, avessimo cercato di conoscere le realtà verificatesi in altre aree del mondo, forse avremmo potuto evitare questi errori e orrori di cui invece siamo diventati complici involontari.
Perché è facile dire “accoglienza”, ma se poi non si mette in piedi una reale rete di gestione dei nuovi arrivati, questi verranno gestiti dai loro connazionali con le stesse modalità, o peggiori, di quelle in uso a casa loro.
Questo succede oggi anche in Italia: storie di sfruttamento molto simili a quella narrata dal lavoratore pachistano. Storie che rimangono nella maggior parte dei casi sconosciute e se sono emerse, è solo perché hanno coinvolto i familiari di un noto parlamentare.

Ciro Maddaloni
Esperto di eGovernment internazionale


Fonte: Ciro Maddaloni
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