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Gaza: tregua a rischio, mediazioni e fronti aperti tra Libano e Iran

30-10-2025 17:38 - Opinioni
GD – Tel Aviv, 30 ott. 25 – La tregua tra Israele e Hamas regge ma scricchiola, sotto il peso di violazioni episodiche nella Striscia e di un’escalation lungo il confine libanese. La finestra negoziale aperta a metà ottobre grazie a Egitto, Qatar, Turchia e Stati Uniti richiede ora una gestione rigorosa: monitoraggio, chiarimenti sulle regole d’ingaggio e incentivi concreti per far durare il cessate il fuoco.
Sul terreno a Gaza, ore di fuoco alternano pause operative. Secondo i mediatori, lo schema resta valido: scambi graduali, maggiore accesso umanitario, riassetto di sicurezza in aree sensibili. Ma la dinamica resta fragile: accuse incrociate su chi abbia rotto per primo la tregua alimentano la sfiducia dell’opinione pubblica, mentre i corridoi per carburante e medicinali faticano a tenere il passo con i bisogni civili.
Il fronte nord aggiunge pressione. A Beirut, il presidente libanese Joseph Aoun ha incaricato l’esercito di “contrastare” nuove incursioni israeliane dopo un raid notturno nell’area di Blida, episodio che riaccende il contenzioso sul rispetto della linea di demarcazione e degli impegni assunti nel cessate il fuoco del 2024. Hezbollah sostiene politicamente la postura difensiva di Beirut; Israele replica con fuoco di controbatteria quando partono razzi o si segnalano movimenti ostili oltre confine. Il rischio di un cortocircuito tra teatro gazawi e scacchiere libanese resta la minaccia più insidiosa alla stabilità della tregua.
Sul piano diplomatico, le capitali arabe cercano di tenere in piedi la cornice. Il presidente egiziano ha discusso con il primo ministro del Kuwait la “piena attuazione” dell’intesa e l’avvio della ricostruzione, mentre a Doha il primo ministro Mohammed bin Abdulrahman Al Thani ha ribadito lo sforzo di garanzia sulla tenuta del pacchetto. La Turchia offre sponda tecnica sul monitoraggio. Bruxelles sostiene la sequenza tregua-ostaggi-aiuti, ma lega impegni aggiuntivi a verifiche sul terreno.
Intanto la partita regionale resta complessa. Nel Mar Rosso, dopo settimane di attacchi contro la navigazione commerciale, gli operatori testano timidamente nuove rotte: assicurazioni e compagnie guardano ai segnali di rischio legati alle scelte dei ribelli yemeniti, tradizionalmente sensibili alla temperatura del conflitto su Gaza.
Sull’asse Teheran-IAEA, l’attrito continua: l’Iran critica il ruolo dell’Agenzia dopo i voti di censura e gli attacchi estivi ai siti nucleari, alimentando incertezze sul dossier e sulle ispezioni.
Che cosa serve ora per evitare il riflusso? Primo, un meccanismo di verifica con tempi certi, accessi garantiti e facoltà di arbitrato tecnico su punti controversi: perimetri di ritiro, libertà di movimento, liste per gli scambi. Secondo, “linee rosse” chiare su Nord e Sud, per separare la gestione della tregua a Gaza dal fronte libanese e impedire che incidenti locali producano ritorsioni a catena. Terzo, incentivi coordinati: alleggerimenti mirati sulle restrizioni in cambio di progressi verificabili su ostaggi e aiuti, con clausole di “snap-back” in caso di violazioni.
Per le parti, la metrica di successo è pragmatica. Per Israele: riduzione misurabile delle minacce, liberazione completa degli ostaggi, contenimento del riarmo. Per Hamas: stop stabile alle ostilità, prevedibilità sugli scambi, garanzie su aiuti e amministrazione civile. Per attori terzi arabi: evitare il collasso umanitario e prevenire un allargamento che travolga Libano e traffici nel Mar Rosso. Un coordinamento serrato con l’Onu resta la condizione per scalare gli aiuti e ridurre la volatilità.
Sul versante economico, la riapertura ordinata dei corridoi commerciali e del Canale di Suez dipende dalla percezione di rischio: armatori e assicuratori valutano premi e rotte anche, mentre Egitto studia piani di ripristino dei volumi. Ogni picco di violenza a Gaza o su confine con il Libano si riflette subito sui noli e sulle scelte delle compagnie, con effetti a catena su filiere europee e asiatiche.
Conclusione: la tregua è una piattaforma, non un punto d’arrivo. Senza strumenti anti-sabotaggio credibili e una diplomazia di prossimità sul confine nord, la finestra potrebbe richiudersi. La priorità immediata è trasformare giorni senza bombardamenti in settimane di applicazione verificata: solo così la spirale di incidenti potrà lasciare spazio a un de-escalation strutturale e a un calendario realistico per ricostruzione e sicurezza.

Giampaolo Eleuteri
Analista dell'area MENA


Fonte: Giampaolo Eleuteri