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USA: La probabile svolta di Biden al termine della lunga guerra asiatica

26-11-2020 12:46 - Opinioni
GD – Venezia, 26 nov. 20 - Al tramonto della “lunga guerra asiatica”, apertasi con il conflitto coreano degli anni 50 e ormai in vista della imminente uscita degli USA dal pantano afghano, molti sono stati i percorsi strategici, le alleanze, le scelte e i conflitti paralleli all’interno dell’Asia.
Come sappiamo, la lunga guerra è stata combattuta tra alterne vicende e con variabile impegno dagli Stati Uniti prendendo le mosse dalla cosiddetta teoria del contenimento, propugnata dal presidente Truman con lo scopo dichiarato, dopo aver domato il Giappone imperiale con i due ordigni nucleari, di controllare il comunismo, il maoismo e i suoi alleati.
Il conflitto guerreggiato si è poi trasformato, nell’ultimo ventennio, nella guerra al terrorismo alla frontiera asiatica/mediorientale, trovando modo di accerchiare l’Iran, per poi sfociare, principalmente nel corso della presidenza Trump, in un inedito scontro economico, commerciale e finanziario, senza esclusione di colpi.
Ora che anche questa fase sta giungendo al termine, emerge che l’obiettivo del puro e semplice contenimento militare è per gli Stati Uniti in qualche modo riuscito, ma modesti sono stati, invece, i risultati tesi a limitare l’ascesa della potenza cinese.
L’America, quindi, non ha ottenuto tutti i risultati che cercava, anche perché, come spesso accade nella sua storia, all’impegno militare non è seguita altrettanta durezza e determinazione sul fronte economico. L’obliquità della superpotenza resta sempre, in fondo, quella di ritenere che la conquista più importante non sia la vittoria sul campo, ma assicurarsi il mercato.
Così, mente gli americani perseguivano, per dirla “alla Wellington” la solita vecchia e conosciuta strategia, nascevano in Asia una ininterrotta serie di organizzazioni plurilaterali, alleanze, trattati, banche di sviluppo, con obiettivi sempre più lontani dall’Occidente e dalla gestione delle Organizzazioni Internazionali di Bretton Woods.
Alcune istituite addirittura per unire il più ampio fronte Euroasiatico insieme alla Federazione Russa, come la SCO (Cooperazione e Sicurezza di Shanghai), altre semplicemente devote alla leadership cinese, che regna sovrana nel post pandemia perfino su tecnologie e progetti di altissimo livello scientifico e qualitativo.
Dopo la Asian Infrastructure Investment Bank, la New Development Bank BRICS, la Belt and Road Initiative, pochi giorni fa il grande accordo RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership) che, isolando gli Stati Uniti, ha segnato la fine di tutti i tentativi di trattati precedenti, tesi a tenere unite le sponde del Pacifico.
Tuttavia, paradossalmente, proprio in ossequio alla teoria dello Schwerpunkt di Clausewitziana memoria, l’inarrestabile ascesa cinese mostra le prime crepe.
L’India, la grande democrazia e immenso sub continente, non ha aderito allo stringente abbraccio di Pechino e, insieme ad un Giappone e a una Corea legati economicamente alla Cina ma molto diffidenti verso il suo potere militare, ha rafforzato il Quad, la quadrilaterale dell’Indo-Pacifico che, guarda caso, vede invece gli USA in posizione preminente.
In conclusione, come accaduto altre volte nel corso delle strategie di lunga durata degli USA, il contenimento, con tutte le problematiche e contraddizioni fin qui evidenziate, ha di fatto permesso di raggiungere risultati inattesi come la dottrina Modi, da anni indirizzata a rompere l’accerchiamento cinese e l’uscita dell’India dalla tradizionale “linea di neutralità”.
La nuova amministrazione Biden, con buone probabilità, non perseguirà la guerra senza limiti economici e militari, ma si impegnerà in sofisticate formule di neo-contenimento, questa volta diplomatico, con un allargamento delle alleanze dirette ad aggregare sempre maggiori consensi intorno alla nuova linea, comunque di controllo del potente dragone cinese.

di Prof. Arduino Paniccia
Presidente ASCE-Scuola di Guerra Economica e Competizione Internazionale di Venezia


Fonte: Arduino Paniccia
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