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Gli occhi dell'Italia puntati sull'asse asiatico e il futuro dell'Europa

27-12-2021 16:31 - Opinioni
Prof. Arduino Paniccia Prof. Arduino Paniccia
GD – Venezia, 27 dic. 21 - All’apertura dei lavori dell’ultimo vertice dell’Association of South East Asian Nations, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, nel presentare il partenariato strategico con l’Associazione ha assicurato, ancora una volta, i leader dei Paesi aderenti che la Cina non ha nessun interesse a una egemonia nel Continente Asiatico, né a provocare alcuna tensione nel South China Sea, né tantomeno nell’Indo Pacifico, assicurazioni peraltro già fornite al presidente degli Stati Uniti Joe Biden nel corso del loro virtuale recente incontro del 16 novembre. Numerosi erano stati gli interventi dei presidenti dei Governi delle Regioni del Sud Est Asiatico, sempre più allarmati dagli scontri con Washington DC e dalle più latenti frizioni con Tokio e Seul relativamente alle vicende di Taiwan.
Il presidente Xi Jinping, molto abilmente, ha ribadito che l’immensa massa della Cina non deve preoccupare affatto i piccoli Paesi indipendenti asiatici, né vi saranno interferenze nei progetti governativi di questi ultimi perché Pechino è soprattutto un buon vicino, un grande amico, un ottimo partner economico per tutti i Paesi dell’area.
Ma nelle ultime settimane le Filippine avevano stigmatizzato la navigazione ravvicinata di navigli della guardia costiera cinese; la Malaysia prosegue il duro contenzioso sulla via della seta; il Vietnam continua a mantenere rapporti, ormai anche allo scoperto, con addirittura il vecchio nemico americano.
L’obiettivo cinese è molto chiaro: rendere meno aggressiva la sua evidente crescita economica, militare e di influenza in tutto il continente. Solo l’India di Modi appare oggi non allineata, anche perché, dopo aver fatto il gran rifiuto nei confronti del RCEP, Dehli ha dovuto nuovamente concentrarsi sui problemi della pandemia e sulla clamorosa bocciatura della riforma agraria, che è stata un’amara sconfitta di politica interna del Governo Modi.
Inoltre, anche nella vicenda dell’Afghanistan, l’India ha dovuto mantenere un atteggiamento di maggior distacco rispetto l’interventismo russo-cinese, soprattutto per non riaccendere contestazioni e scontri con l’ingombrante vicino che mantiene le proprie intransigenti posizioni nei confronti di due aree strategiche nei 3700 chilometri di confine terrestre, ovvero il Kashmir ed il Tibet.
Il vergognoso abbandono dell’Afghanistan ha certamente rappresentato il più forte spartiacque tra il mondo e il ciclo geopolitico post caduta del Muro e i nuovi equilibri all’interno della mondializzazione che, oggi, appare presentarsi con evidenza sotto due diverse vesti: quella occidentale e quella asiatica. La grande lotta in atto fra le due super potenze è proprio quella per la supremazia nei prossimi decenni, riguardante chi guiderà il fenomeno globale.
In effetti, il grande dilemma strategico che si presenta oggi agli Stati Uniti è la scelta estremamente difficile considerati anche i legami più o meno nascosti con la grande fabbrica del mondo cinese se continuare nella corsa verso la supremazia e l’estenuante scontro permanente, economico e finanziario, nei confronti della Repubblica Popolare Cinese, oppure se puntare tutte le proprie risorse e capacità per restare l’unica superpotenza riconosciuta militare, diplomatica e politica.
La strada dell’“impero cinese” è, invece, in qualche modo antitetica e chiaramente diretta a trasformarsi dalla fabbrica basica del mondo al centro degli affari mondiali, puntando alle produzioni ad altissimo valore aggiunto e una più sofisticata gestione della logistica e dei trasporti globali, facendo perno sulla adesione alla propria strategia economica delle nazioni del Continente Asiatico, anche quelle più riluttanti come il Giappone.
All’alleato russo viene lasciato il compito della difesa armata ad occidente e il posizionamento da “poliziotto cattivo” (nel gioco internazionale dove la Repubblica Popolare intende apparire, con la sua strategia del soft power, come il cosiddetto “poliziotto buono”) nei confronti della NATO e dell’Europa, tenendoli così permanentemente impegnati su un fronte che i mandarini cinesi considerano oggi secondario, l’Est Europa.
Un fronte questo, tuttavia, di crescente pericolosità, considerato che attualmente la Federazione Russa ha ammassato alla frontiera Ucraina quasi centomila uomini, centinaia di carri armati, artiglieria pesante, missili e forze aeree e che reparti di forze speciali sono a ridosso del confine bielorusso e in Crimea.
Nell’area del Mediterraneo e del Centro Sud Europeo il Politburo agisce con le consuete tradizionali formule che già definirono, ormai 10 anni fa, il lancio della Belt and Road Initiative, ovvero i legami strettissimi economici, i finanziamenti assicurati agli Stati senza nessuna analisi di affidabilità, la presenza cinese in contrapposizione, spesso, alle iniziative anglo-americane, dal Pireo alla Serbia, con un’unica eccezione del Porto di Trieste che è diventata, invece, l’alleanza più nuova e foriera di maggiori potenziali interessi tra Germania e Italia.
Ci troviamo oggi, noi Italiani ed Europei, in una fase di transizione generalizzata nella quale la linea strategica degli Stati Uniti non è chiaramente delineata, confuso appare anche il destino dell’Unione Europea dopo poco meno di un ventennio di gestione Merkel, altrettanto nebbioso appare l’orizzonte dei Balcani, sospesi da un quarto di secolo in un limbo, nel mentre appunto sempre più instabile appare la frontiera ad Est.
La vicenda Afghana e quelle pandemiche hanno paradossalmente convinto gli Stati Maggiori che nella fase di transizione e debolezza coloro che hanno più forza, anche militare, possono mostrare i muscoli per recuperare posizioni di vantaggio che serviranno poi, nel momento della stabilizzazione, a sedersi ai tavoli negoziali da primi attori, come appunto accade oggi nelle negoziazioni riguardanti il destino dell’Afghanistan, da protagonisti invece che da comprimari.
Si apre, pertanto, la possibilità di un maggior ruolo per il nostro Paese, partendo da alcune considerazioni come la maggior presenza italiana in seno all’Unione del dopo Merkel, la possibilità di un più stretto rapporto con la Francia che renda meno granitico l’asse franco-tedesco, una decisa scelta atlantica integrata dalla nascita di un primo nucleo di politica estera e difesa comune europea e la possibilità di intervenire con maggior prontezza e decisione nelle vicende mediterranee, come quelle libiche o del vicino Medio Oriente.
Va però aggiunto, con sano pragmatismo che, alla prova dei fatti e delle nostre azioni, il Paese appare molto riluttante a compiere scelte operative ed impegnative di tal fatta e sembra più attento al proprio quotidiano e al progetto di uscire dalla profonda crisi di invecchiamento e obsolescenza che lo attraversa da circa un quarto di secolo.
In conclusione, mentre le posizioni dell’asse asiatico appaiono evidentemente molto chiare, anche se per nessuna potenza il futuro è comunque un tappeto di rose, in questo momento i punti di riferimento occidentali, gli Stati Uniti, la Germania e gli altri Paesi della Nato appaiono vivere più di tattiche che di strategie, del giorno dopo giorno più che di visioni a medio-lungo termine.

Prof. Arduino Paniccia
Presidente di ASCE Scuola di Competizione Economica
Internazionale di Venezia

Fonte: Arduino Paniccia
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