Giorgio Napolitano: parlano 6 diplomatici del suo ufficio al Quirinale
24-09-2023 12:12 - Politica
GD – Roma, 24 set. 23 – Dopo la morte del presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, parlano i suoi più stretti collaboratori dell'ufficio diplomatico del Quirinale, i diplomatici Aldo Amati, Gianluca Ansalone, Giuseppe Buccina Grimaldi, Vincenzo Del Monaco, Federico Ferrari Bravo, Stefano Stefanini. Lo hanno fatto con un articolo-ricordo a firma congiunta pubblicato oggi dal quotidiano “La Repubblica”.
«Siamo stati, insieme, l'ufficio diplomatico del Presidente della Repubblica negli ultimi tre anni (2010-2013) del primo mandato di Giorgio Napolitano. Avevamo la sfida di un presidente che di affari internazionali ne sapeva più di noi, ma la fortuna di imparare da lui. Non si lavorava “per” Napolitano; si lavorava “con” Napolitano.
Significava essere al centro della scena internazionale. Lo chiamavano Obama e Merkel. Si aprivano le porte di Pechino e di Gerusalemme. Noi aprivamo quelle di Roma.
Quando invitammo al Quirinale i leader di una novantina di Paesi per il 150° anniversario dell'Unità – e vennero anche per il prestigio di Giorgio Napolitano – facemmo politica internazionale: primo incontro di XI Jinping e Joe Biden, allora entrambi vicepresidenti: confidenziali messaggi del Vaticano; vicino di rango alla sfilata militare per Dmitri Medvedev, temporaneo presidente russo; una sedi in extremis per l'inviato turco e un posto a tavola per il presidente afghano, Hamid Karzai, comparsi all'ultim'ora. Tre mesi prima la sofferta, inevitabile, decisione italiana di sostenere la rivoluzione libica vide proprio il Quirinale ancorare la posizione italiana al quadro multilaterale ONU-UE-NATO. Ma che orgoglio attraversare gli Champs Elysees svuotati per farvi passare il presidente italiano in visita di Stato nel 2012!
Napolitano fondeva due fisionomie: uomo di Stato, istituzionalmente rigoroso, e uomo che sapeva unire. Era il custode dell'interesse unitario della nazione, al di sopra delle parti. Il percorso umano e politico, attraverso le drammatiche e contraddizioni del Secolo breve, destava ovunque profondo rispetto, per cultura, visione, capacità di ascoltare – gli incontri con gli ambasciatori stranieri erano perle di conversazione. Chi richiamava la centralità fondamentale del Parlamento nella democrazia italiana anziché, da diplomatici, ragionare in termini di cancellerie. Ci ispirava vocazione nazionale e sentire europeo, orgoglioso di aver contribuito alla pace e prosperità continentale.
La disgregazione dell'ordine mondiale era già nell'aria. Serviva una mano ferma sul timone nazionale. Fu quella di Giorgio Napolitano. Serviva il rispetto rigoroso della Costituzione e delle prerogative istituzionali delle istituzioni della Repubblica. Equilibrio difficile da trovare.
Napolitano lo mantenne in circostante difficili, quando non si poteva rimanere spettatori ad un mondo che cambiava. Nel lavorare con lui, la continua sfida intellettuale era accompagnata dalla consapevolezza di contribuire alla tenuta del Paese sulla scena mondiale. Il nostro compito era tanto semplice quanto vasto: fornirgli un'analisi accurata di fatti, relazioni, connessioni, minacce e opportunità internazionali. A 360 gradi. Al resto – al cosa farne – pensava il presidente. L'uomo di Stato era lui. L'Italia gli deve molto. Noi gli dobbiamo molto per umanità e rigore, per passione verso l'accuratezza dei fatti, per aver tenuto alta la statura del Paese.
A tutti noi, anche ai più giovani, infondeva la certezza di essere utili al Paese insieme a lui. Ci stimolava a dare il massimo con entusiasmo e senso della responsabilità. Entrare nell'ufficio del presidente, dopo aver valicato le forche caudine degli uscieri in livrea e del benestare della segreteria (“oggi no. Torni domattina”), intimoriva ma appena dentro si avvertiva il tocco di umanità, l'impegno, il voler andare al cuore dei problemi. Il timore svaniva.
Giorgio Napolitano insegnava a volare alto, nonostante il peso dell'età e delle responsabilità. Ci ha reso orgogliosi di come eravamo rappresentati, all'estero e in Italia. Grazie presidente, sono stati anni indimenticabili», conclude il ricordo dei sei diplomatici, già al Quirinale.
Fonte: La Repubblica
«Siamo stati, insieme, l'ufficio diplomatico del Presidente della Repubblica negli ultimi tre anni (2010-2013) del primo mandato di Giorgio Napolitano. Avevamo la sfida di un presidente che di affari internazionali ne sapeva più di noi, ma la fortuna di imparare da lui. Non si lavorava “per” Napolitano; si lavorava “con” Napolitano.
Significava essere al centro della scena internazionale. Lo chiamavano Obama e Merkel. Si aprivano le porte di Pechino e di Gerusalemme. Noi aprivamo quelle di Roma.
Quando invitammo al Quirinale i leader di una novantina di Paesi per il 150° anniversario dell'Unità – e vennero anche per il prestigio di Giorgio Napolitano – facemmo politica internazionale: primo incontro di XI Jinping e Joe Biden, allora entrambi vicepresidenti: confidenziali messaggi del Vaticano; vicino di rango alla sfilata militare per Dmitri Medvedev, temporaneo presidente russo; una sedi in extremis per l'inviato turco e un posto a tavola per il presidente afghano, Hamid Karzai, comparsi all'ultim'ora. Tre mesi prima la sofferta, inevitabile, decisione italiana di sostenere la rivoluzione libica vide proprio il Quirinale ancorare la posizione italiana al quadro multilaterale ONU-UE-NATO. Ma che orgoglio attraversare gli Champs Elysees svuotati per farvi passare il presidente italiano in visita di Stato nel 2012!
Napolitano fondeva due fisionomie: uomo di Stato, istituzionalmente rigoroso, e uomo che sapeva unire. Era il custode dell'interesse unitario della nazione, al di sopra delle parti. Il percorso umano e politico, attraverso le drammatiche e contraddizioni del Secolo breve, destava ovunque profondo rispetto, per cultura, visione, capacità di ascoltare – gli incontri con gli ambasciatori stranieri erano perle di conversazione. Chi richiamava la centralità fondamentale del Parlamento nella democrazia italiana anziché, da diplomatici, ragionare in termini di cancellerie. Ci ispirava vocazione nazionale e sentire europeo, orgoglioso di aver contribuito alla pace e prosperità continentale.
La disgregazione dell'ordine mondiale era già nell'aria. Serviva una mano ferma sul timone nazionale. Fu quella di Giorgio Napolitano. Serviva il rispetto rigoroso della Costituzione e delle prerogative istituzionali delle istituzioni della Repubblica. Equilibrio difficile da trovare.
Napolitano lo mantenne in circostante difficili, quando non si poteva rimanere spettatori ad un mondo che cambiava. Nel lavorare con lui, la continua sfida intellettuale era accompagnata dalla consapevolezza di contribuire alla tenuta del Paese sulla scena mondiale. Il nostro compito era tanto semplice quanto vasto: fornirgli un'analisi accurata di fatti, relazioni, connessioni, minacce e opportunità internazionali. A 360 gradi. Al resto – al cosa farne – pensava il presidente. L'uomo di Stato era lui. L'Italia gli deve molto. Noi gli dobbiamo molto per umanità e rigore, per passione verso l'accuratezza dei fatti, per aver tenuto alta la statura del Paese.
A tutti noi, anche ai più giovani, infondeva la certezza di essere utili al Paese insieme a lui. Ci stimolava a dare il massimo con entusiasmo e senso della responsabilità. Entrare nell'ufficio del presidente, dopo aver valicato le forche caudine degli uscieri in livrea e del benestare della segreteria (“oggi no. Torni domattina”), intimoriva ma appena dentro si avvertiva il tocco di umanità, l'impegno, il voler andare al cuore dei problemi. Il timore svaniva.
Giorgio Napolitano insegnava a volare alto, nonostante il peso dell'età e delle responsabilità. Ci ha reso orgogliosi di come eravamo rappresentati, all'estero e in Italia. Grazie presidente, sono stati anni indimenticabili», conclude il ricordo dei sei diplomatici, già al Quirinale.
Fonte: La Repubblica