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ISPI: parla presidente amb. Massolo, “Il mondo rischia una nuova crisi”

30-09-2019 23:31 - Opinioni
GD – Roma, 30 set. 19 – Il sito ISPIOnline ha pubblicato una intervista che Umberto De Giovannangeli per l’Huffingtonpost.it ha fatto all’amb. Giampiero Massolo, presidente dell’ISPI e della Fincantieri, sulla situazione internazionale.
Per contare sullo scacchiere globale “l’Italia deve rendersi conto che i tradizionali ‘ombrelli protettivi’ – l’Unione Europea, la Nato, le Nazioni Unite – non possono più sostituirsi alla capacità di decidere rapidamente e di assumersi responsabilità in proprio nel contesto internazionale”. A rimarcarlo, in questa intervista concessa ad HuffPost, è l’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente ISPI e Fincantieri, già segretario generale della Farnesina. Di ritorno da New York, dove ha partecipato a importanti incontri a latere dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, l’ambasciatore Massolo si sofferma su alcuni dei punti caldi della politica internazionale.
D.: Ambasciatore Massolo, dai meeting a cui Lei ha partecipato negli Usa, e alla luce dell’appena conclusa Assemblea generale delle Nazioni Unite, che quadro esce di un mondo attraversato da conflitti e da una crisi di governance?
Massolo - L’impressione generale è, anzitutto, che il mondo possa essere alla vigilia di una nuova crisi. C’è il timore di una possibile recessione economica e che fattori geopolitici possano contribuire ad aggravarla ulteriormente. Nello stesso tempo, tuttavia, è ancora diffusa la fiducia che siano la diplomazia e la politica a rappresentare le valide alternative allo scoppio di conflitti armati. Il secondo punto di contesto generale è l’irrompere sulla scena delle grandi tematiche trasversali, primo fra tutti il tema dei mutamenti climatici e poi quello delle disuguaglianze. La cosa più interessante e nuova da rimarcare su questo punto è che, più che gli Stati, sono le società civili a porre oggi con enfasi questi temi sul tappeto. E qui c’è il terzo elemento di rilievo, che è quello degli strumenti a nostra disposizione per far fronte efficacemente alle crisi. Da questo punto di vista, la situazione non è molto positiva....
D.: Perché?
Massolo - Perché i tradizionali strumenti del multilateralismo si stanno rivelando sempre più inefficaci, in un mondo sempre più dominato dai rapporti di potenza. Le organizzazioni internazionali sembrano aver perso di autorevolezza e anche sul piano economico le istituzioni finanziarie, le banche centrali hanno sostanzialmente esaurito i margini di risposta per contrastare una possibile ondata recessiva. Poi c’è un altro nodo rilevante, che è quello di come rispondere efficacemente ai Paesi che sfidano le regole internazionali: la comunità internazionale sembra aver perso la capacità di imporre le proprie regole.
D.: E questo impatta anche sul controllo dei flussi migratori?
Massolo - Certamente, nel senso che le nostre opinioni pubbliche hanno l’impressione di trovarsi di fronte ad un fenomeno incontrollabile e ingestibile, i cui effetti impattano sulla sicurezza del nostro vivere quotidiano. I Governi europei devono mobilitarsi per essere all’altezza di questa sfida: l’integrazione e la legalità dei flussi sono importanti, ma ancora più importante è una politica europea nei confronti dei paesi di origine e di transito dei migranti per limitare al massimo le partenze, per contenere gli arrivi via mare dalla Libia e via terra dalla rotta balcanica, per rimpatriare efficacemente chi non ha diritto a rimanere. È per l’Europa una vera questione identitaria e una sfida politica dirimente, sulla quale si gioca il suo futuro. L’Italia ha ottenuto di non essere più sola a fronteggiare il fenomeno, ma si tratta di primi passi che vanno consolidati e messi a regime.
D.: Venendo appunto all’Italia, quali sono o dovrebbero essere, a suo avviso, le priorità nell’agenda internazionale?
Massolo - L’Italia si trova a confrontarsi con un mondo complicato: le regole d’ingaggio sono quelle di rendersi pienamente conto, agendo di conseguenza, che i tradizionali ‘ombrelli protettivi’ - l’Unione Europea, la Nato, le Nazioni Unite - non possono più sostituirsi alla capacità di decidere rapidamente e di assumersi responsabilità in proprio nel contesto internazionale. Sia chiaro: ciò non significa che non dobbiamo continuare a rafforzare l’Unione Europea e l’Alleanza Atlantica, ma significa essere pronti anche a determinarsi da soli. E questo, a sua volta, postula la necessità di identificare con chiarezza l’interesse nazionale, avere ben chiaro che le nostre alleanze internazionali sono in Occidente e nel rapporto transatlantico, curare nel quotidiano la nostra politica estera con un’azione diplomatica e di intelligence assidua, coerente e costante. Non significa ignorare che al mondo ci sono anche altri grandi attori – la Cina, la Russia, i Paesi emergenti – nella consapevolezza però che essi sono pur sempre dei partners con i quali percorrere pezzi di strada magari anche importanti, ma che non appartengono necessariamente alla categoria degli alleati. Del resto non si può sempre accontentare tutti, perché altrimenti si rischia di essere irrilevanti.
D.: Questo discorso vale in particolare per uno dei fronti più caldi nel Mediterraneo: la Libia?
Massolo - Vale senz’altro per la Libia. Ritengo che per troppo tempo abbiamo investito un po’ acriticamente nelle Nazioni Unite....
D.: Un investimento a perdere?
Massolo - Diciamo che non vi sono stati particolari risultati. La crisi libica non si risolverà a breve, ma deve essere gestita per evitare ricadute in termini di riacutizzarsi del terrorismo jihadista e per porre freno ai flussi migratori. La crisi si può gestire se si parte dal principio che non vi è vittoria militare possibile e che il generale Haftar (l’uomo forte della Cirenaica - ndr) non rappresenta un partner negoziale per la pace. Su questo ci vuole una forte unità d’intenti tra l’Italia, la Francia, gli Stati Uniti, e possibilmente anche la Russia. Sono queste le potenze che devono cercare di influire su chi dall’esterno soffia sul fuoco delle fazioni libiche e mi riferisco al Qatar e alla Turchia da un lato e all’Egitto e agli Emirati Arabi Uniti dall’altro. Anche questi Paesi vanno infatti acquisiti alla logica della soluzione politica attraverso un meccanismo, una sorta di task force di Stati dove l’Onu può fungere da facilitatore. Partendo da queste basi, il processo di pacificazione e di stabilizzazione tra le parti libiche potrà poi avviarsi e necessariamente s’incentrerà anzitutto sugli aspetti di sicurezza, sull’urgenza del cessate-il-fuoco, sull’osservanza dell’embargo delle armi, oggi ampiamente disatteso. Sono però gli Stati a poterlo e doverlo imporre, non certo l’Onu da sola. Si tratterà poi, in prospettiva, di decidere sugli aspetti istituzionali, vale a dire se la Libia dovrà essere unitaria o federale, e soprattutto sul nodo cruciale della ripartizione delle risorse energetiche. Sono questi gli elementi costitutivi di una possibile pax libica. Da questo punto di vista, il presidente Conte e il ministro Di Maio, hanno avuto una apertura di credito a New York e questo offre alla diplomazia italiana una opportunità concreta di giocare un ruolo importante.
D.: Ambasciatore Massolo, tenendo conto della sua lunga esperienza diplomatica e degli importanti incarichi ricoperti, ritiene che “diplomazia degli affari” e “diplomazia dei diritti”, umani, civili, sociali, siano opposti che non potranno mai incontrarsi?
Massolo - Tutto si riconduce alla nozione di interesse nazionale, che è sempre frutto di una sintesi che devono fare i governi. Ovviamente in questa sintesi sono fondamentali gli interessi economico-industriali, ma senza dimenticare il carattere valoriale che deve improntare le politiche estere delle democrazie occidentali. Il pendolo non può andare tutto da una parte o dall’altra. Il punto dove finirà per assestarsi sarà il frutto di un’assunzione di responsabilità politica.
D.: Lei in precedenza ha fatto riferimento all’ancoraggio dell’Italia all’Alleanza Atlantica, oltre all’Unione Europea, rimarcando l’importanza di rafforzare i rapporti transatlantici. Ma questo impegno come può coniugarsi con l’”America first” di Donald Trump? E in termini più generali, il multilateralismo da Lei auspicato non rischia di confliggere con i “sovranismi”, nelle loro diverse declinazioni, che segnano il presente?
Massolo - Il carattere transnazionale dominante nei rapporti internazionali di oggi tende indubbiamente ad allentare i valori comuni nei rapporti transatlantici e a indebolire il quadro multilaterale. Per questo dicevo che l’Italia deve lavorare di più sul proprio modo di rapportarsi al mondo, rafforzare le proprie strutture decisionali e le capacità del nostro sistema Paese, senza illudersi che qualcuno o qualcosa intervenga per sollevarla dalle sue responsabilità. Questo vale del resto anche per gli altri Paesi europei e per l’UE come tale. Non significa tuttavia che, in parallelo, non bisogna adoperarsi anche per consolidare e rafforzare l’Europa, facendone un partner più rispettato e credibile degli Stati Uniti. Un po’ di sano sovranismo europeo, anche industriale e tecnologico, non mina il multilateralismo, ma anzi lo rafforza, perché contribuisce a rifondarlo su basi più solide e credibili.


Fonte: The Huffington Post
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