Il Bangladesh tra rivolte e repressione
02-08-2024 12:39 - Opinioni
GD – Roma, 2 ago. 24 - Dall’inizio del luglio scorso il Bangladesh è in rivolta. Le proteste pacifiche, nate dai gruppi di studenti universitari, sono iniziate quando la Divisione dell’Alta Corte della Corte Suprema del Bangladesh ha ripristinato, dopo che era stata ritirata nel 2018, la job quota system, la quale prevede che il 30% delle quote nei lavori governativi siano indirizzati ai figli e ai nipoti di coloro che si sono uniti alla guerra di indipendenza del Bangladesh nel 1971. Con circa 18 milioni di giovani senza lavoro, la reintroduzione di questo sistema di quote è stata denunciata poiché considerata come un favoreggiamento ingiusto verso i sostenitori del Governo e ha alimentato un malcontento generale della popolazione verso il Governo stesso, ritenuto da molti discriminatorio e corrotto.
Dal 15 luglio, le proteste si sono rese più intense a seguito dell’attacco sui manifestanti da parte dei membri della Chhatra League BCL, il gruppo studentesco affiliato al partito Awami League del primo ministro Hasina, sostenuto dalla polizia, che ha provocato la morte di sei ragazzi. Attualmente il numero dei morti sarebbe salito a oltre 200, mentre gli arresti dei partecipanti e degli organizzatori delle proteste sono stati più di 2.000. Rapporti che trapelano dal Bangladesh affermano, inoltre, che le autorità sarebbero accusate anche di sparizioni forzate e torture in custodia, reiterando un atteggiamento violento nei diversi luoghi dove sono nate le dimostrazioni. Le forze di sicurezza avrebbero utilizzato munizioni vere, gas lacrimogeni, granate stordenti, proiettili di gomma e pallini da fucile per disperdere i manifestanti.
Dal 18 luglio il Bangladesh ha sùbito una totale oscurità informativa in quanto le autorità hanno imposto un blackout nazionale, il quale ha implicato la chiusura di Internet e la limitazione di comunicazioni di qualsiasi tipo. Secondo il ministro junior delle Telecomunicazioni, Zunaid Ahmed Palak, la chiusura è stata voluta dal Governo per limitare la diffusione di "fake news", ritenute pericolose. Una disposizione del genere viola il diritto internazionale, influendo sugli obblighi degli Stati di rispettare la libertà di espressione e il diritto di riunione pacifica. Il Paese ha dovuto aspettare il 23 luglio, ben sei giorni, per vedere l’accesso a Internet parzialmente ripristinato. Ma il dispiegamento dell’esercito, il coprifuoco e l’ordine di sparare a vista sono rimasti in vigore.
Il Governo ha, dunque, scelto la strada della repressione allarmando parzialmente la comunità internazionale. Il capo dei diritti umani delle Nazioni Unite, Volker Türk, si è dichiarato perplesso e, oltre ad aver chiesto di divulgare urgentemente tutti i dettagli sulla repressione delle proteste della scorsa settimana, ha ritenuto gli attacchi contro gli studenti manifestanti particolarmente scioccanti e inaccettabili, sottolineando la preoccupazione che diversi diritti umani siano stati violati. Ha poi richiesto una lista delle persone ferite, uccise o detenute a beneficio delle famiglie.
Ali Riaz, politologo e grande esperto di Bangladesh dell’Illinois State University, ha descritto la violenza come il peggior massacro compiuto da qualsiasi regime dall’indipendenza. Le proteste non sono state solo un fenomeno nazionale: molti giovani hanno manifestato, in segno di solidarietà con gli studenti del Bangladesh, in diversi Paesi del mondo, talvolta subendo anche la stessa repressione, come è accaduto negli Emirati Arabi Uniti dove 57 bangladesi sono stati incarcerati: tre di loro condannati all’ergastolo, 53 a dieci anni di carcere e uno a 11 anni, seguiti dalla deportazione.
Il 21 luglio la Corte Suprema del Bangladesh ha deciso di ridurre le quote sui posti di lavoro statali nel tentativo di fermare le violenze, stabilendo che solo il 5% dei posti di lavoro sarà riservato ai discendenti dei combattenti per la libertà rispetto al 30% proposto, e un altro 2% a coloro che appartengono a minoranze etniche o a persone con disabilità, mentre il resto sarà aperto ai candidati in base al merito. Ciononostante, gli studenti hanno dichiarato che le proteste non avranno fine finché non verrà trovata una soluzione politica alla persistente crisi politica nel Paese, auspicando che questa soluzione sia quella di indire delle nuove elezioni.
A cura di Ludovica Raiola
Mondo Internazionale Post
Fonte: Mondo Internazionale Post
Dal 15 luglio, le proteste si sono rese più intense a seguito dell’attacco sui manifestanti da parte dei membri della Chhatra League BCL, il gruppo studentesco affiliato al partito Awami League del primo ministro Hasina, sostenuto dalla polizia, che ha provocato la morte di sei ragazzi. Attualmente il numero dei morti sarebbe salito a oltre 200, mentre gli arresti dei partecipanti e degli organizzatori delle proteste sono stati più di 2.000. Rapporti che trapelano dal Bangladesh affermano, inoltre, che le autorità sarebbero accusate anche di sparizioni forzate e torture in custodia, reiterando un atteggiamento violento nei diversi luoghi dove sono nate le dimostrazioni. Le forze di sicurezza avrebbero utilizzato munizioni vere, gas lacrimogeni, granate stordenti, proiettili di gomma e pallini da fucile per disperdere i manifestanti.
Dal 18 luglio il Bangladesh ha sùbito una totale oscurità informativa in quanto le autorità hanno imposto un blackout nazionale, il quale ha implicato la chiusura di Internet e la limitazione di comunicazioni di qualsiasi tipo. Secondo il ministro junior delle Telecomunicazioni, Zunaid Ahmed Palak, la chiusura è stata voluta dal Governo per limitare la diffusione di "fake news", ritenute pericolose. Una disposizione del genere viola il diritto internazionale, influendo sugli obblighi degli Stati di rispettare la libertà di espressione e il diritto di riunione pacifica. Il Paese ha dovuto aspettare il 23 luglio, ben sei giorni, per vedere l’accesso a Internet parzialmente ripristinato. Ma il dispiegamento dell’esercito, il coprifuoco e l’ordine di sparare a vista sono rimasti in vigore.
Il Governo ha, dunque, scelto la strada della repressione allarmando parzialmente la comunità internazionale. Il capo dei diritti umani delle Nazioni Unite, Volker Türk, si è dichiarato perplesso e, oltre ad aver chiesto di divulgare urgentemente tutti i dettagli sulla repressione delle proteste della scorsa settimana, ha ritenuto gli attacchi contro gli studenti manifestanti particolarmente scioccanti e inaccettabili, sottolineando la preoccupazione che diversi diritti umani siano stati violati. Ha poi richiesto una lista delle persone ferite, uccise o detenute a beneficio delle famiglie.
Ali Riaz, politologo e grande esperto di Bangladesh dell’Illinois State University, ha descritto la violenza come il peggior massacro compiuto da qualsiasi regime dall’indipendenza. Le proteste non sono state solo un fenomeno nazionale: molti giovani hanno manifestato, in segno di solidarietà con gli studenti del Bangladesh, in diversi Paesi del mondo, talvolta subendo anche la stessa repressione, come è accaduto negli Emirati Arabi Uniti dove 57 bangladesi sono stati incarcerati: tre di loro condannati all’ergastolo, 53 a dieci anni di carcere e uno a 11 anni, seguiti dalla deportazione.
Il 21 luglio la Corte Suprema del Bangladesh ha deciso di ridurre le quote sui posti di lavoro statali nel tentativo di fermare le violenze, stabilendo che solo il 5% dei posti di lavoro sarà riservato ai discendenti dei combattenti per la libertà rispetto al 30% proposto, e un altro 2% a coloro che appartengono a minoranze etniche o a persone con disabilità, mentre il resto sarà aperto ai candidati in base al merito. Ciononostante, gli studenti hanno dichiarato che le proteste non avranno fine finché non verrà trovata una soluzione politica alla persistente crisi politica nel Paese, auspicando che questa soluzione sia quella di indire delle nuove elezioni.
A cura di Ludovica Raiola
Mondo Internazionale Post
Fonte: Mondo Internazionale Post