Quirinale: tradizionale cerimonia scambio auguri con Corpo Diplomatico
13-12-2024 17:57 - Ambasciate
GD - Roma, 13 dic. 24 - Nel pomeriggio al Palazzo del Quirinale, si è svolta la tradizionale cerimonia dello scambio degli auguri di fine anno tra il Corpo Diplomatico e il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Dopo l'indirizzo di saluto augurale di mons. Petar Rajič, decano del Corpo Diplomatico e Nunzio Apostolico, il presidente Mattarella ha rivolto un discorso ai Capi delle Missioni Diplomatiche accreditati presso la Repubblica Italiana.
Alla cerimonia, nel Salone dei Corazzieri, hanno partecipato i sottosegretari del ministero degli Esteri, Giorgio Silli e Maria Tripodi, e il presidente della Commissione permanente per le politiche dell'Unione Europea del Senato della Repubblica, amb. Giuliomaria Terzi di Sant'Agata.
Ricambio con riconoscenza.
È con grande piacere che torno a incontrarvi al Quirinale per il saluto di fine anno, un momento in cui, oltre allo scambio di auguri per le imminenti festività, è tradizione tracciare un bilancio dell'anno che sta per concludersi.
Nonostante gli auspici di maggiore cooperazione e solidarietà con cui lo abbiamo affrontato, l'anno che volge al termine ha visto allargarsi il novero delle crisi su scala globale.
Rilevazioni recenti fanno registrare ben 56 conflitti in atto - il numero più alto dal tempo della Seconda Guerra mondiale - in un contesto di deterioramento generalizzato delle condizioni di sicurezza.
I fronti di guerra si moltiplicano rapidamente e la comunità internazionale non riesce a contrastarli.
Non si tratta di una impotenza oggettiva. Come sovente accade, è il risultato di scelte, più o meno consapevoli.
Il mondo attraversa un grave momento di crisi, e desidero esprimere la solidarietà della Repubblica Italiana ai popoli gravati da guerre e conflitti.
La puntuale elencazione delle aree di crisi, i tentativi razionali di analisi delle motivazioni che hanno condotto a questa condizione, non possono nascondere un interrogativo.
In che modo intendiamo essere presenti, come Stati, nella comunità internazionale? È dalla risposta a questa semplice domanda che deriva l'atteggiamento con cui rivolgerci ai nostri vicini, ai nostri partner, ai Paesi amici e a quelli visti come competitori.
La soluzione consiste in prove di forza ai confini? La vita dei nostri popoli è destinata a migliorare con la guerra? Siamo convinti che i rapporti con gli altri Paesi si misurino sulla capacità di sottrarre loro risorse, speranza di crescita, con il pretesto di attribuirle ai propri concittadini? Che valga ancora, nel terzo millennio, il principio della invasione di altri Stati, della manipolazione della loro sovranità, dell'alterazione della verità? A che scopo? Per quali presunti benefici?
Quale ruolo riveste la comunità internazionale che, nel corso del tempo, si è data strutture, se non sa riconoscere le crisi che si manifestano? Se, anziché affrontare i problemi - esprimendo i valori che l'hanno sollecitata a unirsi - reagisce per eluderli, assumendo atteggiamenti inadeguati, se non di chiusura, di estraneità ai destini dei popoli?
Il diritto umanitario internazionale non contempla sospensioni o congelamenti. Anche sotto questo profilo, il pensiero si rivolge al dramma dell'Ucraina, dove sono stati ormai superati i mille giorni di conflitto.
Il sostegno dell'Italia per Kyiv, fermo e determinato, ha l'obiettivo di una pace giusta, fondata sui principi e sui valori della Carta delle Nazioni Unite.
Un obiettivo che fa da sfondo all'impegno italiano di ospitare a Roma, nel mese di luglio del prossimo anno, la terza edizione della Conferenza Internazionale sulla Ricostruzione dell'Ucraina.
Il pensiero va al Medio Oriente, dove i disumani attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre dell'anno passato hanno provocato un profondo trauma al popolo israeliano e innescato una spirale di inaudita violenza e una crisi umanitaria senza precedenti a Gaza, estendendo il conflitto al Libano, incendiando l'intera area.
Insieme ai nostri partner continuiamo anzitutto a operare per il cessate il fuoco, per un processo costruttivo che, con il concorso della comunità internazionale, porti alla soluzione a due Stati, giusta, necessaria, sostenibile e in linea con il diritto internazionale, unica prospettiva di pace stabile. Prospettiva unica, appunto, e urgente se si vuole scongiurare che il sedimento di ostilità e di risentimenti che si è accumulato provochi rapidi e frequenti ritorni di sempre più gravi violenze.
Non è una formula di rito, non è una posizione vana.
Fu l'Assemblea delle Nazioni Unite a istituire un focolare per il popolo ebraico dopo la Seconda guerra mondiale.
Costruire un futuro per il Medio Oriente in cui Israele e Palestina coesistano in pace e sicurezza è un compito che, se sarà sviluppato da coloro che oggi nascono e crescono tra le macerie della guerra, tocca a noi saper far decollare.
In Siria, si è registrato un nuovo scenario di scontro, con un cambio di regime. È indispensabile che si dia vita rapidamente a una nuova statualità, che in queste fasi concitate si riattivi il dialogo, e la popolazione sia protetta e le minoranze salvaguardate.
È indispensabile – e a questo mira il Piano Mattei, lanciato dal governo italiano - rivolgere attenzione al continente africano, con i suoi tanti focolai di crisi: il Sudan, martoriato da una guerra che non trova tregua; l'arco saheliano; il Corno d'Africa e alcune regioni dell'Africa centrale, con le loro tensioni irrisolte.
Sono tutte condizioni che sospingono il dramma delle migrazioni nel tentativo, di tante donne e di tanti uomini, di salvare le proprie vite. A queste drammatiche cause di migrazione si aggiungono quelle derivanti dalle crisi climatiche.
La guerra non è soltanto un inammissibile anacronismo fuori dalla storia: rappresenta la negazione dell'umanità. È la pace a dover essere promossa e difesa.
La fine della Guerra Fredda - abbiamo commemorato quest'anno i 35 anni dalla caduta del muro di Berlino che plasticamente la simboleggiava - aveva indotto a credere che l'epoca delle grandi contrapposizioni fosse conclusa.
Al contrario, allo storico superamento di quella condizione – il cui ricordo non solleva alcuna nostalgia - ha fatto seguito il riemergere di contraddizioni sopite, pagine che venivano considerate archiviate.
Tornare indietro, al tempo della frammentazione, delle ambizioni espansionistiche nazionali, non potrà mai significare progresso.
Oggi si parla sempre più spesso di un “multiallineamento” ovvero di alleanze a geometria variabile in un contesto di multipolarismo. Sono espressioni che possono apparire accattivanti che, tuttavia, possono porre a nudo l'assenza di visione strategica, l'assenza dell'interesse comune, nel cui ambito soltanto trova spazio quello effettivo di ogni singolo Paese.
In luogo di rivendicare, insieme, un ordine mondiale più giusto e adeguato alle nuove condizioni del mondo e di consolidarne i principi di uguaglianza - intesa come pari dignità e pari opportunità di sviluppo - si mettono a dura prova le regole della convivenza pacifica tra gli Stati.
Si tratta di un atteggiamento miope, tanto più se si considera che le sfide del mondo contemporaneo, sempre più globali, possono essere affrontate con qualche speranza di successo soltanto in maniera corale e concorde, attraverso la collaborazione e il dialogo, mettendo a fattor comune le risorse di ciascuno.
L'esasperazione delle tensioni tra Stati non può farci distogliere lo sguardo dalla nostra casa comune, la Terra, dal suo stato di salute.
Secondo dati recenti dell'Organizzazione metereologica mondiale, il periodo 2015-2024 è stato il decennio più caldo fin qui registrato, con effetti come lo scioglimento dei ghiacciai, l'innalzamento delle acque e fenomeni meteorologici estremi che sempre più frequentemente colpiscono in maniera drammatica comunità ed economie, come accaduto recentemente nella tragica alluvione a Valencia.
A pagarne il prezzo sono in particolare i più vulnerabili, come ha ricordato il Segretario Generale delle Nazioni Unite alla COP 29 di Baku. Per alcuni Paesi addirittura – penso a quelli insulari – un innalzamento, anche minimo, del livello degli oceani comporta un rischio esistenziale.
Occorrono sforzi comuni e rapidi che permettano di superare al più presto il divario tra le ambizioni in termini di decarbonizzazione e la capacità di attuazione. Occorre imprimere l'indispensabile accelerazione alla transizione energetica globale.
La cooperazione internazionale trova nelle relazioni economiche uno dei suoi punti di forza. La pretesa della autosufficienza contrasta con la evidenza della realtà dei fatti. Anche qui, si vorrebbe cancellare l'evoluzione del mondo degli ultimi tre secoli, invocando temi come la sicurezza nazionale per giustificare nuovi protezionismi.
Politiche distorsive, ostacoli al libero commercio alterano in misura significativa le condizioni di accesso ai mercati e danneggiano gli interessi dei consumatori.
La storia insegna che il protezionismo non ha mai portato vantaggi di lungo periodo, a volte è stato persino – come è noto - causa di conflitti armati, mentre il libero commercio – e questa è l'esperienza sviluppata dall'Unione europea - è un fattore di crescita formidabile. Fattore messo a rischio, oggi, anche dai conflitti, da atti emulativi lungo le maggiori rotte commerciali, pregiudicando la libertà di navigazione, elemento essenziale delle libertà dei popoli e della prosperità di tutti.
Il superamento della frammentazione e una proficua dialettica internazionale, tra i diversi gruppi di Paesi portatori di interessi, sono essi stessi veicoli di pace. Ancor più quando sanno fondere tra loro il futuro di interi continenti - come nel caso del recente accordo tra Unione Europea e Mercosur - proponendosi di tutelare “beni comuni” come la biodiversità, la sicurezza alimentare, lo stato di salute complessivo del nostro Pianeta.
La fase di globalizzazione si è positivamente trasferita anche sul terreno dei diritti umani e della vigenza dei sistemi posti a loro difesa.
Eppure si assiste a una fase di pericoloso regresso in numerose parti del mondo nella condizione delle donne, così come cresce in maniera preoccupante e dolorosa il numero dei bambini privati dei più elementari diritti e, in definitiva, della loro infanzia, quando non della vita.
La mancanza di rispetto nei confronti della vita umana trova poi riscontro nell'aumento delle esecuzioni capitali a livello globale, tema sul quale l'Italia continuerà convintamente a promuovere una moratoria, nell'auspicio dell'abolizione ovunque della pena di morte.
I diritti della persona sono la base del mantenimento della pace, della sicurezza e coesione delle società. Danno sostanza ai principi dello Stato di diritto, anzitutto quelli della responsabilità e dell'uguaglianza di ciascuno di fronte alla legge.
Lo sviluppo dell'Intelligenza Artificiale pone sfide nuove anche su questo terreno. Per un'obiettiva visione del mondo occorre sapere che essa non basta a sé stessa e non è neutrale. Fondamentale è un suo sviluppo inclusivo, di cui possano beneficiare tutti i popoli. Le scoperte e gli sviluppi in questo ambito non possono essere monopolio privato.
La loro governance non può essere affidata soltanto al mercato o al potere di pochi. È necessario che le istituzioni sappiano farne un “bene comune”, incanalandone le potenzialità in modo coerente con progetti di vita collettiva e di relazione.
Ancora una volta il mondo si trova di fronte alla scelta tra soluzioni transattive – precarie perché dipendenti dai rapporti di forza del momento - e soluzioni basate sulla ricerca del dialogo per regole condivise.
Naturalmente, non è in discussione il cambiamento, non lo sono le istanze di cambiamento di cui si fanno portatori Paesi che richiedono - avendone pieno titolo - un ruolo più incisivo sulla scena internazionale.
Si tratta, piuttosto, di essere capaci di costruire un ordine internazionale che non sia mero risultato dei conflitti - e fotografia delle loro conseguenze - ma il frutto di uno sforzo lungimirante compiuto in pace.
Il multipolarismo odierno sollecita a ripensare l'architettura e i metodi di lavoro delle organizzazioni internazionali, per portarle ad essere pienamente efficaci e coerenti.
Si tratta di una sfida a cui il Patto per il Futuro ha cercato, non senza difficoltà, di fornire alcune risposte.
In questo contesto l'Italia avverte l'esigenza di riaffermare il fermo e convinto appoggio al multilateralismo, ancorato alla sua Costituzione, come ho avuto occasione di dire, sottolineandolo a New York nel maggio scorso, alle Nazioni Unite.
È tema di grande importanza, tanto più in un momento in cui si rafforza una retorica semplicistica e divisiva.
Si tratta di responsabilità sulle quali saranno chiamati a confrontarsi, insieme agli altri, i leader che si sono affermati a seguito dei tanti processi elettorali svoltisi nell'anno che si chiude. Un anno in cui si sono svolte circa 60 elezioni generali.
È compito che investe anche le nuove Istituzioni europee, recentemente insediatesi a seguito dell'elezione del Parlamento.
L'Europa è prima di tutto un progetto di pace.
La ricerca della pace ne ha caratterizzato la genesi e lo sviluppo. L'Unione europea non rappresenta una minaccia per nessuno. È costume che non appartiene ai suoi valori costitutivi, è costume che non ha mai praticato.
Condizione che non la sottrae alla necessità di rafforzare una cultura strategica comune. A tal proposito, vorrei ribadire che una vera difesa europea non appare più procrastinabile.
Abbiamo l'esempio della NATO, alleanza difensiva chiamata a garantire la sicurezza dei popoli alleati scongiurando lo spettro della guerra.
L'Italia non cesserà di offrire il proprio contributo per la pace e per la stabilità in Europa e nel mondo e la Presidenza italiana del G7, in questo 2024 che si conclude, ha avuto come obiettivo cardine proprio la difesa del sistema internazionale basato sulle regole.
Eccellentissimo Decano, Autorità, Signore e Signori Ambasciatori, in un momento in cui la complessità dell'orizzonte futuro sembra far prevalere il disorientamento, è quanto mai necessario ripristinare una solida visione ancorata ai valori della persona, della libertà, della democrazia.
Non esistono mai tempi facili per la diplomazia, rete preziosa in grado di captare il senso degli avvenimenti nel mondo.
La Convenzione di Vienna ci ricorda che scopo delle relazioni diplomatiche è promuovere rapporti amichevoli e sviluppare relazioni economiche, culturali e scientifiche.
Vorrei aggiungere che la diplomazia oggi è chiamata, più che mai, a un compito alto: scongiurare la guerra, scongiurare le guerre.
Permettetemi allora di ringraziarvi per il lavoro che costantemente svolgete per rafforzare i legami tra i vostri Paesi e la Repubblica Italiana, e di rinnovare a tutti voi, alle vostre famiglie e ai popoli, che qui rappresentate, fervidi auguri per il Natale e per il Nuovo Anno», ha così concluso il suo discorso il presidente Sergio Mattarella.
Fonte: Quirinale
Dopo l'indirizzo di saluto augurale di mons. Petar Rajič, decano del Corpo Diplomatico e Nunzio Apostolico, il presidente Mattarella ha rivolto un discorso ai Capi delle Missioni Diplomatiche accreditati presso la Repubblica Italiana.
Alla cerimonia, nel Salone dei Corazzieri, hanno partecipato i sottosegretari del ministero degli Esteri, Giorgio Silli e Maria Tripodi, e il presidente della Commissione permanente per le politiche dell'Unione Europea del Senato della Repubblica, amb. Giuliomaria Terzi di Sant'Agata.
Questo il discorso del presidente Mattarella al Corpo Diplomatico:
«Signor Decano e Signore e Signori Ambasciatori,
ringrazio il Decano, Monsignor Petar Rajič per le sue considerazioni e per le espressioni augurali rivolte alla Repubblica Italiana e a me a nome del Corpo diplomatico accreditato presso il Quirinale.Ricambio con riconoscenza.
È con grande piacere che torno a incontrarvi al Quirinale per il saluto di fine anno, un momento in cui, oltre allo scambio di auguri per le imminenti festività, è tradizione tracciare un bilancio dell'anno che sta per concludersi.
Nonostante gli auspici di maggiore cooperazione e solidarietà con cui lo abbiamo affrontato, l'anno che volge al termine ha visto allargarsi il novero delle crisi su scala globale.
Rilevazioni recenti fanno registrare ben 56 conflitti in atto - il numero più alto dal tempo della Seconda Guerra mondiale - in un contesto di deterioramento generalizzato delle condizioni di sicurezza.
I fronti di guerra si moltiplicano rapidamente e la comunità internazionale non riesce a contrastarli.
Non si tratta di una impotenza oggettiva. Come sovente accade, è il risultato di scelte, più o meno consapevoli.
Il mondo attraversa un grave momento di crisi, e desidero esprimere la solidarietà della Repubblica Italiana ai popoli gravati da guerre e conflitti.
La puntuale elencazione delle aree di crisi, i tentativi razionali di analisi delle motivazioni che hanno condotto a questa condizione, non possono nascondere un interrogativo.
In che modo intendiamo essere presenti, come Stati, nella comunità internazionale? È dalla risposta a questa semplice domanda che deriva l'atteggiamento con cui rivolgerci ai nostri vicini, ai nostri partner, ai Paesi amici e a quelli visti come competitori.
La soluzione consiste in prove di forza ai confini? La vita dei nostri popoli è destinata a migliorare con la guerra? Siamo convinti che i rapporti con gli altri Paesi si misurino sulla capacità di sottrarre loro risorse, speranza di crescita, con il pretesto di attribuirle ai propri concittadini? Che valga ancora, nel terzo millennio, il principio della invasione di altri Stati, della manipolazione della loro sovranità, dell'alterazione della verità? A che scopo? Per quali presunti benefici?
Quale ruolo riveste la comunità internazionale che, nel corso del tempo, si è data strutture, se non sa riconoscere le crisi che si manifestano? Se, anziché affrontare i problemi - esprimendo i valori che l'hanno sollecitata a unirsi - reagisce per eluderli, assumendo atteggiamenti inadeguati, se non di chiusura, di estraneità ai destini dei popoli?
Il diritto umanitario internazionale non contempla sospensioni o congelamenti. Anche sotto questo profilo, il pensiero si rivolge al dramma dell'Ucraina, dove sono stati ormai superati i mille giorni di conflitto.
Il sostegno dell'Italia per Kyiv, fermo e determinato, ha l'obiettivo di una pace giusta, fondata sui principi e sui valori della Carta delle Nazioni Unite.
Un obiettivo che fa da sfondo all'impegno italiano di ospitare a Roma, nel mese di luglio del prossimo anno, la terza edizione della Conferenza Internazionale sulla Ricostruzione dell'Ucraina.
Il pensiero va al Medio Oriente, dove i disumani attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre dell'anno passato hanno provocato un profondo trauma al popolo israeliano e innescato una spirale di inaudita violenza e una crisi umanitaria senza precedenti a Gaza, estendendo il conflitto al Libano, incendiando l'intera area.
Insieme ai nostri partner continuiamo anzitutto a operare per il cessate il fuoco, per un processo costruttivo che, con il concorso della comunità internazionale, porti alla soluzione a due Stati, giusta, necessaria, sostenibile e in linea con il diritto internazionale, unica prospettiva di pace stabile. Prospettiva unica, appunto, e urgente se si vuole scongiurare che il sedimento di ostilità e di risentimenti che si è accumulato provochi rapidi e frequenti ritorni di sempre più gravi violenze.
Non è una formula di rito, non è una posizione vana.
Fu l'Assemblea delle Nazioni Unite a istituire un focolare per il popolo ebraico dopo la Seconda guerra mondiale.
Costruire un futuro per il Medio Oriente in cui Israele e Palestina coesistano in pace e sicurezza è un compito che, se sarà sviluppato da coloro che oggi nascono e crescono tra le macerie della guerra, tocca a noi saper far decollare.
In Siria, si è registrato un nuovo scenario di scontro, con un cambio di regime. È indispensabile che si dia vita rapidamente a una nuova statualità, che in queste fasi concitate si riattivi il dialogo, e la popolazione sia protetta e le minoranze salvaguardate.
È indispensabile – e a questo mira il Piano Mattei, lanciato dal governo italiano - rivolgere attenzione al continente africano, con i suoi tanti focolai di crisi: il Sudan, martoriato da una guerra che non trova tregua; l'arco saheliano; il Corno d'Africa e alcune regioni dell'Africa centrale, con le loro tensioni irrisolte.
Sono tutte condizioni che sospingono il dramma delle migrazioni nel tentativo, di tante donne e di tanti uomini, di salvare le proprie vite. A queste drammatiche cause di migrazione si aggiungono quelle derivanti dalle crisi climatiche.
La guerra non è soltanto un inammissibile anacronismo fuori dalla storia: rappresenta la negazione dell'umanità. È la pace a dover essere promossa e difesa.
La fine della Guerra Fredda - abbiamo commemorato quest'anno i 35 anni dalla caduta del muro di Berlino che plasticamente la simboleggiava - aveva indotto a credere che l'epoca delle grandi contrapposizioni fosse conclusa.
Al contrario, allo storico superamento di quella condizione – il cui ricordo non solleva alcuna nostalgia - ha fatto seguito il riemergere di contraddizioni sopite, pagine che venivano considerate archiviate.
Tornare indietro, al tempo della frammentazione, delle ambizioni espansionistiche nazionali, non potrà mai significare progresso.
Oggi si parla sempre più spesso di un “multiallineamento” ovvero di alleanze a geometria variabile in un contesto di multipolarismo. Sono espressioni che possono apparire accattivanti che, tuttavia, possono porre a nudo l'assenza di visione strategica, l'assenza dell'interesse comune, nel cui ambito soltanto trova spazio quello effettivo di ogni singolo Paese.
In luogo di rivendicare, insieme, un ordine mondiale più giusto e adeguato alle nuove condizioni del mondo e di consolidarne i principi di uguaglianza - intesa come pari dignità e pari opportunità di sviluppo - si mettono a dura prova le regole della convivenza pacifica tra gli Stati.
Si tratta di un atteggiamento miope, tanto più se si considera che le sfide del mondo contemporaneo, sempre più globali, possono essere affrontate con qualche speranza di successo soltanto in maniera corale e concorde, attraverso la collaborazione e il dialogo, mettendo a fattor comune le risorse di ciascuno.
L'esasperazione delle tensioni tra Stati non può farci distogliere lo sguardo dalla nostra casa comune, la Terra, dal suo stato di salute.
Secondo dati recenti dell'Organizzazione metereologica mondiale, il periodo 2015-2024 è stato il decennio più caldo fin qui registrato, con effetti come lo scioglimento dei ghiacciai, l'innalzamento delle acque e fenomeni meteorologici estremi che sempre più frequentemente colpiscono in maniera drammatica comunità ed economie, come accaduto recentemente nella tragica alluvione a Valencia.
A pagarne il prezzo sono in particolare i più vulnerabili, come ha ricordato il Segretario Generale delle Nazioni Unite alla COP 29 di Baku. Per alcuni Paesi addirittura – penso a quelli insulari – un innalzamento, anche minimo, del livello degli oceani comporta un rischio esistenziale.
Occorrono sforzi comuni e rapidi che permettano di superare al più presto il divario tra le ambizioni in termini di decarbonizzazione e la capacità di attuazione. Occorre imprimere l'indispensabile accelerazione alla transizione energetica globale.
La cooperazione internazionale trova nelle relazioni economiche uno dei suoi punti di forza. La pretesa della autosufficienza contrasta con la evidenza della realtà dei fatti. Anche qui, si vorrebbe cancellare l'evoluzione del mondo degli ultimi tre secoli, invocando temi come la sicurezza nazionale per giustificare nuovi protezionismi.
Politiche distorsive, ostacoli al libero commercio alterano in misura significativa le condizioni di accesso ai mercati e danneggiano gli interessi dei consumatori.
La storia insegna che il protezionismo non ha mai portato vantaggi di lungo periodo, a volte è stato persino – come è noto - causa di conflitti armati, mentre il libero commercio – e questa è l'esperienza sviluppata dall'Unione europea - è un fattore di crescita formidabile. Fattore messo a rischio, oggi, anche dai conflitti, da atti emulativi lungo le maggiori rotte commerciali, pregiudicando la libertà di navigazione, elemento essenziale delle libertà dei popoli e della prosperità di tutti.
Il superamento della frammentazione e una proficua dialettica internazionale, tra i diversi gruppi di Paesi portatori di interessi, sono essi stessi veicoli di pace. Ancor più quando sanno fondere tra loro il futuro di interi continenti - come nel caso del recente accordo tra Unione Europea e Mercosur - proponendosi di tutelare “beni comuni” come la biodiversità, la sicurezza alimentare, lo stato di salute complessivo del nostro Pianeta.
La fase di globalizzazione si è positivamente trasferita anche sul terreno dei diritti umani e della vigenza dei sistemi posti a loro difesa.
Eppure si assiste a una fase di pericoloso regresso in numerose parti del mondo nella condizione delle donne, così come cresce in maniera preoccupante e dolorosa il numero dei bambini privati dei più elementari diritti e, in definitiva, della loro infanzia, quando non della vita.
La mancanza di rispetto nei confronti della vita umana trova poi riscontro nell'aumento delle esecuzioni capitali a livello globale, tema sul quale l'Italia continuerà convintamente a promuovere una moratoria, nell'auspicio dell'abolizione ovunque della pena di morte.
I diritti della persona sono la base del mantenimento della pace, della sicurezza e coesione delle società. Danno sostanza ai principi dello Stato di diritto, anzitutto quelli della responsabilità e dell'uguaglianza di ciascuno di fronte alla legge.
Lo sviluppo dell'Intelligenza Artificiale pone sfide nuove anche su questo terreno. Per un'obiettiva visione del mondo occorre sapere che essa non basta a sé stessa e non è neutrale. Fondamentale è un suo sviluppo inclusivo, di cui possano beneficiare tutti i popoli. Le scoperte e gli sviluppi in questo ambito non possono essere monopolio privato.
La loro governance non può essere affidata soltanto al mercato o al potere di pochi. È necessario che le istituzioni sappiano farne un “bene comune”, incanalandone le potenzialità in modo coerente con progetti di vita collettiva e di relazione.
Ancora una volta il mondo si trova di fronte alla scelta tra soluzioni transattive – precarie perché dipendenti dai rapporti di forza del momento - e soluzioni basate sulla ricerca del dialogo per regole condivise.
Naturalmente, non è in discussione il cambiamento, non lo sono le istanze di cambiamento di cui si fanno portatori Paesi che richiedono - avendone pieno titolo - un ruolo più incisivo sulla scena internazionale.
Si tratta, piuttosto, di essere capaci di costruire un ordine internazionale che non sia mero risultato dei conflitti - e fotografia delle loro conseguenze - ma il frutto di uno sforzo lungimirante compiuto in pace.
Il multipolarismo odierno sollecita a ripensare l'architettura e i metodi di lavoro delle organizzazioni internazionali, per portarle ad essere pienamente efficaci e coerenti.
Si tratta di una sfida a cui il Patto per il Futuro ha cercato, non senza difficoltà, di fornire alcune risposte.
In questo contesto l'Italia avverte l'esigenza di riaffermare il fermo e convinto appoggio al multilateralismo, ancorato alla sua Costituzione, come ho avuto occasione di dire, sottolineandolo a New York nel maggio scorso, alle Nazioni Unite.
È tema di grande importanza, tanto più in un momento in cui si rafforza una retorica semplicistica e divisiva.
Si tratta di responsabilità sulle quali saranno chiamati a confrontarsi, insieme agli altri, i leader che si sono affermati a seguito dei tanti processi elettorali svoltisi nell'anno che si chiude. Un anno in cui si sono svolte circa 60 elezioni generali.
È compito che investe anche le nuove Istituzioni europee, recentemente insediatesi a seguito dell'elezione del Parlamento.
L'Europa è prima di tutto un progetto di pace.
La ricerca della pace ne ha caratterizzato la genesi e lo sviluppo. L'Unione europea non rappresenta una minaccia per nessuno. È costume che non appartiene ai suoi valori costitutivi, è costume che non ha mai praticato.
Condizione che non la sottrae alla necessità di rafforzare una cultura strategica comune. A tal proposito, vorrei ribadire che una vera difesa europea non appare più procrastinabile.
Abbiamo l'esempio della NATO, alleanza difensiva chiamata a garantire la sicurezza dei popoli alleati scongiurando lo spettro della guerra.
L'Italia non cesserà di offrire il proprio contributo per la pace e per la stabilità in Europa e nel mondo e la Presidenza italiana del G7, in questo 2024 che si conclude, ha avuto come obiettivo cardine proprio la difesa del sistema internazionale basato sulle regole.
Eccellentissimo Decano, Autorità, Signore e Signori Ambasciatori, in un momento in cui la complessità dell'orizzonte futuro sembra far prevalere il disorientamento, è quanto mai necessario ripristinare una solida visione ancorata ai valori della persona, della libertà, della democrazia.
Non esistono mai tempi facili per la diplomazia, rete preziosa in grado di captare il senso degli avvenimenti nel mondo.
La Convenzione di Vienna ci ricorda che scopo delle relazioni diplomatiche è promuovere rapporti amichevoli e sviluppare relazioni economiche, culturali e scientifiche.
Vorrei aggiungere che la diplomazia oggi è chiamata, più che mai, a un compito alto: scongiurare la guerra, scongiurare le guerre.
Permettetemi allora di ringraziarvi per il lavoro che costantemente svolgete per rafforzare i legami tra i vostri Paesi e la Repubblica Italiana, e di rinnovare a tutti voi, alle vostre famiglie e ai popoli, che qui rappresentate, fervidi auguri per il Natale e per il Nuovo Anno», ha così concluso il suo discorso il presidente Sergio Mattarella.
Fonte: Quirinale