22 Maggio 2025
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Kashmir, la faglia del mondo: diritto sospeso, diplomazia disarmata

08-05-2025 15:18 - Opinioni
GD – Roma, 8 mag. 25 - Nel cuore dell'Himalaya si riaccende una delle crisi più letali e durature della geopolitica globale. Il Kashmir, da oltre settant'anni teatro di tensioni endemiche tra India e Pakistan, si è trasformato nelle ultime settimane in un campo minato di diritto sospeso, diplomazia impotente e scontro militare a soglia nucleare. L'asserita recente incursione aerea indiana in territorio pakistano, ufficialmente in risposta all'attentato di Pahalgam, segna un'escalation che supera il ciclo consueto di provocazione e rappresaglia, assumendo contorni dirompenti per l'intero ordine internazionale.
La spirale dell'autodifesa pretestuosa. Nuova Delhi ha invocato l'articolo 51 della Carta ONU per giustificare un'azione militare extraterritoriale in chiave di legittima difesa. Eppure, le condizioni canoniche – necessità immediata, proporzionalità, notifica tempestiva al Consiglio di Sicurezza – sono rimaste largamente disattese. Gli attacchi aerei hanno colpito obiettivi civili, provocato oltre 30 vittime e lasciato dietro di sé una scia di distruzione che va ben oltre la soglia del danno collaterale. Il tutto senza che alcun organismo multilaterale sia stato preventivamente coinvolto.
Il punto cruciale non è solo la violazione tecnica del diritto internazionale, ma il precedente politico che essa innesca: la normalizzazione dell'uso unilaterale della forza, in assenza di controllo multilaterale, in nome della prevenzione contro attori non statali. Un modello già emerso nei teatri siriano, yemenita e saheliano, che rischia ora di istituzionalizzarsi.
Crisi umanitaria e zone grigie del diritto di guerra. Le immagini satellitari e i rapporti delle organizzazioni non governative parlano chiaro: ospedali danneggiati, scuole colpite, ambulanze bloccate dai bombardamenti, oltre 12.000 sfollati in meno di 72 ore. Le norme del diritto umanitario – in primis il principio di distinzione sancito dal Primo Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra – risultano sistematicamente ignorate.
Né India né Pakistan hanno autorizzato l'accesso alle agenzie umanitarie internazionali. La popolazione civile resta così ostaggio di una guerra che non controlla e che la comunità internazionale osserva, ancora una volta, con indifferenza selettiva.
Fattore nucleare e logica di soglia: Kashmir come detonatore globale. Oltre i dati umanitari, ciò che rende la crisi kashmira particolarmente esplosiva è la sua dimensione nucleare implicita. Sia Nuova Delhi che Islamabad dispongono di arsenali operativi, ma ciò che desta maggiore preoccupazione è la dottrina pakistana del first use in caso di penetrazione convenzionale significativa. La rapidità della catena di comando – e la difficoltà nel distinguere escalation accidentali da intenzionali – lascia un margine di errore irricevibile in un contesto ad altissimo tasso di tensione.
Le ultime settimane hanno registrato movimenti nelle basi di Bahawalpur e Sargodha, non confermati ma indicativi di un innalzamento dell'allerta strategica pakistana. Da parte indiana, l'impiego di assetti Rafale e missili stand-off suggerisce una volontà dimostrativa più che risolutiva, ma sufficiente a portare Islamabad sull'orlo della deterrenza attiva.
La paralisi diplomatica del XXI secolo. La crisi odierna è non solo un riflesso delle tensioni indo-pakistane, ma il sintomo di un ordine multilaterale che ha perso capacità di prevenzione, mediazione e legittimazione. Le risoluzioni ONU sul Kashmir – la 47 del 1948 e la 80 del 1950 – sono rimaste lettera morta. Il Consiglio di Sicurezza è ormai paralizzato dalle rivalità sino-occidentali, la SAARC è politicamente congelata, e nessuna piattaforma regionale o globale ha assunto la leadership della de-escalation.
L'India, dal canto suo, ha rifiutato ogni internazionalizzazione della questione dopo la revoca dello status speciale del Jammu e Kashmir nel 2019. Il Pakistan continua a invocare le risoluzioni ONU, ma lo fa in un contesto di isolamento diplomatico crescente.
Dimensione strategica: la nuova geopolitica himalayana. Ridurre il Kashmir a un contenzioso bilaterale sarebbe un errore strategico. L'area si inserisce in un gioco a tre che include la Cina e le sue ambizioni infrastrutturali e militari nel corridoio sino-pakistano. Il Gilgit-Baltistan, cruciale per la Belt and Road Initiative, rappresenta oggi un nodo conteso non solo tra Islamabad e Nuova Delhi, ma anche tra Pechino e l'asse indo-occidentale. La crescente militarizzazione dell'Himalaya – con postazioni radar, basi avanzate e pattugliamenti aerei su larga scala – rischia di trasformare il Kashmir in una nuova linea di frattura globale, alla stregua del Donbass o del Mar Cinese Meridionale.
Verso una nuova diplomazia strutturata. In questo contesto, appare evidente che la gestione dell'emergenza non può essere disgiunta dalla costruzione di una cornice politica multilivello e multilaterale. Tre le direttrici fondamentali:
* un cessate il fuoco immediato, sotto monitoraggio neutrale, ad esempio mediante una missione a guida congiunta tra Paesi terzi con riconosciuta imparzialità (come Norvegia, Svizzera, Indonesia);
* corridoi umanitari garantiti internazionalmente, con accesso pieno per ICRC, UNHCR e OCHA;
* una piattaforma diplomatica permanente, che includa non solo India e Pakistan, ma anche rappresentanti della società civile kashmira e stakeholder regionali, in un formato analogo al Contact Group dei Balcani.
Il Kashmir come metafora di un sistema globale in crisi. Ciò che accade oggi lungo la Linea di Controllo è, in fondo, una parabola delle contraddizioni contemporanee: norme internazionali sospese, deterrenza che si fa normalità, diplomazia che arretra di fronte all'unilateralismo armato.
La questione kashmira ci interroga non solo come conflitto regionale, ma come test universale: la tenuta dell'ordine internazionale dipende dalla capacità della comunità globale di rispondere non solo con sanzioni o dichiarazioni, ma con visione, strumenti e coraggio politico.
Perché in un mondo sempre più fluido e instabile, la vera minaccia non è solo la guerra, ma l'assuefazione all'idea che nulla possa più essere fermato.

Cristina Di Silvio
Esperta di Relazioni Internazionali

Fonte: Cristina Di Silvio
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