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Ucraina: per la crisi occorre tornare a Accordi di Minsk

26-01-2022 22:20 - Opinioni
I firmatari dell'Accordo di Minsk I firmatari dell'Accordo di Minsk
La mappa secondo il Protocollo di Minsk La mappa secondo il Protocollo di Minsk
GD - Roma, 26 gen. 22 - Il grado di mobilitazione raggiunto dalle forze armate russe ai confini dell'Ucraina, non solo ma anche nel Mar Nero e nel Mediterraneo, e i corrispondenti apprestamenti che Stati Uniti e NATO stanno mettendo appunto dimostrano che l'escalation è a un passo dall'acting out.
Qualche osservatore ha valutato che la soglia dello scontro USA-Federazione Russa sembra aver raggiunto l'intensità della crisi di Cuba, quando nel 1962, il premier sovietico Nikita Krusciov decise di installarvi un potente schieramento di missili nucleari strategici. Si tratta di un riferimento storico peraltro affatto forzato o inattuale, se si considera che, proprio in risposta allo stallo sulle “garanzie di sicurezza” (nessun altro allargamento della NATO e ritiro delle forze dell'Alleanza Atlantica dai Paesi entrati dopo il 1997) richieste agli USS e alla NATO da Mosca, il 17 gennaio il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato di non escludere un possibile dispiegamento di infrastrutture militari russe in America Latina per garantire “maggiore sicurezza” al Paese.
Una dichiarazione che, non casualmente, ha fatto seguito ai comunicati ufficiali che riferivano di “colloqui franchi e collaborativi” del presidente Vladimir Putin con i suoi omologhi di Cuba e Venezuela.
In questo scenario sui principali media è ora tutto un susseguirsi di resoconti sulle pianificazioni militari in corso e sulla comparazione degli schieramenti, ma anche sui profili di rischio di entrambe le parti, specie per le conseguenze che un conflitto di tale portata recherebbe in un contesto generale di grave crisi economica e sociale. E certamente l'aspetto più considerevole riguarda il sistema degli scambi finanziari e commerciali, riferiti questi ultimi ai settori alimentari, alle tecnologie e alle materie prime, ma soprattutto all'approvvigionamento energetico.
In ogni caso gli interessi sul flusso energetico sono di entrambi i contendenti: se gli europei in particolare hanno bisogno degli approvvigionamenti, dall'altro la Russia ha necessità di mantenere il livello del suo export.
Se le prospettive dunque non sono rassicuranti, c'è una ragione in più perché la “comunità internazionale” - ma anche quella dei giuristi - ricerchi con maggiore convinzione il ruolo della diplomazia che in questo caso deve porsi necessariamente l'obiettivo di evitare il conflitto.
Una valutazione attenta in ogni fase di tensione deve rivolgersi sempre al punto da cui riprendere la matassa su cui ha iniziato ad intrecciarsi il filo della crisi. Tra le varie congetture sulle linee d'azione per concertare una possibile intesa, quella che appare la più concreta e realizzabile sembra quella di riportare al centro della questione gli Accordi di Minsk.
Si tratta del Protocollo di Minsk del 2014, e in particolare del Minsk II, sottoscritto l'11 febbraio 2015 tra i capi di Stato di Ucraina, Russia, Francia e Germania - e sotto l'egida del Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa OSCE - al termine di un sofferto processo negoziale che portò al contenimento della escalation della guerra del Donbass.
A parte il cessate il fuoco, la liberazione e lo scambio dei prigionieri, gli accordi stabilivano l'impegno a dare un assetto costituzionale all'Ucraina e a riconoscere margini di autonomia alle regioni di etnia russa.
Importanti erano anche le previsioni di “misure di fiducia” che concernevano, ad esempio, il “ritiro di tutti gli armamenti pesanti allo scopo di creare una zona di sicurezza tra entrambe le parti”.
In tale processo venivano previste le procedure proprie dell'OSCE di osservazione e verifica sul cessate il fuoco e sul ritiro degli armamenti pesanti.
Gli accordi sono ricordati per essere una iniziativa del “Formato Normandia”, perché il 6 giugno 2014 i leader di Francia, Germania, Russia e Ucraina si incontrarono a margine del 70° anniversario dello sbarco alleato del D-Day in Normandia e qui decisero di impegnarsi per dare una svolta alla guerra del Donbass.
Anche su questo riferimento storico non ci si può sottrarre ad una riflessione che può essere una premessa suggestiva per riprendere il dialogo internazionale: il richiamo ad una fase cruciale della II Guerra Mondiale evoca il valore incommensurabile che rappresentò per il futuro delle generazioni l'intesa allora raggiunta proprio tra Stati Uniti e Unione Sovietica, insieme a Francia e Gran Bretagna.
Oggi è la Francia di Macron a rilanciare il «Formato Normandia» per ridare vita al dialogo tra Russia, Ucraina, Francia e Germania, ripartendo dagli Accordi di Minsk.
Ma, ad onore del vero, chi ha seguito con attenzione le dichiarazioni a margine dei numerosi vertici internazionali che si sono susseguiti ricorda anche una precisa indicazione venuta dal presidente del Consiglio Mario Draghi e riportata dalle agenzie il 22 dicembre scorso: “Le relazioni tra Ucraina e Russia sono disciplinate dagli Accordi di Minsk che non sono stati osservati da nessuna delle due parti. Quindi un'osservanza di questi accordi potrebbe essere il primo passo”.
L'Italia, che qualcuno in questi giorni ha indicato di non aver molto chiarito la propria posizione sulla crisi dell'Ucraina perché presa dalle elezioni presidenziali, aveva già indicato una strada da intraprendere concretamente. Che era anche un monito. C'è solo da sperare che si ritorni effettivamente a ridiscutere sugli Accordi di Minsk.

Maurizio Delli Santi
membro dell'International Law Association



Fonte: Maurizio Dalli Santi
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