Feluche rosa: perché poche donne aspirano a carriera diplomatica
02-03-2025 18:14 - Ambasciate
GD – Roma, 2 mar. 25 - Feluche rosa. Perché ci sono così poche donne diplomatiche coinvolte nei processi di pace? All’interrogativo posto da Adelaide Barigozzi del periodico “ELLE” ha risposto Serena Lippi, che presiede l’Associazione Donne Diplomatiche Italiane.
Fino a non molto tempo fa l’ambasciatrice era soltanto “la moglie dell’ambasciatore”: la possibilità che una donna abbracciasse questo tipo di carriera e, oltretutto, raggiungesse il massimo incarico, non era contemplata. Oggi, per fortuna, non è più così, ma la diplomazia continua a essere un mestiere maschile: nel mondo appena il 15% circa di chi lavora in questo campo è di genere femminile. In Italia la percentuale è al 24%. Eppure, le donne in questo ambito fanno la differenza. A spiegarlo è Serena Lippi, consigliera diplomatica del ministro Giuseppe Valditara e presidente dell’Associazione Donne Diplomatiche Italiane, che allo scorso forum di “Elle Active! 2024” aveva partecipato proprio a un confronto sul divario di genere nelle professioni.
D.: Come mai in Italia la carriera diplomatica sembra essere riservata soprattutto agli uomini?
* Serena Lippi: «Scontiamo un grande ritardo. Le donne sono entrate in diplomazia per la prima volta solo nel 1967 e questo in seguito alla sentenza 33 del 1960 della Corte Costituzionale, su ricorso di Rosa Oliva, che aprì le carriere pubbliche, fino ad allora precluse alle donne. E per avere la prima ambasciatrice bisognò aspettare il 1985».
D.: A livello internazionale le cose vanno anche peggio. Perché?
* Serena Lippi: «La percentuale della presenza femminile nel mondo è del 15%, quindi il gender gap è tuttora notevole, ma con grandi differenze tra Paesi: nei più virtuosi come USA, Finlandia e Svezia si tocca il 40% e oltre; in altri come la Francia c’è un netto progresso. L’Italia invece in Europa è il fanalino di coda insieme alla Grecia. All’ultimo concorso sono entrate 12 donne su 48 aspiranti. Quando ho dato l’esame io, nel 2000, eravamo 9 su 40 iscritti».
D.: Anche nei complessi scenari internazionali di oggi è raro vedere donne tra i negoziatori. In che modo la loro presenza potrebbe fare la differenza?
* Serena Lippi: «In realtà, la diplomazia è una professione particolarmente adatta alle donne. Abbiamo maggiori capacità relazionali e di negoziazione e poi siamo curiose, versatili e sensibili. Alcuni studi hanno dimostrato che la presenza femminile nelle negoziazioni di pace ne determina una maggiore probabilità di successo. Ma per modernizzare le politiche di genere c’è bisogno naturalmente anche del sostegno degli uomini, dobbiamo collaborare, lavorare insieme».
D.: Sono ancora poche le ragazze che scelgono questa professione. Come incentivarle?
* Serena Lippi: «È importante sfatare una volta per tutte l’idea che la carriera diplomatica non sarebbe adatta alle donne perché impedirebbe loro di costruirsi una famiglia. Io stessa me lo sono sentita dire a 22 anni da un mio docente, ma è un pregiudizio basato su una concezione della società ormai superata: oggi uomini e donne si dividono i compiti, anche in diplomazia. E io ne sono la prova: la carriera che ho scelto non mi ha impedito di avere un marito e due figli. Al contrario, è una professione entusiasmante, ti permette di rappresentare il tuo Paese e ti porta a spostarti, a conoscere diverse culture. Ci vorrebbe un maggiore orientamento nelle università».
D.: Qual è il percorso di studi che consiglia?
* Serena Lippi: «Io non sognavo la carriera diplomatica fin da ragazzina, volevo una professione dinamica che mi permettesse di viaggiare, così ho studiato Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla LUISS. Il concorso, che prevede una preselezione a quiz, una prova scritta e una orale, è molto difficile, ma esistono corsi preparatori. La nostra associazione finanzia borse di studio e di recente abbiamo premiato una studentessa che ha superato gli scritti ed è stata ammessa agli orali».
D.: Che segnali ci sono, dunque, per il futuro, riguardo il gender gap?
* Serena Lippi: «Sebbene lentamente, le cose stanno cambiando e ai concorsi si presentano sempre più donne. È importante: vogliamo una diplomazia più inclusiva, in modo che non succeda più, come purtroppo spesso capita, di avere delle delegazioni italiane composte solo da uomini».
Fonte: ELLE
Fino a non molto tempo fa l’ambasciatrice era soltanto “la moglie dell’ambasciatore”: la possibilità che una donna abbracciasse questo tipo di carriera e, oltretutto, raggiungesse il massimo incarico, non era contemplata. Oggi, per fortuna, non è più così, ma la diplomazia continua a essere un mestiere maschile: nel mondo appena il 15% circa di chi lavora in questo campo è di genere femminile. In Italia la percentuale è al 24%. Eppure, le donne in questo ambito fanno la differenza. A spiegarlo è Serena Lippi, consigliera diplomatica del ministro Giuseppe Valditara e presidente dell’Associazione Donne Diplomatiche Italiane, che allo scorso forum di “Elle Active! 2024” aveva partecipato proprio a un confronto sul divario di genere nelle professioni.
D.: Come mai in Italia la carriera diplomatica sembra essere riservata soprattutto agli uomini?
* Serena Lippi: «Scontiamo un grande ritardo. Le donne sono entrate in diplomazia per la prima volta solo nel 1967 e questo in seguito alla sentenza 33 del 1960 della Corte Costituzionale, su ricorso di Rosa Oliva, che aprì le carriere pubbliche, fino ad allora precluse alle donne. E per avere la prima ambasciatrice bisognò aspettare il 1985».
D.: A livello internazionale le cose vanno anche peggio. Perché?
* Serena Lippi: «La percentuale della presenza femminile nel mondo è del 15%, quindi il gender gap è tuttora notevole, ma con grandi differenze tra Paesi: nei più virtuosi come USA, Finlandia e Svezia si tocca il 40% e oltre; in altri come la Francia c’è un netto progresso. L’Italia invece in Europa è il fanalino di coda insieme alla Grecia. All’ultimo concorso sono entrate 12 donne su 48 aspiranti. Quando ho dato l’esame io, nel 2000, eravamo 9 su 40 iscritti».
D.: Anche nei complessi scenari internazionali di oggi è raro vedere donne tra i negoziatori. In che modo la loro presenza potrebbe fare la differenza?
* Serena Lippi: «In realtà, la diplomazia è una professione particolarmente adatta alle donne. Abbiamo maggiori capacità relazionali e di negoziazione e poi siamo curiose, versatili e sensibili. Alcuni studi hanno dimostrato che la presenza femminile nelle negoziazioni di pace ne determina una maggiore probabilità di successo. Ma per modernizzare le politiche di genere c’è bisogno naturalmente anche del sostegno degli uomini, dobbiamo collaborare, lavorare insieme».
D.: Sono ancora poche le ragazze che scelgono questa professione. Come incentivarle?
* Serena Lippi: «È importante sfatare una volta per tutte l’idea che la carriera diplomatica non sarebbe adatta alle donne perché impedirebbe loro di costruirsi una famiglia. Io stessa me lo sono sentita dire a 22 anni da un mio docente, ma è un pregiudizio basato su una concezione della società ormai superata: oggi uomini e donne si dividono i compiti, anche in diplomazia. E io ne sono la prova: la carriera che ho scelto non mi ha impedito di avere un marito e due figli. Al contrario, è una professione entusiasmante, ti permette di rappresentare il tuo Paese e ti porta a spostarti, a conoscere diverse culture. Ci vorrebbe un maggiore orientamento nelle università».
D.: Qual è il percorso di studi che consiglia?
* Serena Lippi: «Io non sognavo la carriera diplomatica fin da ragazzina, volevo una professione dinamica che mi permettesse di viaggiare, così ho studiato Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla LUISS. Il concorso, che prevede una preselezione a quiz, una prova scritta e una orale, è molto difficile, ma esistono corsi preparatori. La nostra associazione finanzia borse di studio e di recente abbiamo premiato una studentessa che ha superato gli scritti ed è stata ammessa agli orali».
D.: Che segnali ci sono, dunque, per il futuro, riguardo il gender gap?
* Serena Lippi: «Sebbene lentamente, le cose stanno cambiando e ai concorsi si presentano sempre più donne. È importante: vogliamo una diplomazia più inclusiva, in modo che non succeda più, come purtroppo spesso capita, di avere delle delegazioni italiane composte solo da uomini».
Adelaide Barigozzi
Fonte: ELLE