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Sempre più necessario comprendere il rischio geopolitico odierno

05-12-2025 19:31 - Opinioni
GD – Roma, 5 dic. 25 - Guerre, dazi, sanzioni, crisi delle rotte commerciali: il contesto internazionale è tornato a essere instabile come non accadeva da molto tempo. In questo scenario volatile, capire e anticipare il rischio geopolitico non è più un ambito esclusivo per specialisti, ma una condizione di sopravvivenza per Stati, imprese e comunità. Eppure, proprio mentre la geopolitica entra nella vita quotidiana (dai prezzi dell’energia alle forniture di materie prime) molti leader continuano a considerarla come un fattore marginale, troppo complesso per entrare davvero nelle decisioni di ogni giorno.
Questo approccio è un errore strategico che si paga caro. La fase storica che stiamo vivendo richiede una trasformazione profonda del modo in cui leggiamo le dinamiche globali. Non basta più essere bravi e competenti nel proprio settore: serve la capacità di interpretare un contesto fluido e interconnesso, in cui ogni scelta può avere effetti politici, economici e sociali che emergono nel tempo. Questa “competenza geopolitica” è ancora rara ai vertici, ma è ormai una delle chiavi per garantire la tenuta di qualsiasi organizzazione nel medio e lungo periodo.
Il paradosso è evidente: tutti parlano di rischio Paese, shock geopolitici, “tempeste perfette”, ma quando si tratta di allocare risorse si continua a privilegiare i rischi finanziari, operativi o logistici. Il rischio geopolitico resta sullo sfondo, come un rumore lontano. Proprio mentre instabilità normative, conflitti commerciali, sanzioni o cambi di governo possono mettere in difficoltà anche gli attori più solidi.
Di fronte a questa incertezza, molti decisori si rifugiano in un approccio che potremmo definire “micro”. Interventi rapidi, contingenti, pensati per tamponare l’emergenza di turno. Funzionano nell’immediato, ma non costruiscono resilienza. È come riparare ogni volta una perdita nel tetto senza chiedersi se la struttura dell’edificio reggerà alla prossima tempesta.
La fase attuale richiede invece uno sguardo “telescopico”, una visione di insieme. La capacità di guardare oltre l’orizzonte del trimestre, immaginare scenari pluriennali, valutare gli effetti di decisioni prese oggi su un contesto internazionale in rapido mutamento. I conflitti armati, le tensioni tra grandi potenze, le incertezze sulle catene di approvvigionamento mostrano quanto sia urgente questo cambio di paradigma: non si tratta di indovinare il futuro, ma di prepararsi a una gamma di possibili shock.
Perché allora il rischio geopolitico è ancora così sottovalutato? Le ragioni, spiegano molti studi accademici, sono almeno due. La prima è cognitiva ed emotiva. I leader, come tutti, sono soggetti a bias: procrastinazione, ancoraggio, pigrizia mentale, pregiudizi ideologici. Sono meccanismi che proteggono dall’ansia dell’incertezza, ma riducono la capacità razionale di vedere i segnali premonitori, anche quando sono già evidenti. Si preferisce credere che “alla fine andrà come sempre” almeno fino a quando l’imprevisto diventa crisi conclamata.
La seconda ragione riguarda la natura stessa del rischio geopolitico. A differenza di quello finanziario, che si misura con indicatori puntuali, è più difficile da quantificare e incasellare in modelli statistici. Appare vago, ambiguo, estraneo alle categorie abituali della gestione aziendale o amministrativa. Finisce così per essere trattato come un tema per analisti o diplomatici, almeno finché non diventa una realtà tangibile, spesso ingestibile, per gli operatori. Più un rischio appare lontano, più tendiamo a sottovalutarne l’impatto potenziale.
Superare queste vulnerabilità cognitive richiede un cambio culturale. L’obiettivo non è prevedere ogni evento inatteso, ma integrare in modo sistematico l’analisi geopolitica nei processi decisionali. Significa raccogliere meglio i dati, ascoltare più voci, incrociare le informazioni provenienti da finanza, relazioni istituzionali, comunicazione, strategia. È da questo dialogo continuo che possono nascere letture più accurate e meno ideologiche del contesto attuale.
Naturalmente, l’incertezza non si elimina. Possiamo però imparare a conviverci in modo più intelligente. Immaginare scenari multipli, riconoscere per tempo i “segnali deboli”, ragionare per sistemi connessi, ovvero per effetti a catena, sono pratiche che aiutano a mitigare l’impatto degli shock e, in molti casi, ad anticiparli. In altri termini, a trasformare il rischio geopolitico da variabile opaca a elemento gestibile perché comprensibile.
Sviluppare questa consapevolezza non è solo un vantaggio competitivo: è una necessità. In un mondo in cui una crisi regionale può tradursi in eventi disruptive, ignorare il rischio geopolitico significa esporsi alla probabile tempesta. Imparare a riconoscerlo, leggerlo e interpretarlo in anticipo invece è il primo passo per costruire una resilienza autentica e duratura.

Avv. Lorenzo Coronati
esperto di rischi politici, governance aziendale, area Africa Occidentale.


Fonte: Lorenzo Coronati