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Xiàng: una bussola per orientarsi nel mondo Cina

06-03-2021 13:31 - Opinioni
GD - Roma, 6 mar. 21 - Marzo è arrivato e con esso il tanto atteso Lianghui, l’appuntamento annuale conosciuto con il nome di “due sessioni”, durante il quale i delegati del Congresso Nazionale del Popolo e della Conferenza Politica Consultiva si riuniscono per approvare il programma di governo per l’anno a venire. Per quanto essenzialmente cerimoniale, la convocazione dei delegati rappresenta un momento importante per la politica cinese in cui, tra discorsi ufficiali, statistiche più o meno interpretabili e costruzioni di nuove narrative presentate dal governo è possibile rintracciare gli indirizzi e le prorità che orienteranno l’operato e le scelte strategiche di Pechino per i successivi dodici mesi.

Se lo scorso anno la pandemia e l’emergenza sanitaria avevano costretto le autorità a posticipare l’evento di qualche mese, l’apertura dei lavori nella Grande Sala del Popolo di Pechino è stata accolta come la chiusura simbolica dell’annus horribilis e l’avvio di una nuova stagione di ripresa per la Repubblica Popolare. Con il 14° Piano Quinquennale che attende solo il voto formale dell’Assemblea per diventare a tutti gli effetti la nuova strategia di riferimento fino al 2025, il governo ha anticipato la ricetta che intende utilizzare per continuare la trasformazione interna e il percorso di crescita che dovrebbe portare la Cina ad essere una nuova potenza internazionale. Innanzi tutto riprendere la parabola di crescita laddove si era interrotta nel 2020 a causa degli effetti collaterali del Covid. Quest’anno il PIL sembra essere cresciuto solo del 2,3%, ma per il 2021 la leadership cinese si è proposta l’obiettivo di raggiungere una crescita di circa il 6%. Target vago, si potrebbe dire. Tuttavia più rassicurante e meno vincolante di una percentuale precisa scritta nero su bianco, che espone al rischio di premere sull’acceleratore delle performance economiche per non deludere le aspettative, ma di ritrovarsi poi con la coperta corta in termini di distribuzione della ricchezza, qualità di vita, diffusione del benessere. In altre parole, di stabilità sociale. Che il pericolo dell’instabilità interna fosse diventato un campanello d’allarme insistente per il presidente Xi era già piuttosto evidente. Il caos della pandemia e i suoi strascichi hanno stracciato il velo e hanno messo la leadership di fronte all’evidenza di non poter più posticipare la formulazione di un piano di riforme sociali in grado di rispondere alle nuove esigenze e alle sfide che la crescita economica e l’allungamento dell’aspettativa di vita portano con sé.
Il rischio di vedere la Cina spezzata da ritmi di sviluppo e condizioni di vita diverse non è un’opzione percorribile per la leadership del Partito, soprattutto nell’anno in cui ricorre il centenario della sua fondazione, che si festeggerà a luglio. E se la narrativa roboante dei successi conseguiti negli sforzi per l’eradicazione delle povertà rappresentano la manifestazione più evidente di questa necessità, allo stesso modo Pechino sembra intenzionato ad apprestarsi ad eliminare qualsiasi fattore di rischio interno e internazionale dall’equazione. E ha scelto di iniziare da Hong Kong.

Francesca Manenti
Senior Analysts Asia e Pacifico


Fonte: CeSI
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