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Norvegia: Ambasciata italiana promuove comparto ittico

07-01-2021 15:07 - Ambasciate
GD - Oslo, 7 gen. 21 - L’Ambasciata italiana ad Oslo è impegnata nel fornire agli operatori economici, aziende e società di consulenza, interessate ad investire in Norvegia e Islanda, importanti, utili e fondamentali strumenti per conoscere ed affrontare questi mercati, attraverso la pubblicazione di ebook tematici. Il nuovo ebook, recentemente pubblicato, è dedicato al settore ittico islandese.
La pesca è il secondo maggior settore economico dell’Islanda, dopo il turismo. Con una popolazione di solo 360.000 abitanti, l'isola è un colosso mondiale della pesca con 1,5 milioni di tonnellate di pesce pescato nel corso del 2019, che rappresenta il 23% dell’intero pescato dell’Unione Europea. La zona di pesca islandese copre un’area di 758.000 chilometri quadrati con una delle flotte di pescherecci più moderne al mondo e un impiego della forza lavoro dell’isola registrata intorno al 17%.
Il Paese segue le direttive internazionali in tema di pesca sostenibile ed è molto attivo nella promozione dell’economia blu, diffondendo pratiche di pesca a basso impatto ambientale e prodotti innovativi derivati dal pesce. La maggior parte dei finanziamenti concessi al settore ittico islandese è in valuta estera, essendo la maggior parte delle imprese di pesca anche esportatrici.
Il debito totale del settore è stato stimato a 2,1 miliardi di euro alla fine del 2016 (che equivale all’11% del PIL islandese) e la maggior parte di esso è posseduta da banche nazionali. La partecipazione dei fondi pensione nazionali, molto attivi e rilevanti nel paese, è limitata, e solo una grande impresa ittica (la Samherji) è quotata in borsa.
Nel corso degli anni è aumentata la produttività nel settore: da quando è stato introdotto il sistema delle quote nel 1984 e in particolare dopo la possibilità di trasferibilità delle stesse nel 1991, si è avuta una maggiore efficienza. Nel 2016 le tre maggiori compagnie di pesca totalizzavano metà delle quote totali di cattura.
Il sistema di pesca islandese è dominato da quote e limitazioni di pesca. Ogni anno il Ministro della Pesca, con la consulenza scientifica dell’Istituto di ricerca islandese Marine and Freshwater Research Institute (MFRI), stabilisce il totale autorizzato di pesca, il Total allowable catch, per 25 specie. Le quote dei grandi pescherecci possono essere trasferite a quelli più piccoli ma non viceversa. Inoltre, la quota combinata di pescherecci di proprietà della stessa impresa o individuali non può eccedere il 12-35% (per specie) e il 12% nell’insieme totale. Le limitazioni dirette, invece, possono riguardare sia la chiusura di habitat vulnerabili sia chiusure temporanee per la protezione di uova e novellame di pesce.
L’Islanda si propone di attuare una pesca sostenibile ed ha adottato i principi della Conference on Environment and Development del 1992 delle Nazioni Unite come elemento centrale per la propria politica di pesca. Molte misure sono atte a garantire che la pesca sia sostenibile: limitazioni di pesca, monitoraggi delle quote di cattura e implementazione dei consigli scientifici dell’MFRI. Tuttavia, nel corso degli anni, metodi di cattura quali le reti a strascico e cattura con il palamito hanno comunque conseguenze negative sugli ecosistemi marini. Inoltre, nel Paese è in corso un dibattito importante incentrato sull’uso dei pescherecci più grandi che, anche se in numero inferiore rispetto a quelli di minori dimensioni, sembra provochi maggiori conseguenze sull’ambiente.
Nel corso del 2019 e di parte del 2020, il valore delle esportazioni totali di pesce è aumentato del 2%, ma ha subito un duro colpo a causa dell’emergenza globale legata alla pandemia sanitaria. Inoltre, con l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, si sono registrati altri problemi di natura giuridica poiché il Regno Unito rappresenta il nodo commerciale principale delle esportazioni di pesce islandese verso il resto d’Europa.
In particolare, nei confronti dell’Italia viene registrata una crescita costante dei rapporti commerciali e di vendita del salmone di allevamento. La produzione di pesce allevato in Islanda è più che quadruplicata nel corso degli ultimi anni, passando dalle 8.000 tonnellate nel 2014 alle 34.000 tonnellate nel 2019. Nei prossimi anni è prevista una crescita delle percentuali rendendo il settore particolarmente interessante per le imprese italiane interessate ad intrattenere relazioni commerciali o avviare network di business.
La pesca e le aziende occupate nella trasformazione del pesce rappresentano la più importante fonte di sussistenza delle comunità costiere, nelle quali le possibilità di lavoro, non legate all’economia del mare, sono limitate. A livello regionale, il settore della pesca riveste la più importante percentuale di occupazione nella regione di Vestfirðir.
Inoltre, in Islanda il settore dell’acquacoltura ha attualmente una produzione molto limitata, ma nel prossimo futuro è prevista una grande espansione dell’intero comparto che coniugherà le opportunità economiche, l’innovazione tecnologica, con la tutela del paesaggio, del mare e dei criteri di sostenibilità ambientale. Opportunità che meritano molta attenzione da parte delle imprese italiane interessate ad apprendere innovativi modelli di pesca, acquacoltura, protezione e tracciabilità del pescato.


Fonte: Redazione
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