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G20 su Afghanistan: c’è molto ancora da fare per crisi umanitaria

12-10-2021 22:52 - Opinioni
Foto UNICEF Foto UNICEF
GD - Roma, 12 ott. 21 - Sullo sfondo della sfida USA-Cina, luci e ombre sugli esiti del summit promosso dalla Presidenza italiana del G20. La metafora del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto è notoriamente abusata nelle questioni riguardanti l'attuale contesto delle relazioni internazionali. Non meraviglia quindi che questa trovi ulteriore conferma anche per tracciare un primo bilancio del G20 sull'Afghanistan svoltosi in tre ore di conferenza virtuale. Vanno colti certamente alcuni profili positivi dell'iniziativa promossa dalla Presidenza italiana, ormai al termine del suo turno alla guida del forum delle 20 più grandi economie del mondo, che si concluderà con il vertice del 30 e 31 di ottobre.
Un primo aspetto favorevole riguarda l'esito di un approccio “multilaterale” sul tema della crisi afgana, sottolineato dal premier Draghi, affatto scontato in un momento in cui gli scenari della sicurezza globale sono stati scossi dall'ultimo capitolo della sfida tra USA e Cina sul quadrante dell'Indopacifico.
Al centro è stata posta giustamente la questione umanitaria, e una prima risposta concreta è venuta stavolta dall'Unione Europea per voce della presidente della commissione Ursula von der Leyen che ha annunciato la messa in campo di un miliardo di euro in aiuti alla popolazione afghana e per i paesi limitrofi che stanno affrontando il peso dei primi rifugiati.
«Dobbiamo fare tutto il possibile per evitare un grave collasso umanitario e socio-economico in Afghanistan. Dobbiamo farlo in fretta», ha sottolineato, ricordando il deterioramento delle condizioni di sopravvivenza per «centinaia di migliaia di afghani a rischio con l'inverno in arrivo».
Sulla stessa linea il Presidente degli Stati Uniti Biden, che ha concluso il suo intervento confermando «un'impegno collettivo a sostegno della popolazione».
Una nota della Casa Bianca ha precisato la volontà di fornire assistenza umanitaria «direttamente al popolo afghano attraverso organizzazioni internazionali indipendenti» e di «promuovere i diritti umani fondamentali per tutti gli afghani, comprese donne, ragazze e membri di gruppi minoritari».
Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha quindi indicato quattro strade da percorrere: «aiuti contro la crisi umanitaria; percorso di sviluppo aperto e inclusivo; tolleranza zero sul terrorismo; consenso e sinergie tra vari meccanismi legati all'Afghanistan».
Con una precisazione: «Imporre la propria ideologia agli altri, interferire negli affari interni di altri paesi o ricorrere all'intervento militare non porterà che a continui disordini e povertà». L'annotazione di Pechino sembra marcare perciò una certa differenza sul rapporto con il governo dei talebani, che il G20 non ha voluto affrontare, compiendo al momento una scelta di fondo: per l'assegnazione e la gestione degli aiuti alla popolazione occorrerà affidarsi alle agenzie delle Nazioni Unite e non al governo talebano, sulla cui “riconoscibilità” condizionata il G20 non ha voluto pronunciarsi per ora. La questione è stata posta più nettamente dal presidente turco Erdogan: «La Turchia non può permettersi un nuovo flusso di migranti dall'Afghanistan, ne sarebbero colpiti anche i Paesi europei», ha esordito, indicando quindi la necessità di «dare ai talebani la direzione affinché formino un governo inclusivo» e di «tenere aperti i canali di dialogo» con i talebani, perché «non ci si può permettere il lusso di abbandonare un Paese reduce da 40 anni di guerra».
Il problema, dunque, per la comunità internazionale sarà come assicurarsi che le Nazioni Unite possano aiutare un Paese che rischia il collasso strutturale senza coinvolgere il governo dei talebani che lo guida, e che di fatto erano stati ritenuti rappresentativi dalla potenza occupante. Quegli Stati Uniti che proprio con i talebani hanno sottoscritto gli accordi Doha, peraltro ratificati - non dimentichiamolo - anche con una Risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Siamo dunque ancora a un punto di partenza, di fronte ai problemi irrisolti di 38 milioni di afghani che stanno affrontando forse la più grave crisi umanitaria del secolo.

Maurizio Delli Santi
membro dell'International LawAssociation


Fonte: Maurizio Dalli Santi
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