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Transizione energetica in Canada e opportunità per Europa e Italia

17-10-2022 15:21 - Economia
Giulio Galleri e Paolo Pasteris Giulio Galleri e Paolo Pasteris
GD - Toronto, 17 ott. 22 - Il Canada si propone come realtà protagonista nella decarbonizzazione e nella transizione energetica, confermando la sua vocazione al progresso e alle nuove opportunità, attraverso investimenti tipici nel settore delle rinnovabili ma anche con interventi in chiave green sull’infrastruttura esistente. Il Centro Studi Italia-Canada ha chiesto quali sono le prospettive in Canada a due italiani impegnati nel Paese nor americano proprio su progetti relativi alla transizione energetica.
Giulio Galleri è attualmente executive vice president di Pipestone Projects, società canadese molto attiva nel construction planning & management di condotte e, più in generale, infrastrutture nell’Oil & Gas, nonchè consulente in Canada per altre aziende italiane. Paolo Pasteris è direttore dei progetti di Energy Transition in Wood, multinazionale britannica di ingegneria e consulenza con una presenza importante in Canada.
D.: Sembra davvero che questo dell’energia sia un mondo piccolo. Due italiani ed entrambi a Calgary! Come vi siete incontrati? C’è qualcosa che bolle in pentola?
Giulio: Effettivamente è un mondo proprio piccolo. Bisogna comunque considerare che Calgary è la capitale energetica del Canada e quindi, in questo senso, un polo di riferimento per tutto il Nord America, sempre più al centro di dinamiche globali, come dimostrano gli eventi recenti. Ma procediamo per passi. Paolo Pasteris ed io ci siamo incrociati spesso in passato, ad esempio quando Paolo era direttore dell’ingegneria presso una società di ingegneria ed io rappresentavo un’importante azienda italiana in Canada, ma l’occasione di fare qualcosa assieme si è concretizzata verso la fine del 2021, quando Paolo ha fatto partire una collaborazione per un progetto veramente importante: una linea lunga oltre 600 km, 36 pollici di diametro, per il trasporto e il sequestro di anidride carbonica in Alberta.
Si tratta di un progetto ancora confidenziale e agli albori – siamo infatti in una fase ancora “concettuale” – ma che riteniamo abbia tutto il potenziale per il seguito concreto. Ciò che rende quest’iniziativa particolarmente interessante è il fatto che si tratterebbe – anzi, si tratterà – di un’infrastruttura strumentale ad un sistema di cattura e successivamente di sequestro di anidride carbonica prodotta da esistenti impianti di produzione da sabbie bituminose che li porterebbero al livello di emissioni uguale al net-zero. Quindi un grande passo avanti per un’industria che nel passato è stata criticata per la sua impronta sull’ambiente.
Paolo: Il quadro di riferimento è chiaramente quello per cui questo tipo di iniziativa andrà ad intercettare in modo diretto e concreto l’esigenza di ridurre le emissioni di CO2, andando ad incidere – ed è questo un aspetto che troviamo affascinante – sull’infrastruttura esistente, migliorandone efficienza e sostenibilità ambientale e sociale. La pianificazione di questo progetto è in 3 fasi, con la prima che verrà messa in uso nel 2027, con una capacità di 12 milioni di tonnellate per anno, e che aumenterà nel 2035 di ulteriori 34 milioni to tonnellate all’anno, per poi raggiungere una capacità massima di 61 milioni di tonnellate annue nel 2060.
Questo progetto è sponsorizzato da 6 compagnie dell’energy, che producono il 95% delle fonti energetiche in Canada e che oggi forniscono agli Stati Uniti oltre 4 milioni di barili al giorno, fonte di energia sicura e con la massima considerazione per l’ambiente.
Giulio: A questo proposito vale davvero la pena sottolineare come, a fronte di progetti green molto ambiziosi ma non sempre di facile realizzazione (per lo meno con riferimento a tempi, costi e volumi), il sequestro, il trasporto e lo stoccaggio dell’anidride carbonica sono a portata di mano, proprio in quanto incentivano gli operatori ad efficientare quanto già in uso.
Volendo spingerci oltre nelle considerazioni, la speranza è che questo tipo di iniziative spiani la strada per una transizione alla produzione di energia pulita e che questa crei un ponte energetico per la transizione alla green energy.
D.: Sembrerebbe, in effetti, che il Canada possa giocare un ruolo strategico nello sviluppo dell’energia pulita negli anni (e nei decenni) a venire. È di alcune settimane fa la notizia per cui la Germania si sarebbe rivolta al Canada per l’esportazione (importazione, se vista dall’Europa) di gas. È anche vero però che il Quebec ha bandito l’estrazione di nuovi idrocarburi. Cosa ci dicono questi segnali, non sempre chiari?
Giulio: Sicuramente il Paese vive delle dinamiche particolari e direi che ci sono alcuni elementi da considerare.
Il primo è sicuramente che il Canada è il quarto maggiore produttore di gas al mondo, con oltre 170 miliardi di metri cubi all’anno e riserve importanti (sia come volumi che come costi di estrazione), soprattutto in Alberta e British Columbia.
Il secondo, mi sento di dire, è che il Canada rimane un Paese un po’ acerbo per quanto riguarda l’infrastrutturazione necessaria all’esportazione di questo gas. Detto in parole povere: l’infrastruttura esistente è in maggior parte orientata a fornire gli Stati Uniti e nonostante i progressi fatti negli ultimi anni, non ci sono abbastanza gasdotti e terminali LNG (e strutture per il trasporto via mare, come impianti di liquefazione). Bisogna anche considerare come il gas canadese sia in competizione con la produzione americana dell’Appalachian, nella parte est del Continente, come anche nella zona del Permian, a sud. Quindi, considerando questa competizione americana, l’esportazione geografica più agevole è per il Canada quella dalla costa ovest, vicino a Vancouver, dove Shell, Petronas, PetroChina e KOGAS stanno costruendo un impianto di liquefazione (LNG Canada) che esporterà 14 milioni di tonnellate all’anno verso l’Asia.
Il terzo elemento è quindi la grande differenza di approccio (e apprezzamento) dell’industria energetica fra i due poli geografici del Paese, ovest ed est. Non è certo un segreto come la propulsione verso l’oil & gas e l’infrastruttura associata provenga dalla parte ovest del Paese, con l’Alberta in prima fila, mentre molto dello scetticismo, se non opposizione, è ascrivibile all’est. Francamente, l’impressione è che questo fenomeno sia radicato più in una certa politica e percezione dell’industria che in oggettive analisi di rischi e – soprattutto – benefici.
Infine, un quarto tema è quello delle rinnovabili e soprattutto dell’idrogeno. Questo tema sta esplodendo nel Paese sulla spinta verso la decarbonizzazione del sistema di gas naturale e promette ritorni importanti. A questo proposito, segnalo la H2 Road Map per l’Alberta – reperibile anche online – che fornisce un po’ di quadro programmatico ma anche dettagli sui programmi in partenza nell’area ovest del Paese (quindi Alberta e non solo).
A sintesi di questi elementi mi sentirei quindi di dire che l’industria dell’energia nel Paese è attiva, se non in fermento, ma esistono ancora dei passi in avanti da fare in termini di visione dell’industria nel Paese, anche in ottica internazionale.
D.: Qual è, quindi, lo stato dell’industria energetica in Canada, o comunque nella parte più ad Ovest del Paese? È possibile tracciare brevemente un profilo delle risorse e degli sviluppi che possiamo attenderci da qui ai prossimi anni?
Paolo: La via più veloce verso la decarbonizzazione, nonché la più efficiente per quanto riguarda i costi, è quella che consiste nell’acquisire asset esistenti e implementare unità di cattura dell’anidride carbonica laddove la geologia ne permette il sequestro. In quest’ottica, l’Alberta è privilegiata in quanto possiede la “giusta” geologia ed il Governo (provinciale) sta lavorando con l’industria per espandere il sequestro della CO2.
Ad esempio, Shell Canada, attraverso il progetto Quest (costruito nel 2020) cattura 1 milione di tonnellate all’anno (che equivalgono alle emissioni annuali di 225.000 auto, che è poi un quarto della popolazione di Edmonton) da una sua raffineria e sequestra la CO2 sottoterra in un deposito permanente. Questo progetto è stato sicuramente una novità per Shell e per l’Alberta e altri ne verranno realizzati.
Bisogna poi tenere presente che il Canada e le province hanno sviluppato delle strategie di sequestro della CO2 basate su scenari di carbon tax e forniscono incentivi fiscali atti a stimolare gli investimenti negli hub di CO2. Questi hub, dislocati presso le aree industriali, intendono facilitare il trasporto ed il sequestro della CO2, rendendo la costruzione di impianti di sequestro più efficiente dal punto di vista dei costi. Edmonton ha già creato uno di questi hub con l’Alberta Carbon Trunk line. Questo hub raccoglie CO2 da una raffineria e da un impianto di fertilizzazione e la porta via attraverso una condotta di 240 km con una capacità di 14.6 milioni di tonnellate all’anno. È in programma il collegamento a questa infrastruttura di centrali elettriche e impianti di betonaggio per ridurre – notevolmente – il rilascio di CO2 nell’atmosfera. L’Alberta ha infatti programmato il raggiungimento della generazione di energia elettrica con emissioni net zero entro 2035.
Come diceva anche Giulio, è sicuramente un momento interessante per tutta l’industria e i progetti, per quanto ambiziosi, sono fattibili con gli investimenti adeguati. Personalmente, sono felice di essere qui, considerando che l’Alberta sarà un leader in questo Continente per quanto riguarda la riduzione dei gas serra (o GHG).
D.: Avete accennato a progetti di cattura, trasporto, sequestro e conservazione della CO2 ma anche a standard Paese in via di implementazione. Esiste quindi una concreta possibilità che il Canada possa in qualche modo essere tra i Paesi che guideranno la transizione energetica, magari non in totale sostituzione ma a completamento dell’industria energetica più tradizionale?
Paolo: Il Canada e in particolare la provincia dell’Alberta sono grandi fornitori di energia, per cui a loro toccherà sviluppare fonti di energia pulita per assicurare che il nostro futuro sia sostenibile. Quindi, come già descritto, qui ci sono ambizioni importanti per quanto riguarda la cattura e il sequestro di CO2. Ma non finisce qua. Il Canada sta sviluppando nuovi standard per i cosiddetti clean fuel, o combustibili puliti. Questi standard richiedono alle aziende energetiche di ridurre la carbon intensity (o CI) legata al combustibile.
I primi requisiti di CI – per anno – sono di 91.5 gCO2e/MJ per la benzina e di 89.5 gCO2e/MJ per il diesel per quanto riguarda il 2023. I requisiti di riduzione cresceranno poi di 1.5 gCO2e/MJ all’anno fino al 2030. Quindi ci aspettiamo più etanolo e più combustibili creati da fonti rinnovabili, per esempio dall’olio di canola (il seme di canola è usato per fare l’olio di canola, che è usato... per friggere).
D.: E l’idrogeno?
Paolo: L’idrogeno fa anch’esso parte del programma di transizione energetica dell’Alberta. Quest’anno sono già stati annunciati due grandi progetti di idrogeno blu, uno da parte di Suncor e Atco ed uno da parte di Air Products, entrambi per Edmonton (dove, peraltro, si è svolta la Conferenza sull’Idrogeno, alla quale abbiamo presenziato sia Giulio che io).
La produzione di idrogeno è pensata per la fornitura alle raffinerie ma anche per il mobility (mezzi con propulsione di fuel cell) e anche per la decarburazione della rete gas che fornisce l’industria e il consumatore residenziale.
In questo mondo nel quale le notizie di cronaca sembrano sempre più negative, preferisco vedere il nostro futuro con interesse e giocare d’anticipo. Il futuro è davvero positivo in quest’ottica: abbiamo la tecnologia che ci porterà a progettare il nostro ambiente e siamo in una fase di transizione che, se siamo pronti ad accoglierla, ci offrirà grandi opportunità.
D.: Ma quindi: perché il Canada? Cosa può offrire questo Paese in termini di risorse energetiche ma anche possibilità di sviluppo e crescita nel settore a noi della vecchia Europa (... e a noi italiani)?
Giulio: Quello del Canada è sicuramente uno dei territori più interessanti a livello di risorse naturali, e ovviamente questo vale ben oltre il settore energetico. Basti pensare all’industria mineraria: con oltre 60 tipi di minerali e metalli estratti in circa 200 miniere attive e migliaia di cave, il Canada vanta una produzione superiore a 40 miliardi di dollari all’anno. L’apporto di questo settore nei confronti dell’industria delle batterie, per esempio, ma anche delle energie rinnovabili ci riporta immediatamente al centro di quanto diceva Paolo (tant’è che si è recentemente parlato di investimenti federali fino a quasi 4 miliardi di dollari per supportare l’industria mineraria). Oppure si pensi all’industria del legname, che vede il Canada al secondo posto dei Paesi esportatori nella classifica mondiale, al grano, agli altri prodotti agricoli, all’allevamento e, ovviamente, al manufatturiero.
Paolo: Oltretutto, alla base di questo – vale la pena sottolinearlo – c’è un sistema altamente organizzato, regolamentato e – quindi – accessibile su base competitiva, per non dire proprio “meritocratica”, purché si seguano le regole. Il Canada è forte e le opportunità di impiego ma anche di investimento sono significative, in un contesto relativamente giovane e che guarda con fiducia a futuro e integrazione.
Giulio: Vero. Tutto questo va poi visto alla luce dei bisogni del Paese, che ovviamente a sua volta importa beni e know-how, stringendo rapporti commerciali con tanti altri Stati, anche in Europa. In quest’ottica, si inserisce un rapporto speciale con l’Italia e gli italiani. Stando infatti ai dati forniti dalla Camera di Commercio Italiana in Canada, la cosiddetta “bilancia commerciale italiana”, cioè il saldo tra importazioni ed esportazioni con il Canada, presenta un saldo positivo, con l’Italia settimo Paese di importazione a livello mondiale (e secondo tra i Paesi europei) per il Canada.
In conclusione, il Canada è un Paese di opportunità, vera land of opportunity dei nostri giorni, e le possibilità di crescita qui non mancano, sia per industrie che per individui. Tornando ai grandi progetti energetici, quello che ci aspettiamo è che il Paese sappia cavalcare l’onda del rinnovo energetico integrandosi nel sistema globale per dare il suo contributo ma anche attrarne le migliori competenze.

Fonte: Centro Studi Italia-Canada
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