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Mali: fine dell’Operazione Barkhane

22-02-2022 12:29 - Opinioni
GD - Roma, 22 feb. 22 - Durante una conferenza stampa del presidente francese Emmanuel Macron si è conclusa la fase operativa della ”Operazione Barkhane” sul territorio della repubblica del Mali, ovvero quella missione che da ben otto anni impegna le truppe francesi nel territorio del Sahel, la regione più a sud del deserto del Sahara, in funzione di contrasto del terrorismo di matrice islamista.
Questa decisione nasce dalle sempre maggiori complicazioni sorte tra il Governo francese e quello maliano e che risultano essere aumentate in maniera pesante soprattutto dopo i due colpi di Stato che hanno portato al governo una giunta di militari a Bamako, inducendo lo stesso Macron ad affermare che non sussistono più le condizioni per continuare le operazioni militari nel territorio del Mali.
Da parte di Parigi è stato, dunque, previsto un graduale ritiro del contingente francese ivi stanziato, che dovrebbe durare dai quattro ai sei mesi, ma resteranno comunque invariati i contingenti stanziati negli altri paesi del Sahel come il Niger, il Ghana, il Benin, il Burkina Faso, il Ciad e la Nigeria vista la persistente e pressoché invariata instabilità dell’area.
La decisione presa dall’Eliseo non risulta, quindi, essere una sorpresa dato che già a giugno dello scorso anno si era optato per la sospensione della cooperazione militare tra Parigi e Bamako. Ma il fatto che le truppe vengano ritirate solo dal territorio del Mali indica chiaramente che la Francia non può ancora permettersi di ritirarsi completamente dal Sahel, la cui estrema instabilità rischierebbe di trascinare tutti i paesi limitrofi in una spirale di violenza e di terrorismo, proprio i fattori che avevano portato i francesi nella regione.
Va infatti ricordato che fu proprio nel 2013 quando i francesi intervennero militarmente in Mali, sulla base della risoluzione numero 2085 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per contrastare la secessione e la possibile nascita dello stato Tuareg dell’Azawad, nel nord del Mali, allora in mano ai miliziani islamici appartenenti alle più disparate formazioni terroristiche.
In quel contesto venne infatti lanciata l’operazione Serval, che risultò essere un pieno successo dato che il pericolo della nascita di uno stato terroristico venne scongiurato, per poi essere sostituita dall’attuale “Operazione Barkhane” nel 2014, con l’obbiettivo di combattere i numerosi gruppi terroristici rimasti nell’area.
La fase iniziale dell’operazione ha visto profilarsi vari successi francesi e della colazione di stati africani, ma ben presto ci si rese conto di come, nonostante la costante guerriglia, le attività dei gruppi jihadisti non accennavano ad interrompersi e anzi, dopo un certo periodo gli attacchi tornarono a farsi cruenti e la Francia rispose aumentando il contingente dai 3 mila soldati iniziali ai 5 mila, rendendo la loro presenza sempre più oppressiva e mal sopportata dal governo e dalla popolazione.
Ad oggi l’”Operazione Barkhane” è considerata da molti come un fallimento, equiparando quindi l’intervento francese in Mali all’intervento USA in Afghanistan, ma lo stesso Macron ha respinto categoricamente questa visione, come affermato durante la conferenza stampa di giovedì, dato che lo scopo dell’Eliseo nella regione era quello di impedire l’insorgere di uno Stato islamico nel Sahel, cosa che, per il momento, effettivamente si è verificata.
Risulta infatti difficile e quasi utopistico pensare di eliminare l’instabilità radicata nelle deboli e corrotte istituzioni di molti Stati del Sahel con il mero invio di contingenti militari volti a contrastare le varie formazioni terroristiche, quali Boko Haram, Ansar Dine o Al-Quaeda au Maghreb, che hanno invece una solida rete di collegamenti che permette loro di agire quasi indisturbate nella regione.
Si è però rivelata estremamente debole la morsa francese sul Governo di Bamako, esposto infatti a ben due colpi di Stato, che hanno portato al rapido peggioramento dei rapporti, culminato venti giorni fa con l’espulsione dell’ambasciatore francese Joel Meyer.
Ad oggi, invece, il vero dubbio riguarda le effettive capacità del Mali di difendere la propria integrità territoriale dal terrorismo e dal secessionismo, ed è proprio per questo motivo che le forze francesi rimarranno dispiegate negli altri paesi del Sahel, proprio ad indicare che la missione non è ancora conclusa e che la sicurezza della regione del Sahel richiederà ancora molti sforzi.

Eugenio Cazzarolli
Analista geopolitico

Fonte: Eugenio Cazzarolli
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