06 Dicembre 2024
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Clima: dopo Baku dove si vuol andare? Ripartire o azzerare Accordo Parigi?

28-11-2024 20:09 - Opinioni
GD - Roma, 28 nov. 24 - Chiunque scriva articoli deve mettersi nei panni del proprio lettore e comprendere se un determinato linguaggio possa essere comprensibile ai più o sia, invece, destinato ad un particolare tipo di lettore.
Il mio ragionamento vuole tentare di far capire se i tanti discorsi che si sono fatti sulla COP29 siano stati o meno comprensibili ai più.
Per circa dieci giorni in televisione e sulle pagine dei giornali si è parlato e scritto della COP29 che si è svolta dall'11 al 22 novembre a Baku in Azerbaijan, e si è cercato di raccontare quello che stava succedendo e le decisioni che sono state assunte da questo importante vertice mondiale su temi molto importanti per il benessere collettivo e per la salvaguardia del nostro Pianeta.
L'acronimo COP sta per “Conference of the Parties”, ovvero la Conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si svolge annualmente e quest'anno è arrivata alla sua 29ª edizione.
È un summit che riunisce i 200 Paesi che hanno firmato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici.
Ed anche quando si parla di clima non tutti sanno di cosa si sta parlando e nemmeno cercano di entrare nel merito del tema, figuriamoci quando si tratta di negoziati internazionali e di decine di Paesi che si riuniscono per cercare di salvare il Pianeta.
Voglio evitare di parlare nel merito di quanto è successo, lo farò soltanto brevemente per dare un senso compiuto al discorso.
La prima COP si è riunita a Berlino nel 1995, ma tutto era iniziato nel 1992 con la Conferenza ONU su Ambiente e Sviluppo, che si è svolta nel 1992 a Rio de Janeiro, che aveva l'obiettivo di stabilizzare le concentrazioni atmosferiche di gas serra derivanti dalle attività umane e di prevenirne gli effetti pericolosi sul Pianeta. Sono tre anni consecutivi in cui non si riesce a fare grandi passi in avanti.
Ho il dubbio legittimo di ritenere che molto possa dipendere dalla località dove il vertice si è svolto.
Pensare infatti di discutere di riduzione delle emissioni in atmosfera dei gas responsabili dell'aumento della temperatura in Paesi che sono grossi produttori di petrolio e gas mi sembra un vero paradosso.
Nella Cop27 del 2022 di Sharm el-Sheikh, che è stata presieduta dall'Egitto, Paese notoriamente produttore di petrolio, non è stato sottoscritto alcun impegno concreto.
Purtroppo il peggio è arrivato nelle ultime due COP. Lo scorso anno la Cop28 si è svolta a Dubai (altro Paese petrolifero!) ed è stata presieduta dall'emiro Sultan Al Jaber, capo di una delle compagnie petrolifere di Stato più grandi al mondo, l'Abu Dhabi National Oil Company.
Ricordiamo tutti come è finita.
Con il presidente che, tra la sorpresa dei presenti, ha dichiarato che "Nessuna scienza dimostra che un'uscita dai combustibili fossili è necessaria per limitare il riscaldamento globale….”, salvo subito dopo smentire sotto la pressione di gran parte degli Stati presenti e dello stesso monarca del suo Paese, conscio della brutta figura che rischiava di fare di fronte al mondo.
Quest'anno si è svolta a Baku in Azerbaigian che oltre al petrolio è Paese ricco anche di gas naturale ed è pure uno dei principali fornitori di petrolio greggio del nostro Paese.
Anche in questo caso, a presiedere la COP29 c'è stato un petroliere, Mukhtar Babayev, che oltre ad essere il ministro dell'Ambiente dell'Azerbaijan è stato e lo è tuttora dirigente della State Oil Company of the Azerbaijan Republic (Socar), ossia la società azera produttrice di petrolio e gas naturale di proprietà statale che, con un valore di 20 miliardi di dollari, è considerata un'importante fonte di reddito per il regime dell'Azerbaigian.
Ed anche a Baku, come a Dubai, sono mancati i leader delle principali economie del mondo, USA, Cina e la stessa presidente della Commissione Europea.
Ovviamente ciò ha finito per condizionare l'esito del summit, oltre allo spettro del ritiro dagli accordi di Parigi annunciato dal neo eletto presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.
I Paesi in via di sviluppo per adattarsi al riscaldamento globale e sviluppare le fonti rinnovabili avevano chiesto un investimento minimo di 1300 miliardi, ma ne sono arrivati soltanto 300 facendo gridare al tradimento i Paesi più vulnerabili e, comunque, costretti a sottoscrivere un cattivo accordo piuttosto che nessun accordo.
Si è sperato fino all'ultimo che arrivasse il contributo della Cina e dei Paesi Arabi ma ciò non è accaduto.
Anzi la Cina, che in materia di transizione energetica sta raggiungendo obiettivi importanti con una forte installazione di energia rinnovabile, ha insistito affinché fosse considerata ancora un Paese in via di sviluppo per poter usufruire dei sussidi, anche se in realtà, in qualche modo, sta contribuendo ai finanziamenti globali per il clima.
E due settimane di negoziati non sono stati sufficienti per scrivere un accordo che fosse in linea con gli obiettivi fissati a Parigi nel 2015.
Ed i risultati sono stati completamente al ribasso rispetto alle aspettative della vigilia.
Comunque c'era da aspettarselo dopo aver registrato la presenza massiccia a Baku di aziende produttrici di combustibili fossili arrivati là con i loro lobbisti per vigilare sulle decisioni del Summit.
La strada da percorrere è ancora lunga ma potrebbe esserci un pò di speranza davanti all'annuncio di alcuni Paesi produttori di petrolio, come Messico, Colombia, Indonesia e Brasile, di impegnarsi per la transizione energetica.
Ma ricordiamo che anche lo scorso anno si era messo nero su bianco l'obiettivo dell'allontanamento dai combustibili fossili subìto in qualche modo dai Paesi arabi.
Quel riferimento nel documento di Baku è completamente sparito per la ferma opposizione dei Paesi arabi.
Ma, come si suol dire, al peggio non c'è mai fine e l'ONU, questo inutile organismo, ha deciso che il prossimo anno la Cop30 si svolgerà nella città di Belem, in Brasile.
A distanza, quindi, di oltre trenta anni dalla Conferenza ONU su Ambiente e Sviluppo che si è svolta a Rio de Janeiro nel 1992, l'anno prossimo si ritorna in Brasile.
Tornare al punto da dove si è partiti può significare due cose: che si voglia ripartire con maggiore determinazione, oppure che si voglia definitivamente chiudere ed azzerare l'Accordo di Parigi.
La Cop30 si presenta infatti addirittura peggio delle precedenti perché oggi il Brasile è già il primo produttore di petrolio greggio e gas in Sud America e si prevede che entro il 2030 possa diventare uno dei primi cinque produttori di idrocarburi al mondo, dopo USA, Arabia Saudita, Russia, Canada e potrebbe superare addirittura la Cina e l'Iraq.
Sinceramente spero nella prima ipotesi, ma ci sono molti segnali che mi fanno fortemente dubitare.

Franco Torchia
Analista di geopolitica


Fonte: Franco Torchia
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