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Russia-Ucraina: un anno di guerra e rischio che ne seguano altri

18-02-2023 16:54 - Opinioni
GD - Roma, 18 feb. 23 - Da quando, un anno fa, è iniziato il conflitto russo-ucraino, il mondo intero si chiede come andrà a finire. Al principio, almeno in teoria, c’era poco spazio per i dubbi: secondo il ranking 2022 di “Global firepower” la seconda potenza militare globale aggrediva la ventiduesima e l’esito appariva scontato.
Oggi sappiamo che non è andata così, a causa soprattutto di un imprevedibile fattore esterno: l’aiuto occidentale all’Ucraina.
Nessuno – né l’Ucraina, né la Russia, né lo stesso Occidente - poteva prevedere la portata eccezionale e le spettacolari conseguenze dell’assistenza di NATO e UE al Paese aggredito, sotto forma di denaro, armi e intelligence.
L’altro fattore di cui tener conto, e che non è in alcun modo possibile “compensare”, è l’arsenale nucleare russo, il maggiore del pianeta.
La “passeggiata militare” a Kyiv, sognata dal presidente Putin, si è trasformata in un conflitto “d’attrito”, con il 20 per cento di territorio ucraino in mano russa, e di natura assolutamente “esistenziale” per i due contendenti. Né Putin né l’omologo ucraino Zelensky possono permettersi vistosi passi indietro: sarebbe la fine della loro narrazione e della loro carriera politica. Entrambi ostentano ottimismo sul corso della guerra.
Al Cremlino sembrano convinti che il fronte del sostegno americano ed europeo all’Ucraina s’incrinerà quando i costi del conflitto, diretti e indiretti, aumenteranno ancora e sarà evidente il fallimento del tentativo di soffocare economicamente la Russia e isolarla politicamente.
A Kyiv pensano il contrario: che gli aiuti occidentali aumenteranno e consentiranno non solo di resistere ma di riconquistare il territorio perduto. La 59.a edizione della Conferenza di Monaco sulla Sicurezza che si è aperta ieri rispecchia questo stato di cose: per la prima volta da vent’anni non sono stati invitati i russi. E non ci sono neppure gli iraniani. Impossibile sperare in qualche passo avanti.
Del resto, la vittoria completa di una delle parti al momento non pare possibile. Molti indizi fanno pensare che i russi ci riproveranno con una grande offensiva, ma già l’anno scorso, quando la situazione era più favorevole, non sono riusciti a prendere Kyiv, cacciare Zelensky e sostituirlo con un presidente filorusso. Quanto agli ucraini, anche se respingessero i russi oltre confine, non eliminerebbero la minaccia rappresentata dal potente vicino.
Neppure un cambio di regime a Mosca, che non è alle viste, potrebbe garantire il risultato. Assai improbabile, per quanto argomentato sopra, anche un vero e proprio accordo di pace. L’intesa dovrebbe regolare una serie di questioni molto complicate: l’assetto territoriale, le riparazioni e la ricostruzione, la fine delle sanzioni a carico della Federazione russa. Ci vorrebbe una dose speciale di “buona volontà” di cui non si vede traccia.
Resta in piedi l’ipotesi del cessate-il-fuoco, un armistizio sulla linea del fronte, un “congelamento” del conflitto secondo il collaudato modello coreano.
Quest’esito, considerato dalla maggioranza degli osservatori il più probabile, dipende in ultima analisi dall’atteggiamento degli Stati Uniti, che guidano la coalizione occidentale. Un recente studio del think tank americano “Rand corporation”, firmato da Samuel Charap e Miranda Priebe, suggerisce che è interesse di Washington evitare la “guerra lunga” alla quale Mosca si sta inequivocabilmente preparando e favorire i negoziati per l’armistizio. I costi e i rischi di una lunga guerra in Ucraina, affermano gli autori, sono significativi e superano i possibili benefici per gli Stati Uniti.
Non si tratta solo delle risorse necessarie per sostenere l’Ucraina durante e dopo la guerra, né solo dei deprimenti effetti del conflitto sull’economia globale, ma della cruciale esigenza di concentrare le forze su altre priorità: a cominciare dal confronto globale con la Cina, colpevolmente trascurato nel ventennio dopo l’11 settembre, con le conseguenze oggi evidenti.
Soprattutto, il prolungamento del conflitto in Ucraina aumenta a dismisura il rischio di provocare due sviluppi che i leader politici e militari americani hanno ribadito più volte di voler scongiurare: il ricorso dei russi ad armi nucleari tattiche, soluzione considerata assolutamente credibile in caso di difficoltà insormontabili sul campo, e lo scontro diretto NATO-Russia.
Già ora l’”orologio dell’Apocalisse” ticchetta spaventosamente vicino alla mezzanotte dell’umanità. Questi eventi rischierebbero di far scattare l’ora X.
Sebbene Washington non possa da sola determinare la durata della guerra, può adottare misure che rendano più probabile un'eventuale fine negoziata del conflitto.
Finora l’amministrazione Biden ha ritenuto opportuno investire somme ingentissime nella difesa dell’Ucraina per indebolire la Russia di Putin, rivitalizzare e allargare la NATO, e costringere gli alleati europei ad assumersi maggiori responsabilità, aumentando le spese militari. “Fatto”, ma adesso? Man mano che cresceranno costi e rischi della guerra, affermano Charap e Priebe, il calcolo potrebbe cambiare. E Washington potrebbe usare la “leva” degli aiuti bellici, riducendoli gradualmente, o degli investimenti per la ricostruzione, promettendo impegni sempre maggiori, per superare il “tabù” del “negoziato con l’aggressore”.
Nell’ultimo vertice NATO, il 14 febbraio, è emersa potentemente anche la questione degli arsenali. I trasferimenti di armi all’Ucraina hanno ridotto le scorte dell’Alleanza, quindi si pone il problema di reintegrare le capacità operative senza compromettere l’impegno a favore di Kyiv. Lo sforzo economico rischia di assorbire buona parte degli aumenti di bilancio per spese militari già previsti dagli Stati membri.
Martedì prossimo, il presidente Putin parlerà al Parlamento russo e il presidente Biden a Varsavia. Nessuno si attende parole di pace, ma almeno la presa d’atto che la guerra “tende all’assoluto”, cioè all’uso assoluto della forza e alla completa sopraffazione del nemico, solo in astratto, come ammoniva von Clausewitz. In concreto contano le condizioni reali dei contendenti e soprattutto i reali obiettivi del conflitto, che si spera siano anche realistici.

Paolo Giordani
Presidente dell’Istituto Diplomatico Internazionale


Fonte: Paolo Giordani
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