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Dalla rivoluzione americana ad oggi: come far convivere libertà e democrazia con l’ordine

06-12-2019 12:23 - Opinioni
GD - Roma, 6 dic. 19 - Come ho sostenuto in tutti i miei scritti, la Rivoluzione americana del 1776 e quella francese del 1789, insieme alla Rivoluzione industriale, abbiano profondamente cambiato il mondo. Hanno proclamato principi ed ideali universali. “Monarca non è il Sovrano. Sovrano è il popolo. Un individuo, un voto”. Cittadini non sudditi.
Questo principio dopo millenni di monarchie assolute – benedette dalla Chiesa al fine di garantirne la presenza e la continuità (“Monarca di diritto divino e di sangue!”) – ha dato inizio ad un’era politica e umana nuova in America, in Europa e nel mondo.
La Rivoluzione industriale, contemporaneamente, ha profondamente sviluppato l’economia mondiale. Dall’Agricoltura si è passati all’Industria e ai Servizi. Dalla vela al piroscafo; dalla ruota, dal carro e dal cavallo all’automobile, all’aereo, al telegrafo, all’elettricità, all’energia nucleare, alla cibernetica, al missile, al Drone, alla conquista dello spazio, ecc. Il reddito nazionale “pro capite” è aumentato vertiginosamente quasi ovunque. Da un miliardo di abitanti siamo diventati settemiliardi e mezzo. In Russia i servi della gleba sono stati liberati agli inizi del XX secolo.
Anche se negli Stati Uniti – malgrado la Rivoluzione democratica del 1776 – soltanto cento anni dopo è stata abolita la schiavitù. Ci sono, poi, voluti altri cento anni per garantire il voto ai neri.
Alcuni anni fa, però, un afroamericano è stato eletto presidente degli Stati Uniti. Ora, abbiamo Trump, un presidente aggressivo e rozzo. Ma è sotto “impeachment”.
Inoltre, gli Stati Uniti sono l’unico Paese al mondo, in cui da più di due secoli si vota ogni due anni per l’elezione del Parlamento e di un terzo del Senato. Sono anche l’unico Paese che non ha cambiato la sua Costituzione dal 1776. L’ha soltanto emendata.
Dopo la Rivoluzione liberale e democratica del 1789 in Francia si sono avuti due Imperatori; cinque cambi della Costituzione; l’onta del Fascismo a Vichy dal 1940 al 1945; la minaccia della presa del potere dei quattro Generali di Stato Maggiore ribelli nel 1958.
In Italia abbiamo avuto venticinque anni di dittatura fascista; poi, un Partito Comunista che ha raggiunto anche il 37 per cento dei suffragi e, per poco, non è andato al Governo nel 1978. Addirittura un ex comunista è stato eletto due volte presidente della Repubblica.
Ora è al Governo un partito fondato da un comico. Vi sono buone probabilità che il prossimo Governo sia diretto da un partito creato da Bossi, che voleva distaccare tre Regioni del Nord dal resto dell’Italia e fondare “la Padania”.
Un vento nazionalista spira nell’Europa del Nord: Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia. In Russia, dopo settanta anni di feroce dittatura comunista abbiamo un despota con un enorme arsenale di armi atomiche, anche se con un’economia asfittica.
In Cina, un dittatore a vita, ugualmente con armi nucleari. Sono cosciente della situazione critica negli Stati Uniti e in Europa per non parlare dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia. Non vedo, tuttavia, alternative positive alla libertà, alla democrazia, ai valori e ai diritti umani e al libero mercato. Il problema centrale è quello di garantire la libertà e l’autorità. Uno Stato, infatti, può vivere senza libertà, ma non senza ordine e autorità.
Gli ordigni nucleari sono stati utilizzati due volte dagli Stati Uniti in Giappone: il 6 Agosto 1945 e il 9 Agosto 1945. Hanno distrutto due città: Hiroshima e Nagasaki. In totale, circa trecentomila vittime e migliaia di feriti. Il Giappone ha immediatamente deposto le armi.
Negli anni seguenti, dopo gli Stati Uniti, otto Paesi sono diventati Stati militarmente nucleari: La Russia, la Cina, il Regno Unito, la Francia, Israele, l’India, il Pakistan e la Corea del Nord.
Gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, il Regno Unito e la Francia sono Stati militarmente e “giuridicamente” nucleari, poiché, ai termini del TNP, hanno esploso un ordigno nucleare prima del 1966 (sic!). Gli stessi cinque Paesi sono, inoltre, membri “Permanenti” del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, unici con il diritto di “veto”.
Gli Stati Uniti e la Russia hanno fatto il possibile per impedire, negli scorsi decenni, che altri Stati divenissero potenze “militarmente” nucleari. Hanno imposto, in particolare, all’Italia e alla Germania, l’adesione al Trattato contro la Proliferazione Nucleare (TNP).
Dopo nove anni di resistenza, l’Italia ratificò il TNP nel 1975. All’atto della ratifica appose, tuttavia, una clausola restrittiva e condizionante, secondo la quale, in caso si un’eventuale iniziativa per un deterrente atomico europeo, l’adesione italiana al TNP non potrà ostacolare la partecipazione dell’Italia. Hanno, poi, aderito al TNP quasi tutti gli Stati del mondo.
Nel 1958 l’Italia negoziò con la Francia e la Germania un Accordo per la costruzione di una bomba atomica europea. L’Accordo fallì per l’opposizione del presidente de Gaulle, ma, soprattutto, per il veto degli Stati Uniti.
Vorrei notare che l’arma nucleare non deve essere necessariamente utilizzata, dato l’enorme rischio. Si chiama, infatti, “deterrente nucleare”. Chi la possiede può “minacciare” di usarla. Chi non la possiede, non può evidentemente farlo e deve subire.
Nel 1956 la Francia e il Regno Unito con Israele occuparono il Canale di Suez, come risposta alla sua nazionalizzazione dal presidente egiziano Nasser.
La Russia minacciò di bombardare nuclearmente Parigi e Londra, se non si fossero ritirati dal Canale di Suez immediatamente. E Parigi e Londra obbedirono ed i due Governi caddero.
Nel 1962, per le minacce nucleari della Russia e degli Stati Uniti, si rischiò un conflitto mondiale. La soluzione fu trovata nel ritiro di trenta missili nucleari americani “Jupiter” dall’Italia e di venti missili “Jupiter” dalla Turchia. Contemporaneamente, la Russia ritirò i missili nucleari da Cuba.
Almeno altre due volte fu proposto negli Stati Uniti l’uso dell’arma nucleare: la prima durante la Guerra di Corea nel 1950-53; e la seconda, durante la Guerra del Vietnam negli anni sessanta.
Noto, tra l’altro, che gli Stati Uniti, come la Russia e la Cina, stanno spendendo l’equivalente di migliaia di miliardi di dollari per lo sviluppo del loro arsenale atomico.
Le armi nucleari, quindi, contano come “deterrente” e non debbono necessariamente essere utilizzate. Da 74 anni si stanno diffondendo. Siamo, cioè, entrati nell’era nucleare e la politica estera è trasformata.
Per quanto riguarda, infine, la Cina, come la Russia, da quaranta anni ha rinunciato ai Piani economici e all’economia controllata e si è ispirata alla libertà di mercato. Ha, cioè, adottato uno dei due pilastri delle rivoluzioni democratiche e liberali degli Stati Uniti e della Francia di duecento quaranta anni fa. La cosiddetta “rivoluzione culturale” di Mao, così è stata ridicolizzata.
Il risultato è stato straordinario.
Il reddito nazionale e “pro capite” della Cina ha subito un aumento enorme. Centinaia di milioni di cinesi sono usciti dalla povertà e dalla fame. Lo sviluppo industriale e quello delle esportazioni è stratosferico.
Contemporaneamente, tuttavia, sono stati posti freni a qualsiasi evoluzione politica liberale e democratica. Xi Jinping è stato proclamato presidente a vita. La Cina è, ora, una dittatura, repressiva e sanguinaria.
Sarà molto difficile evitare l’aspirazione alla libertà politica e democratica della Cina, dopo il forte sviluppo economico ed industriale e dopo la diffusione dei rapporti internazionali.
Ora, decine di milioni di cinesi viaggiano in Paesi liberali e centinaia di migliaia di giovani studiano negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Francia. In Australia: 800 mila.
Questi viaggiatori e questi studenti avranno difficoltà, rientrando in Cina, ad accettare passivamente le restrizioni su “Internet”, “Facebook”, “Instagram”; sui quotidiani, i libri, la televisione. Ricordiamo già nel 1989 la rivolta di Tienanmen ed ora quella di Hong Kong.
Nulla è certo. E per questo motivo, se non è garantita, di fronte all’ondata attuale di nazionalismo, l’avvenire della democrazia e della libertà in Europa e negli Stati Uniti, tanto meno lo è il regime antidemocratico della Cina e quello in molti altri Paesi. Ne potrei citare alcune dozzine.
A tale proposito, ho menzionato la tesi – ovviamente contestabile – di Fukujama, allorché, dopo il crollo dell’Unione Sovietica e del regime marxista parlò di “fine della Storia”.
Volle, cioè, sottolineare che il Comunismo e il Marxismo sono l’unica ideologia, che ha avuto successo per 74 anni in Russia e altrove. Dopo il suo crollo, Fukujama non vede altra ideologia, che possa contestare gli ideali di democrazia e libertà della Rivoluzione americana e di quella francese del 1776 e del 1789.
In conclusione, mi permetto di affermare che la Cina, malgrado il suo enorme sviluppo economico, ha “i piedi di argilla”, anche se gli ideali della libertà e della democrazia sono attualmente in crisi ovunque.
Il problema centrale, come ho accennato, è quello di riuscire a far convivere la libertà e la democrazia con l’ordine. Uno Stato, infatti, può sopravvivere senza libertà e democrazia, ma non senza ordine.

Achille Albonetti
direttore della "Rivista Affari Esteri"
Intervento al Tavolo di Politica Estera
al Circolo degli Esteri


Fonte: Achille Albonetti
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