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Russia: per amb. Stefanini "il Cremlino è tornato nel Mediterraneo, e questo cambia tutto"

01-09-2018 19:57 - Opinioni
GD - Roma, 1 set. 18 - Dal sito del portale Formiche.net - "Su argomenti come questi, il nuovo Governo farebbe bene a ragionare in termini di continuità di politica estera, o quanto meno collegarsi a quanto fatto in precedenza, poiché non è possibile improvvisare". Lo ha detto l´ambasciatore Stefano Stefanini, senior advisor dell´ISPI, già consulente diplomatico del presidente Napolitano e già rappresentante permanente per l´Italia alla Nato, in una conversazione con Formiche.net, che ha affrontato il tema dell´esercitazione che nei prossimi giorni coinvolgerà 25 navi e 30 aerei russi nel Mediterraneo, del rafforzamento dell´asse sciita in Medio Oriente, dei possibili effetti su Libia ed Egitto, degli errori e dei successi commessi dal nostro Paese.
Per Stefanini "l´esercitazione russa è un segnale molto forte del ritorno di Mosca come potenza nel Mediterraneo, sulla scia del successo militare senza scrupoli nel sostengo ad Assad, ed è una cosa a cui dovremmo pensare seriamente come Italia, come Unione europea e come Nato. Dovremmo tra l´altro tenere conto che dobbiamo ragionare, in termini di sicurezza europea, senza fare affidamento totale agli Stati Uniti. E malgrado tutte le difficoltà, dovremmo fare il possibile per tenere agganciata la Turchia e lavorare con i Paesi del Golfo, con l´Egitto e l´Arabia Saudita". .
D.: Quale è il vero obiettivo dell´esercitazione russa dei prossimi giorni?
R.: Dopo due decenni di pressoché assenza nel Mediterraneo dalla dissoluzione dell´Unione sovietica, la Russia, che in passato è stata una potenza in queste acque, vi si è riaffacciata, soprattutto con l´impegno in Siria. Ora che Assad sta vincendo, l´obiettivo russo è dimostrare di essere di nuovo un player non trascurabile nel Mediterraneo, a differenza di ciò che è stato negli ultimi vent´anni.
D.: Nel caso in cui all´esercitazione corrispondesse l´offensiva di Assad su Idlib, ultima roccaforte dei ribelli, intravede il rischio di un´escalation simile a quella dello scorso aprile, culminata con l´attacco di Stati Uniti, Francia e Regno Unito?
R.: Washington, insieme agli alleati che parteciparono a quell´intervento, ha già fatto capire che un´offensiva delle Forze di Assad, sostenute da Russia e Iran, con l´uso di armi chimiche, non potrebbe essere lasciata passare senza una nuova risposta. Non è detto che il regime siriano ricorra a tali armamenti come successo in passato, anche se potrebbe farlo data la paura che questi ingenerano facilitando l´offensiva. Ad ogni modo, ove non vi fosse l´uso di cloro o armi chimiche, gli Stati Uniti non sembrano orientati a intervenire. Piuttosto, alcuni americani sono più preoccupati delle conseguenze umanitarie di un´offensiva su Idlib. Nella zona ancora controllata dai ribelli vivono circa 3 milioni di abitanti, e si stima che l´ondata di profughi verso la Turchia possa aggirarsi intorno al milione. Da parte dell´amministrazione Trump, tali preoccupazioni riguardano il caso in cui ciò agevoli la fuga di potenziali terroristi in altre aree. In ogni caso, la Russia mette le mani avanti, come a dire "ci sono anche io", e lancia un avvertimento chiaro: non ostacolate il mio protetto che cerca di riportare ordine nell´area. Nel frattempo, si posiziona vistosamente e visivamente come potenze militare e marittima nel terreno di forza della presenza americana dell´area, la stessa da cui erano partiti i missili per l´attacco di aprile. Certo, l´uso di armi chimiche da parte dei siriani cambierebbe non poco il tutto, poiché darebbe legittimazione a un intervento militare punitivo americano
D.: Comunque, il supporto russo lascia presagire che l´offensiva su Idlib sarà di successo. Con la vittoria di Assad, si consolida l´egemonia iraniana sul Levante?
R.: Assolutamente sì. Si rafforza l´asse Siria-Iran (tra l´altro con un Iraq a governo a maggioranza sciita), che non può non preoccupare i Paesi del Golfo e anche l´Europa. In questo contesto, la Turchia rappresenta una variante imprevedibile, non perché sia sciita, ma perché con i rapporti tesi che ha con gli Stati Uniti da un parte, e con l´esigenza di evitare che le conseguenza umanitarie dell´attacco dei lealisti siriani siano tutte su Ankara dall´altra, è portata a venire a patti con il diavolo, e a trovare dunque qualche accomodamento con l´asse Siria-Iran che, fino a poco tempo fa, era nemico. In tale riallineamento risultano perdenti i Paesi sunniti e l´Occidente.
D.: Come reagiranno tali perdenti? La vittoria di Assad, e dunque il rafforzamento dell´asse sciita, potrebbero incrinare l´altro asse, quello che lega Stati Uniti, Arabia Saudita e Israele?
R.: Innanzitutto occorre considerare che l´Arabia Saudita non è da sola. A parte il Qatar, il fronte sunnita può contare sugli altri Paesi del Golfo, sull´Egitto e sulla Giordania. Si tratta di un blocco arabo piuttosto sostanzioso e solido, che non ha altra scelta se non fare quadrato e far leva sul rapporto che, almeno a voce, gli Stati Uniti hanno promesso e che ha con l´altro grande alleato, Israele. Comunque, di fronte a un Assad vittorioso in Siria, che rinsalda rapporti con Iran, i sunniti del golfo e l´Egitto non hanno altra scelta che rafforzare la loro coesione.
D.: Tornando agli interessi russi nel Mediterraneo, quali effetti potrebbe avere una maggiore presenza di Mosca su Paesi come Libia ed Egitto?
R.:La politica russa si muove in maniera abbastanza sistematica, da vero giocatore di scacchi. Intanto, Mosca si è installata solidamente nel Mediterraneo orientale grazie all´asse con Assad e l´Iran. Chiaramente, le prossime tappe, qualora continuasse a trovare il vuoto lasciato dalla ritirata o dalla contrazione americana, sono Egitto e Libia. Il primo ha un forte interesse, anche per motivi energetici e di sviluppo, a rimanere agganciato all´Europa; è uno Stato che funziona. Il secondo è un Paese che si sta faticosamente mettendo in piedi, sempre ai limiti delle divisioni tra Cirenaica e Tripolitania, e tra tribù. Si tratta, in altre parole, di una realtà molto martoriata, dove l´unico Paese ad avere veramente influenza e ad essere realmente impegnato è l´Italia. Altri europei, anziché collaborare, pensano alla concorrenza e offrono così spazi alla Russia. Se ci saranno, Mosca li occuperà, sempre che abbia risorse a disposizione.
D.: Ci spieghi meglio.
R.: Pensiamo generalmente alla Russia come a una grande superpotenza. Eppure, il suo Pil ha le dimensioni di quello italiano e c´è il rischio che l´accumulazione di tutte queste iniziative porti a un over-estensione non sostenibile. Tra l´altro, anche Putin ha un´opinione pubblica interna di cui deve tenere conto.
D.: Ha parlato della Turchia come di una "variante imprevedibile". Ma quanto è profondo lo strappo tra Ankara e Washington?
R.: È difficile dirlo, anche perché è difficile capire quanto lo strappo sia tra due personalità forti, Donald Trump e Recep Tayyip Erdogan, o quanto sia uno strappo obiettivo e geopolitico.
D.: Certo, la presenza annunciata del presidente turco al prossimo vertice di Teheran con Russia e Iran sulla Siria sembra essere un segnale forte. Il futuro siriano si decide senza gli Usa?
R.: Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Il formato regionale Russia-Iran-Turchia, che pende nettamente sul versante Assad-Teheran, si era creato intorno alla fine dell´amministrazione Obama anche per i cattivi rapporti tra quest´ultima e la Russia. Con l´ingresso di Trump alla Casa Bianca, c´erano state aperture per invitare gli Stati Uniti a parteciparvi, ma poi sono stati gli stessi americani a tirarsi indietro. Il risultato è che la gestione regionale è rimasta nelle mani degli altri. Così, la Turchia non ha altra scelta che partecipare al formato con Russia e Iran, rimanendo tra l´altro il membro più eccentrico (poiché l´unico che non sostiene Assad) e dovendo barcamenarsi tra gli altri due. È proprio il caso in cui Ankara paga l´abbandono in cui è stata lasciata dagli Stati Uniti e dall´Occidente. Ed è difficile dare tutte le colpe a Erdogan (che sicuramente le ha, ad esempio sul piano interno) se la Turchia è costretta a cercare di sopravvivere nella giungla che è diventata il Medio Oriente.
D.: In tutto questo, sembra esserci una grande assente: l´Unione Europea. Perché?
R.: Gli europei non sono del tutto assenti. Abbiamo parlato dell´Italia in Libia, e della Francia e del Regno Unito che affiancano gli americani in Siria. Ma l´Unione europea, è vero, è totalmente assente. Questo per due motivi: primo, perché non ha i mezzi e le strutture per svolgere una vera politica estera, se non dove Stati membri glielo consentono. È inutile prendersela con Bruxelles se non fa cose che i Paesi non gli permettono di fare. Federica Mogherini ha dei limiti in quello che può fare che non dipendono da lei, e quindi agisce dove le è consentito. Secondo, poiché dove forse avrebbe potuto cercar e di fare qualcosa di più, in Libia, non l´ha fatto. Ma l´Unione europea siamo noi.
D.: E l´Italia?
R.: Su argomenti come questi, il nuovo governo farebbe bene a ragionare in termini di continuità di politica estera, o quanto meno collegarsi a quanto fatto in precedenza poiché non è possibile improvvisare. Il nostro Paese ha agito con grande senso di responsabilità e attenzione in Libia. Siamo stati gli unici a non abbandonarla a se stessa e lo abbiamo fatto non solo per proteggerci dall´ondata di migranti. La nostra ambasciata è stata chiusa per un tempo brevissimo e poi siamo stati gli unici a riaprirla. Tutto questo rappresenta un capitale su cui investire. Certo, ci è mancata una visione complessiva, e ciò vale per gli esecutivi precedenti quanto per l´attuale. Occuparsi solo di Libia e tenerci ai margini di un impegno in Medio Oriente e in Siria rappresenta una visione geopolitica piuttosto miope.
D.: Cosa avremmo dovuto fare?
R.: Avremmo dovuto impegnarci di più in Siria, anche nella coalizione internazionale contro l´Isis. Lo abbiamo fatto partecipando alla sicurezza della diga di Mosul e ad attività di sorveglianza, ma senza un´azione militare vera e propria. È il classico atteggiamento di fare le cose a metà quando si richiede un impegno militare, un qualcosa che poi diminuisce il nostro peso. Avremmo potuto essere più coraggiosi. Abbiamo un italiano alla guida dell´Onu in Siria, Staffan De Mistura, che è stato persino viceministro degli Esteri. Avremmo potuto battere di più il chiodo e sostenerlo di più. In compenso, quello che abbiamo fatto in Libia (e lo riconoscono tutti, anche gli americani e i libici) è di grande spessore e di grande coraggio.

di Stefano Pioppi

http://formiche.net/2018/08/russia-mediterraneo-siria-stefanini/


Fonte: Formiche.net
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