Doha colpita: il Qatar tra mediazione e sovranità dopo raid israeliano
11-09-2025 10:58 - Opinioni
GD – Roma, 11 set. 25 – L'attacco israeliano contro la leadership di Hamas a Doha segna un passaggio cruciale nella crisi mediorientale. È la prima volta che la capitale del Qatar, da anni considerata un centro di mediazione e di equilibrio, viene direttamente trascinata nel cuore del conflitto israelo-palestinese. La relativa “zona franca” diplomatica del Golfo è stata spezzata da un'operazione che ha conseguenze politiche e strategiche non solo per l'Emirato, ma per l'intera regione.
Secondo fonti ufficiali, i bombardamenti hanno preso di mira un complesso residenziale nel quartiere di Leqtaifiya, dove si trovavano membri di primo piano di Hamas. Tra loro Khalil al-Hayya e Khaled Mashal, sopravvissuti all'attacco, mentre sei persone hanno perso la vita, incluse le guardie del corpo, un funzionario qatariota e il figlio di al-Hayya.
L'operazione è stata definita da Israele “necessaria e proporzionata”, ma ha scatenato un'immediata condanna da parte delle autorità di Doha, che hanno parlato di “violazione della sovranità” e di un “atto contrario al diritto internazionale”.
La reazione internazionale è stata immediata. Gli Stati Uniti hanno dichiarato di essere stati informati con scarso preavviso e hanno preso le distanze dall'azione, sottolineando la necessità di preservare i canali diplomatici. L'Unione Europea ha espresso “grave preoccupazione” per le prospettive di pace, mentre la Lega Araba ha denunciato l'attacco come una nuova escalation. Papa Leone XIV è intervenuto definendo la situazione “estremamente seria” e invitando tutte le parti a tornare al tavolo negoziale.
Il raid colpisce nel vivo il ruolo che il Qatar ha costruito negli ultimi anni. Doha è stata sede di negoziati, interlocutore di Washington e piattaforma di mediazione tra Israele, Stati Uniti, movimenti palestinesi e Governi arabi.
La scelta israeliana di colpire direttamente sul territorio del Qatar mina questa credibilità, costringendo l'Emirato a ridefinire la propria postura. Restare neutrale appare sempre più difficile: la pressione interna per riaffermare la sovranità si somma alla necessità di mantenere la fiducia degli alleati occidentali.
Sul piano regionale, l'attacco rischia di generare un effetto domino. Se un Paese del Golfo, che ospita basi militari americane e rappresenta un hub energetico globale, può essere colpito, nessuno spazio appare più immune dalla guerra. Gli altri Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo osservano con timore, consapevoli che la stabilità del loro stesso territorio potrebbe essere messa in discussione.
L'azione israeliana va interpretata anche come segnale strategico: Hamas non può sentirsi al sicuro neppure al di fuori di Gaza. Ma questo calcolo rischia di alimentare nuove tensioni, non solo tra i sostenitori del movimento palestinese, ma anche tra Governi tradizionalmente alleati dell'Occidente. Per Israele, il guadagno tattico immediato si accompagna al rischio di una perdita diplomatica più ampia.
Il Qatar, dal canto suo, si trova davanti a un bivio. Continuare a proporsi come mediatore significa accettare la vulnerabilità e la possibilità di altri episodi simili. Assumere una posizione più ferma significa invece rivedere l'equilibrio tra neutralità e sicurezza, rischiando di incrinare i rapporti con Israele e con alcuni partner occidentali.
In prospettiva, l'attacco a Doha non rappresenta soltanto un episodio circoscritto, ma un precedente che ridisegna i confini della crisi. La guerra israelo-palestinese non è più confinata a Gaza o ai territori occupati: si proietta ormai nei centri del potere regionale. Questo mutamento obbliga le Istituzioni Internazionali e i principali attori globali a riconsiderare le proprie strategie. Se anche le Capitali del Golfo diventano teatro del conflitto, la diplomazia deve muoversi con maggiore urgenza e coerenza.
Il futuro del Qatar come mediatore dipenderà dalla sua capacità di bilanciare due priorità: da un lato, difendere la sovranità e rispondere all'attacco subito; dall'altro, preservare la funzione di ponte tra mondi diversi, che lo ha reso attore indispensabile. La risposta che Doha saprà dare determinerà non solo il suo ruolo negli anni a venire, ma anche la possibilità di mantenere una fragile architettura di dialogo nel Medio Oriente.
Giampaolo Eleuteri
analista di geopolitica ed esperto area MENA
Fonte: Giampaolo Eleuteri
Secondo fonti ufficiali, i bombardamenti hanno preso di mira un complesso residenziale nel quartiere di Leqtaifiya, dove si trovavano membri di primo piano di Hamas. Tra loro Khalil al-Hayya e Khaled Mashal, sopravvissuti all'attacco, mentre sei persone hanno perso la vita, incluse le guardie del corpo, un funzionario qatariota e il figlio di al-Hayya.
L'operazione è stata definita da Israele “necessaria e proporzionata”, ma ha scatenato un'immediata condanna da parte delle autorità di Doha, che hanno parlato di “violazione della sovranità” e di un “atto contrario al diritto internazionale”.
La reazione internazionale è stata immediata. Gli Stati Uniti hanno dichiarato di essere stati informati con scarso preavviso e hanno preso le distanze dall'azione, sottolineando la necessità di preservare i canali diplomatici. L'Unione Europea ha espresso “grave preoccupazione” per le prospettive di pace, mentre la Lega Araba ha denunciato l'attacco come una nuova escalation. Papa Leone XIV è intervenuto definendo la situazione “estremamente seria” e invitando tutte le parti a tornare al tavolo negoziale.
Il raid colpisce nel vivo il ruolo che il Qatar ha costruito negli ultimi anni. Doha è stata sede di negoziati, interlocutore di Washington e piattaforma di mediazione tra Israele, Stati Uniti, movimenti palestinesi e Governi arabi.
La scelta israeliana di colpire direttamente sul territorio del Qatar mina questa credibilità, costringendo l'Emirato a ridefinire la propria postura. Restare neutrale appare sempre più difficile: la pressione interna per riaffermare la sovranità si somma alla necessità di mantenere la fiducia degli alleati occidentali.
Sul piano regionale, l'attacco rischia di generare un effetto domino. Se un Paese del Golfo, che ospita basi militari americane e rappresenta un hub energetico globale, può essere colpito, nessuno spazio appare più immune dalla guerra. Gli altri Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo osservano con timore, consapevoli che la stabilità del loro stesso territorio potrebbe essere messa in discussione.
L'azione israeliana va interpretata anche come segnale strategico: Hamas non può sentirsi al sicuro neppure al di fuori di Gaza. Ma questo calcolo rischia di alimentare nuove tensioni, non solo tra i sostenitori del movimento palestinese, ma anche tra Governi tradizionalmente alleati dell'Occidente. Per Israele, il guadagno tattico immediato si accompagna al rischio di una perdita diplomatica più ampia.
Il Qatar, dal canto suo, si trova davanti a un bivio. Continuare a proporsi come mediatore significa accettare la vulnerabilità e la possibilità di altri episodi simili. Assumere una posizione più ferma significa invece rivedere l'equilibrio tra neutralità e sicurezza, rischiando di incrinare i rapporti con Israele e con alcuni partner occidentali.
In prospettiva, l'attacco a Doha non rappresenta soltanto un episodio circoscritto, ma un precedente che ridisegna i confini della crisi. La guerra israelo-palestinese non è più confinata a Gaza o ai territori occupati: si proietta ormai nei centri del potere regionale. Questo mutamento obbliga le Istituzioni Internazionali e i principali attori globali a riconsiderare le proprie strategie. Se anche le Capitali del Golfo diventano teatro del conflitto, la diplomazia deve muoversi con maggiore urgenza e coerenza.
Il futuro del Qatar come mediatore dipenderà dalla sua capacità di bilanciare due priorità: da un lato, difendere la sovranità e rispondere all'attacco subito; dall'altro, preservare la funzione di ponte tra mondi diversi, che lo ha reso attore indispensabile. La risposta che Doha saprà dare determinerà non solo il suo ruolo negli anni a venire, ma anche la possibilità di mantenere una fragile architettura di dialogo nel Medio Oriente.
Giampaolo Eleuteri
analista di geopolitica ed esperto area MENA
Fonte: Giampaolo Eleuteri