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Osservazioni sulla Turchia con l’arma atomica

12-11-2019 13:53 - Opinioni
GD – Roma, 12 nov. 19 – La Turchia con l’arma atomica? La questione, anzi l’interrogativo inquietante, prende le mosse da un lungo articolo apparso sul “The New York Times” il 22 ottobre scorso, passato sotto silenzio in Italia, e la pone all'attenzione nel prossimo numero della rivista trimestrale “Affari Esteri”, diretta da Achille Albonetti, 92 anni, che la dirige. Albonetti ha rivestito ruoli di assoluto rilievo in molteplici organizzazioni internazionali e nazionali, oltre che in imprese ed enti pubblici e privati, ed ha acquisito una larga notorietà negli ambienti economici, diplomatici ed internazionali.
Il GIORNALE DIPLOMATICO anticipa l’autorevole opinione di Albonetti.

Lo straordinario annuncio della Turchia con l’arma atomica non ha avuto alcuna eco, sia sulla stampa italiana, sia su quella internazionale. Ugualmente l’articolo non ha provocato alcun commento dai politici italiani e stranieri. Eppure, la Turchia è un grande Paese. È membro dell’Alleanza Atlantica; è candidato all’Unione Europea; ed è situato, per giunta, in un’area politica delicata: Paesi balcanici, Iran, Siria, Israele, Libano, Iraq, Egitto, Arabia Saudita, Afganistan. Inoltre nei mesi scorsi la Turchia ha preso iniziative militari controverse nei riguardi della Siria e dei Curdi. Come pure ha polemizzato con gli Stati Uniti, comprando il sistema avanzato antimissili russo SA400. Ha minacciato, inoltre, di acquistare cacciabombardieri dalla Russia, se Washington non confermerà la vendita di un centinaio di aerei F.35.
L’articolo de “The New York Times” contiene notizie molto dettagliate sul programma di arma atomica della Turchia. Il progetto ha una lunga storia e parte da un impianto nucleare per la produzione di elettricità, progettato e costruito dalla Russia. Contemporaneamente, prevede l’estrazione di uranio naturale, la costruzione di centrifughe per la produzione di uranio arricchito – prodotto fondamentale per un ordigno atomico – la costruzione di elementi di combustibile e di un impianto di riprocessamento.
In conclusione, il programma nucleare militare della Turchia è in una fase avanzata. Ma questo non ha suscitato alcun commento da parte della stampa e dei politici. Eppure, gli Stati militarmente nucleari con la Turchia da nove divengono dieci: Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito, Francia, India, Pakistan, Israele, Corea del Nord. Potremmo aggiungere anche la Germania, dopo il Trattato di Aquisgrana del gennaio 2019.
Abbiamo attirato l’attenzione sul rilevante tema durante gli scorsi Trimestri su questa rivista ed abbiamo addirittura scritto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al presidente del Consiglio Conte e agli allora vice presidenti Salvini e Di Maio.
La Turchia con l’arma atomica rende ora più problematico un Accordo degli Stati Uniti con l’Iran per la rinuncia, senza limiti di tempo, agli armamenti nucleari. Le conseguenze sull’Egitto e l’Arabia Saudita sono ancora più rilevanti. Non a caso, l’Egitto ha concluso un accordo con la Russia per la costruzione di un impianto nucleare per la produzione di elettricità. E, proprio la Russia, ha costruito l’impianto nucleare da anni in funzione in Iran e ne sta costruendo uno simile in Turchia.
L’Arabia Saudita ha, contemporaneamente, manifestato l’intenzione di ordinare numerosi impianti nucleari per la produzione di elettricità. Contatti sono in corso con gli Stati Uniti, la Corea del Sud e il Giappone.
L’Arabia Saudita pretende, inoltre, la fornitura contemporanea di un impianto per la produzione dell’uranio arricchito necessario all’alimentazione delle centrali nucleari, nonché un impianto di combustibile, ugualmente necessario per il funzionamento delle centrali.
La Turchia con l’arma atomica pone problemi anche con l’Alleanza Atlantica. È esatto che già tre Paesi NATO – gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia – sono Paesi militarmente nucleari. Ad essi si può aggiungere – come accennato - la Germania.
Un quinto Paese militarmente nucleare, la Turchia, solleva, tuttavia, nuovi problemi per gli altri Stati membri. In particolare, per il nostro Paese, l’Italia, isolato e discriminato ulteriormente.
Eppure, l’Italia fece parte nel 1950 con la Francia, la Germania e i Paesi del Benelux della Comunità Europea per il Carbone e l’Acciaio (CECA), nonostante non disponesse di queste materie prime. Partecipò anche al progetto di Comunità Europea di Difesa (CED) con i medesimi Paesi, purtroppo fallito nell’Agosto 1954. Infine, a Roma furono firmati nel marzo 1958 e con gli stessi Paesi la Comunità Economica Europea (CEE) e la Comunità Europea per l’Energia Atomica (Euratom).
Ricordiamo che in Turchia, come in Italia, sono collocati da tempo ordigni nucleari americani. Ha ospitato negli anni ’50 – come l’Italia – i missili nucleari intermedi Jupiter. Sono missili alti circa venti metri. Trenta di questi ordigni furono dislocati in Puglia. Venti in Turchia. Questi missili ebbero un ruolo determinante per la soluzione della gravissima crisi nucleare nel 1962. Il loro ritiro fu deciso dagli Stati Uniti contemporaneamente al ritiro dei missili nucleari russi in via di installazione a Cuba.
La scarsa eco per l’arma atomica in via di preparazione da parte della Turchia è, forse, dovuta al fatto che in Italia – ma non soltanto nel nostro Paese – non ci si è ancora resi conto che la politica estera da 74 anni è entrata nell’era nucleare.
Il lancio delle due bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki il 6 e 9 Agosto 1945 è dimenticato. Lo sono anche le minacce atomiche degli Stati Uniti durante la guerra coreana del 1950-53; quelle durante la crisi di Suez nel 1957; quelle durante la crisi di Cuba nel 1962; e quelle durante la guerra del Vietnam del 1968.
Ricordiamo, inoltre, che la Turchia ha aderito al Trattato contro la Proliferazione Nucleare (TNP), come quasi tutti i Paesi dell’ONU. Quel Trattato, tuttavia, dovrebbe essere considerato scaduto. I Paesi militarmente nucleari, infatti, non hanno osservato l’impegno di disfarsi delle loro armi atomiche, così come previsto dal Trattato.
L’Italia è in una situazione particolare. È l’unico Stato al mondo che, con il referendum del 1987, ha rinunciato a qualsiasi attività nucleare, anche pacifica. Ha così chiuso tre impianti nucleari pe la produzione di elettricità e tutti i numerosi centri di ricerca. Uno spreco enorme di risorse con spese altissime.
Paradossalmente, l’Italia è circondata da Stati con dozzine di impianti nucleari. Addirittura importa energia elettrica da essi. Il Parlamento italiano, tuttavia, all’atto della ratifica del TNP agli inizi del 1975 approvò una clausola restrittiva e condizionante, secondo la quale l’adesione al Trattato non può ostacolare la partecipazione dell’Italia ad un eventuale iniziatica per un deterrente atomico europeo. Il nostro Paese potrebbe, pertanto, aderire al deterrente nucleare franco-inglese-tedesco in via di costituzione.
Ricordiamo, infine, che l’Italia con la Francia e la Germania negoziò, nel 1958 e in contemporanea alla conclusione dei Trattati di Roma per le Comunità economiche e nucleari europee, un Accordo, poi fallito, per la costruzione di un’arma atomica comune. Benedetto Croce nota che “un popolo che non sa fare politica estera è destinato a servire o a perire”. Si può aggiungere che lo Stato che sbaglia la politica economica rischia la fame e la disoccupazione; quella che erra la politica interna può sperimentare la dittatura; e lo Stato che non ha una politica estera efficace, rischia la scomparsa.
Ne è esempio l’Impero Austro-Ungarico che, dopo aver sbagliato le alleanze durante la Prima guerra mondiale, divenne uno Stato di ridotte dimensioni e poi annesso da Hitler nel 1938. Ha evitato di giustezza il triste destino dei Paesi del Patto di Varsavia dopo la Seconda Guerra mondiale. Oggi, è uno Stato pacifico, libero e con un alto reddito nazionale, ma con scarso rilievo internazionale.
Quattro, poi, sono gli strumenti con i quali un Paese svolge la sua politica estera: (a) l’economia: stabilità; sviluppo del PIL; materie prime; servizi; struttura industriale; educazione; territorio; numero abitanti; clima. (b) la politica interna: stabilità; sistema costituzionale; educazione. (c) la politica estera “convenzionale”: alleanze; risorse di difesa (navi, carri armati, cannoni, ecc.). (d) la politica estera “nucleare”: risorse militari nucleari (numero di missili: continentali, intercontinentali, terrestri, aerei e navali).
Il 21 ottobre 2019, il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron ha dato un’intervista a Parigi al corrispondente di “The Economist”. Macron ha, innanzitutto, dichiarato che “nel mondo stanno accadendo eventi impensabili cinque anni orsono”. “Nessuno, infatti, avrebbe previsto la Brexit; le difficoltà di progredire dell’Unione Europea, l’alleato americano che ci volta le spalle rapidamente su problemi strategici”. Egli, poi, ha aggiunto che “l’Europa è sull’orlo di un precipizio. E se non ci svegliamo corriamo il rischio che, nel lungo tempo, spariremo geopoliticamente, o almeno non avremo più il controllo del nostro destino”. “Dagli anni 1990”, secondo Macron, “l’Unione Europea ha progressivamente perso la sua finalità politica. Si è concentrata sull’espansione del mercato, sottolineata dalla garanzia di difesa degli Stati Uniti, che forniva l’illusione di un’eterna stabilità”.
“Il graduale ritiro degli Stati uniti dall’Europa e dal Medio oriente, iniziato prima dell’elezione nel 2016 del Presidente Donald Trump, insieme al nuovo protezionismo, ha evidenziato la vulnerabilità dell’Europa”.
“Ci troviamo per la prima volta con un Presidente americano che non condivide la nostra idea del progetto europeo”, ha aggiunto Macron”. “Quando Trump, a proposito del Medio Oriente, dice che “quello è il vostro vicino, non il mio, egli ci invita a svegliarci”. “Con l’America che ci volge le spalle, la Cina che cresce, e capi autoritari alle nostre frontiere, il risultato è l’eccezionale fragilità dell’Europa”. “Non esiste, infatti, alcun coordinamento nelle decisioni strategiche tra gli Stati uniti ed i suoi alleati nella NATO. Nessuno. Abbiamo, inoltre, un’azione non coordinata ed aggressiva da un altro alleato nella NATO, la Turchia, in un’area ove i nostri interessi sono in gioco”.
“Ciò significa che l’Articolo 5 della NATO – l’idea che se un membro della NATO fosse attaccato gli altri membri verrebbero in suo aiuto, cioè che sottolinea la deterrenza dell’Alleanza – è ancora in funzione. Non lo so”, afferma Macron. “In ogni caso, in avvenire quale significato avrà l’Articolo 5?”. Questa, in grande sintesi, è la parte principale dell’intervista del presidente francese.
Non dovremmo, pertanto, stupirci se la Francia, con il Trattato di Aquisgrana del 22 gennaio 2019, ha praticamente accolto la Germania nell’Accordo militare e nucleare del 2010 con il Regno Unito e ne ha fatto così una potenza militare nucleare, seppur alleata con il Regno Unito e la stessa Francia. Ne abbiamo commentato nei volumi di “Affari Esteri” del 2019 ed abbiamo anche pubblicato le lettere scritte al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al presidente del Consiglio Conte ed ai vice presidente del tempo Matteo Salvini e Luigi Di Maio.
Oggi, questo è il quadro politico internazionale: (a) tre Stati principali militarmente nucleari globali: Stati Uniti, Russia e Cina; (b) tre Stati secondari militarmente nucleari nazionali, ma integrati: Regno unito, Francia e Germania; (c) quattro Stati militarmente nucleari nazionali: India, Pakistan, Corea del Nord, Israele.
A questi nove Stati militarmente nucleari si potranno aggiungere tra qualche anno: la Turchia e l’Iran; poi, l’Arabia Saudita e l’Egitto.

di Achille Albonetti


Fonte: Rivista Affari Esteri
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