Gaza sotto assedio, UE divisa sul riconoscimento della Palestina
01-10-2025 16:55 - Opinioni
GD – Tel Aviv, 1 ott. 25 – L’offensiva di Israele nella Striscia di Gaza ha appena vissuto una nuova escalation. Nelle ultime ventiquattro ore l’IDF ha intensificato raid aerei e colpi di artiglieria su Gaza City, prendendo di mira postazioni di Hamas, ma colpendo anche aree residenziali. Secondo il ministero della Salute di Gaza i morti superano quota ottanta e i feriti sono oltre trecento. Tel Aviv afferma di avere neutralizzato depositi d’armi e di avere ucciso comandanti locali, ma ammette che la resistenza rimane forte nei quartieri di Shuja’iyya e Sabra.
Le Nazioni Unite avvertono che il nord della Striscia è prossimo a una carestia: la chiusura del valico di Zikim ha quasi azzerato l’ingresso di aiuti e carburante. Israele riconosce come “zone protette” soltanto gli ospedali, mentre gli altri centri potrebbero essere considerati obiettivi militari se sospettati di legami con Hamas. Più di mezzo milione di civili ha già
lasciato la città.
Sul piano politico l’Unione Europea appare divisa. A Londra il governo di Keir Starmer è pronto a riconoscere ufficialmente lo Stato di Palestina, mentre a New York il Portogallo annuncia il riconoscimento alla presenza del presidente Marcelo Rebelo de Sousa e del ministro Paulo Rangel. Queste iniziative suscitano fratture tra i Paesi europei: alcuni le considerano un passo necessario per sbloccare il negoziato, altri temono di incrinare i rapporti con Israele e Stati uniti.
L’Iran, tramite i Guardiani della Rivoluzione, ha avvertito che risponderà in modo letale a ogni ulteriore aggressione israeliana o statunitense. Il monito giunge in un contesto di rinnovata pressione sanzionatoria esercitata da Francia, Germania e Regno Unito in sede ONU. L’ipotesi di un allargamento regionale del conflitto rimane concreta, alimentata dal
deteriorarsi dei rapporti tra Teheran e Tel Aviv.
Altri attori regionali adottano misure di contenimento. L’Egitto rafforza i controlli al valico di Rafah per timore di flussi di profughi verso il Sinai. La Turchia ha convocato l’ambasciatore israeliano ad Ankara e sollecita una riunione urgente dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica. Entrambi cercano di preservare un ruolo di mediazione, ma le
rispettive opinioni pubbliche spingono verso posizioni più rigide.
Gli Stati uniti continuano a dichiarare sostegno alla sicurezza di Israele, ma il Dipartimento di Stato invita il governo di Benjamin Netanyahu a garantire corridoi umanitari sicuri e a rispettare il diritto internazionale. La Casa Bianca teme che un’operazione prolungata senza un piano politico possa indebolire il dialogo con gli alleati arabi.
Sul fronte settentrionale rimane tesa la situazione al confine con il Libano. Hezbollah non ha aperto un secondo fronte ma intensifica il proprio schieramento lungo la Linea Blu, segnalando di poter intervenire se le operazioni a Gaza dovessero proseguire senza limiti.
La missione Unifil monitora con attenzione, ma la fragilità politica libanese complica ogni tentativo di contenimento.
In Israele l’arresto dell’ex deputata Hanin Zoabi, accusata di incitamento al terrorismo per dichiarazioni rilasciate nel 2024, mostra come il conflitto stia restringendo lo spazio della dialettica politica interna, aggravando le fratture sociali.
L’insieme di questi sviluppi intreccia tre dimensioni: l’assedio militare a Gaza, il dibattito europeo sul riconoscimento della Palestina e il gioco delle potenze regionali. Nel breve periodo Israele punta a logorare le capacità operative di Hamas; nel medio la possibilità di stabilizzazione dipenderà dall’equilibrio tra pressioni diplomatiche, tutela dei civili e apertura di corridoi umanitari affidabili.
Giampaolo Eleuteri
analista di geopolitica ed esperto area MENA
Fonte: Giampaolo Eleuteri
Le Nazioni Unite avvertono che il nord della Striscia è prossimo a una carestia: la chiusura del valico di Zikim ha quasi azzerato l’ingresso di aiuti e carburante. Israele riconosce come “zone protette” soltanto gli ospedali, mentre gli altri centri potrebbero essere considerati obiettivi militari se sospettati di legami con Hamas. Più di mezzo milione di civili ha già
lasciato la città.
Sul piano politico l’Unione Europea appare divisa. A Londra il governo di Keir Starmer è pronto a riconoscere ufficialmente lo Stato di Palestina, mentre a New York il Portogallo annuncia il riconoscimento alla presenza del presidente Marcelo Rebelo de Sousa e del ministro Paulo Rangel. Queste iniziative suscitano fratture tra i Paesi europei: alcuni le considerano un passo necessario per sbloccare il negoziato, altri temono di incrinare i rapporti con Israele e Stati uniti.
L’Iran, tramite i Guardiani della Rivoluzione, ha avvertito che risponderà in modo letale a ogni ulteriore aggressione israeliana o statunitense. Il monito giunge in un contesto di rinnovata pressione sanzionatoria esercitata da Francia, Germania e Regno Unito in sede ONU. L’ipotesi di un allargamento regionale del conflitto rimane concreta, alimentata dal
deteriorarsi dei rapporti tra Teheran e Tel Aviv.
Altri attori regionali adottano misure di contenimento. L’Egitto rafforza i controlli al valico di Rafah per timore di flussi di profughi verso il Sinai. La Turchia ha convocato l’ambasciatore israeliano ad Ankara e sollecita una riunione urgente dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica. Entrambi cercano di preservare un ruolo di mediazione, ma le
rispettive opinioni pubbliche spingono verso posizioni più rigide.
Gli Stati uniti continuano a dichiarare sostegno alla sicurezza di Israele, ma il Dipartimento di Stato invita il governo di Benjamin Netanyahu a garantire corridoi umanitari sicuri e a rispettare il diritto internazionale. La Casa Bianca teme che un’operazione prolungata senza un piano politico possa indebolire il dialogo con gli alleati arabi.
Sul fronte settentrionale rimane tesa la situazione al confine con il Libano. Hezbollah non ha aperto un secondo fronte ma intensifica il proprio schieramento lungo la Linea Blu, segnalando di poter intervenire se le operazioni a Gaza dovessero proseguire senza limiti.
La missione Unifil monitora con attenzione, ma la fragilità politica libanese complica ogni tentativo di contenimento.
In Israele l’arresto dell’ex deputata Hanin Zoabi, accusata di incitamento al terrorismo per dichiarazioni rilasciate nel 2024, mostra come il conflitto stia restringendo lo spazio della dialettica politica interna, aggravando le fratture sociali.
L’insieme di questi sviluppi intreccia tre dimensioni: l’assedio militare a Gaza, il dibattito europeo sul riconoscimento della Palestina e il gioco delle potenze regionali. Nel breve periodo Israele punta a logorare le capacità operative di Hamas; nel medio la possibilità di stabilizzazione dipenderà dall’equilibrio tra pressioni diplomatiche, tutela dei civili e apertura di corridoi umanitari affidabili.
Giampaolo Eleuteri
analista di geopolitica ed esperto area MENA
Fonte: Giampaolo Eleuteri