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Ucraina: riflessioni sul discorso di Mattarella al Consiglio d’Europa

30-04-2022 09:57 - Opinioni
GD - Roma, 30 apr. 22 - Di fronte ai nuovi rischi di escalation della guerra in Ucraina, assume un valore significativo l’intervento che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha tenuto il 27 aprile scorso a Strasburgo, davanti all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. È opportuno fare un inciso sul contesto del Consiglio d’Europa, istituzione che non va confusa con l’Unione Europea. Costituito il 5 maggio 1949 con il Trattato di Londra, conta 46 Stati membri, con 700 milioni di cittadini, mentre l’UE conta 27 Stati. L’Istituzione ha quindi anticipato l’OSCE nell’includere i cosiddetti “Paesi dell’Est”, tra cui la stessa Russia. Come è noto, questa ora è stata esclusa per aver condotto la guerra di aggressione contro l’Ucraina. Si tratta della vera “casa comune europea”, l’Europa dei diritti perché i suoi principali strumenti “operativi”, cui hanno fatto ricorso numerosi cittadini tra cui quelli degli stessi Paesi dell’ex Patto di Varsavia, sono la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo firmata a Roma nel 1950.
È bene soffermarsi, dunque, sui punti salienti trattati dal presidente della Repubblica. In primis, proprio facendo riferimento all’attività sviluppata dalla CEDU, ha ricordato che “non c’è ragion di Stato che tenga nel caso di violazioni dei diritti della persona”. Ha inoltre sottolineato come il Consiglio d’Europa si ispiri al “multilateralismo”, in sintonia con il sistema delle Nazioni Unite. Ma ecco il passaggio centrale sulla guerra in Ucraina: “Di fronte a un’Europa sconvolta dalla guerra nessun equivoco, nessuna incertezza è possibile. La Federazione Russa, con l’atroce invasione dell’Ucraina, ha scelto di collocarsi fuori dalle regole a cui aveva liberamente aderito, contribuendo ad applicarle”.
La Russia per Mattarella è, pertanto, “responsabile della violazione di tutte le principali carte definite nell’ambito degli organismi multilaterali”, in una misura così esecrabile che addirittura ha spinto Paesi che, mentre prima non riconoscevano la giurisdizione della Corte Penale Internazionale, “ne invocano ora l’intervento, affinché vengano istruiti processi a carico dei responsabili di crimini, innegabili e orribili, contro l’umanità, quali quelli di cui si è resa colpevole la Federazione Russa in Ucraina”.
Più forte è l’affermazione successiva: “La guerra è un mostro vorace, mai sazio. La tentazione di moltiplicare i conflitti è sullo sfondo dell’avventura bellicista intrapresa da Mosca. La devastazione apportata alle regole della comunità internazionale potrebbe propagare i suoi effetti se non si riuscisse a fermare subito questa deriva”.
Per il presidente della Repubblica, dunque, rimane fermo il diritto/dovere, giuridico e morale, di sostenere la difesa dell’Ucraina, paese aggredito. Ma è necessario anche che il ruolo della comunità internazionale sia rivolto a riproporre con ogni energia “un sistema internazionale di regole condivise”, perché, afferma il presidente, “la via di uscita appare, senza tema di smentita, soltanto quella della cooperazione e del ricorso alle istituzioni multilaterali”.
Da qui. dunque, il bisogno di dare voce alle Nazioni Unite la cui denuncia è stata chiara nella condanna “ma, purtroppo, inefficace sul terreno”. Ma ciò non può che significare che occorra “rafforzare l’azione dell’Onu, non indebolirla”. Per cui iniziative come quella promossa dal Liechtenstein, e da altri 15 Paesi, per evitare la paralisi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu “vanno prese in seria considerazione”.
Infine, si arriva al passaggio del discorso che gli sherpa, sia italiani che europei, farebbero bene a valorizzare definendo una road map per le iniziative negoziali. Per il massimo rappresentante dell’Italia occorre “prospettare una sede internazionale che rinnovi radici alla pace”, che “restituisca dignità a un quadro di sicurezza e di cooperazione” in Europa, e non solo. L’esempio è perciò la Conferenza di Helsinki “che portò, nel 1975, a un atto finale foriero di positivi sviluppi”, da cui si originò l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). La linea del Presidente è dunque: “Helsinki e non Jalta: dialogo, non prove di forza tra grandi potenze che devono comprendere di essere sempre meno tali”.
Occorre perciò parlare concretamente di una “nuova architettura delle relazioni internazionali, in Europa e nel mondo, condivisa, coinvolgente, senza posizioni pregiudizialmente privilegiate”.
Infine, c’è l’ultimo monito: “La sicurezza, la pace - è la grande lezione emersa dal secondo dopoguerra - non può essere affidata a rapporti bilaterali Mosca versus Kiiv. Tanto più se questo avviene tra diseguali, tra Stati grandi e Stati più piccoli”.
È un messaggio chiaro per individuare gli attori della mediazione, fra cui vorremmo che si erigessero presto a protagonisti l’Unione Europea e la stessa Italia. Vedremo se, anche dopo i prossimi incontri del premier Draghi annunciati con Biden e Zelensky, l’Italia e l’Unione Europea sapranno essere capaci di promuovere una road map verso il “cessate il fuoco”. Potrebbe essere questa iniziativa congiunta un banco di prova per la tanto auspicata “autonomia strategica” europea: dalle parole occorre passare ai fatti.

Maurizio Delli Santi
membro dell’International Law Association


Fonte: Maurizio Delli Santi
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