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Papa ricorda diplomatico disobbediente, salvò migliaia di ebrei

17-06-2020 15:23 - Vaticano
Il diplomatico portoghese Aristides de Sousa Mendes e sua moglie (foto Yad Vashem) Il diplomatico portoghese Aristides de Sousa Mendes e sua moglie (foto Yad Vashem)
GD - Città del Vaticano, 17 giu. 20 - (ACI Stampa) - Al termine dell’udienza generale, Papa Francesco ha ricordato la “Giornata della Coscienza”, che è “ispirata alla testimonianza del diplomatico portoghese Aristides de Sousa Mendes, il quale ottant’anni or sono decise di seguire la voce della coscienza e salvò la vita a migliaia di ebrei e altri perseguitati”. Fu il 17 giugno 1940 che de Sousa Mendes ebbe la crisi di coscienza che lo portò, in disobbedienza al suo governo, a concedere visti agli ebrei in fuga a migliaia. Tra quelli che si salvarono, anche l’artista Salvador Dalì.
“Possa sempre e dovunque", ha detto Papa Francesco, "essere rispettata la libertà di coscienza; e possa ogni cristiano dare esempio di coerenza con una coscienza retta e illuminata dalla Parola di Dio”.
Ma chi era Aristides de Souza Mendes? Nato nel 1885 e morto nel 1954, era console a Bordeaux nel 1940, durante l’occupazione nazista. E si ritrovò ad affrontare un dilemma morale: avrebbe dovuto obbedire agli ordini del governo o ascoltare la sua coscienza e dare agli ebrei visti che avrebbero permesso loro di scappare dalle forze naziste che avanzavano? De Souza Mendes scelse la voce della coscienza, questo terminò la sua carriera diplomatica sotto il dittatore portoghese Antonio de Oliveira Salazar, e finì la vita in miseria. Solo lo scorso 9 giugno il Portogallo ha garantito riconoscimento ufficiale al suo diplomatico disobbediente, e il Parlamento ha deciso che ci sarà un monumento con il suo nome nel Pantheon nazionale.
Il 14 giugno 1940, le forze naziste avevano preso Parigi, e ogni sorta di rifugiati, soprattutto ebrei, si era mossa verso Bordeaux, con la speranza di oltrepassare il confine con la Spagna e dunque fuggire dalla persecuzione nazista.
Il console portoghese era amico di Chaim Kruger, rabbino capo della città, il quale era a sua volta scappato dal Belgio durante l’invasione nazista. Sousa Mendes offrì così al rabbino e alla sua famiglia un passaggio sicuro verso il confine spagnolo, ma dopo soffrì di una “crisi morale” quando Kruger rifiutò l’offerta, sostenendo che non poteva abbandonare le altre migliaia di rifugiati ebrei a Bordeaux.
In una lettera del 13 giugno 1940, Sousa Mendes scrisse che era in esaurimento nervoso perché la situazione era orribile, ma gli ordini del governo erano chiari. Non si sa cosa sia successo in quei quattro giorni, ma il 17 giugno 1940, Sousa Mendes aveva una differente determinazione, e decise di dare visti a tutti, senza “nazionalista, razze o religioni”.
Nessuno sa con certezza quanti visti di transito sono stati stabiliti, ma si stima siano stati tra i 10 mila e i 30 mila. La Sousa Mendes Foundation ha identificato 3800 persone che hanno ricevuto i visti, che erano firmati dal console anche nella strada, mentre si formavano davanti a lui colonne umane che si dirigevano verso la cittadina di confine Hendaye.
Questo portò alla reazione del Ministero degli Esteri di Lisbona, che gli chiese di desistere dall’iniziativa in diversi cablogrammi, mentre le autorità spagnole decisero di dichiarare i visti non validi, ma non prima che migliaia di persone erano già arrivate nella regione basca. Tra quanti erano riusciti a scappare, l’artista Salvador Dalì, il cineasta King Vidor, membri della famiglia Rotschild e la maggioranza del futuro governo belga in esilio.
Sousa Mendes, convocato a Lisbona, riportò dell’iniziativa, e per la sua disobbedienza fu espulso dal corpo diplomatico e lasciato senza pensione. La sua casa rimase in rovina, i suoi figli dovettero emigrare per trovare fortuna altrove. Ma oggi sono in molti ad essere grati per quella crisi di coscienza che il 17 giugno 1940 lo portò a salvare migliaia di persone.
Il 3 aprile 2017, Marcelo Rebelo de Sousa, presidente della Repubblica, ha decorato l'ex console, postumo, con la Grande Croce dell'Ordine della Libertà.
Nei saluti in lingua polacca, Papa Francesco ricorda anche la festa di Adam Hilary Bernard Chmielowski (1845 – 1916), monaco francescano polacco che arrivò alla vocazione dopo una vita tumultuosa in cui è stato anche attivo in politica e ribelle e pittore, e che divenne noto per la sua dedizione al lavoro per i poveri e i senzatetto, tanto che fu chiamato “il poverello polacco”
Ha detto Papa Francesco: “Seguiamolo nell’amore fraterno, portando aiuto agli ammalati, agli sconfitti della vita, ai poveri, ai bisognosi e soprattutto ai senzatetto”.
La svolta, per Chmielowski, avvenne nel 1880, quando si unì all’Ordine dei Gesuiti, che poi lasciò a causa della depressione, e quindi divenne francescano, e si stabilì a Cracovia, dove rimase sempre più coinvolto nella cura dei poveri e dei senzatetto. Si opponeva alle elemosine, che non considerava un vero aiuto, ma un problema irrisolto di povertà con una procedura ad hoc che calmava la coscienza dei più ricchi.

di Andrea Gagliarducci


Fonte: ACI STAMPA
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