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La diaspora Uigura collega Turchia e Cina

28-02-2024 14:21 - Opinioni
Comunità uigura Comunità uigura
Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan
GD – Roma, 28 feb. 24 - La minoranza etnica degli Uiguri, originaria della regione dello Xinjiang, nel nord-ovest della Cina, è la più grande comunità di rifugiati al mondo. Vittima della volontà del Governo cinese di eliminarla, la comunità ha trovato rifugio in Turchia dove attualmente si trovano più di 60.000 uiguri musulmani, molti dei quali fuggiti da Pechino solo negli ultimi anni. Le autorità turche hanno recentemente dichiarato di aver arrestato sei persone e di essere alla ricerca di una settima, accusate di spionaggio verso gli uiguri per conto dell’agenzia di Intelligence cinese. Secondo il loro rapporto, queste persone avrebbero raccolto informazioni su membri di spicco della comunità per poi inviarle in Cina. Un’indagine del 2020 prodotta da Coda Media sostiene che queste spie sono per la maggior parte uiguri residenti a Istanbul che vengono costretti dalle autorità cinesi a partecipare a eventi della comunità, pena la sicurezza dei loro familiari che vivono nello Xinjiang. Tutto questo rischia di aumentare le tensioni tra Pechino e Ankara.
Gli Uiguri sono un’etnia turcofona musulmana. Approssimativamente, con i suoi 12 milioni di individui, rappresentano circa lo 0.6% della popolazione cinese totale mentre si caratterizzano per essere la maggioranza etnica più consistente nella regione dello Xinjiang, rappresentando il 46% della popolazione regionale. Gli uiguri sono una delle 56 etnie riconosciute dal Partito Comunista Cinese. Le tensioni con quest’ultimo iniziano in seguito al crollo dell’Unione Sovietica quando, sull’onda della formazione dei nuovi stati indipendenti nell’area del Caucaso, l’etnia uigura inizia ad avere idee secessioniste.
Nonostante la sua importanza per lo Stato cinese grazie alla posizione strategica di sbocco sul Medio-Oriente e sull’Asia Centrale e la grande quantità di risorse energetiche presenti nella zona, le idee secessioniste hanno portato a un crescendo di tensioni con il Governo centrale. Inoltre, in seguito a scontri interetnici nella regione, con la conseguente formazione di cellule terroristiche uigure, la Cina dal 2015 ha messo in atto un’operazione antiterrorismo contro i gruppi jihadisti che si è poi trasformata in un programma di de-islamizzazione e cancellazione dell’etnia uigura.
Dal 2017 si hanno notizie su campi di detenzione, definiti dal Governo come campi di trasformazione attraverso educazione, all’interno dei quali si stima siano presenti più di un milione di persone. Qui i detenuti vengono messi ai lavori forzati e indottrinati alla cultura cinese. Fuori dai campi, però, la situazione non sembra essere migliore. La regione, infatti, è oggi una delle più sorvegliate del mondo grazie a telecamere dotate di riconoscimento facciale e all’installazione di applicazioni per il controllo della navigazione all’interno dei dispositivi elettronici personali. Dal 2017, inoltre, con lo scopo di privare l’etnia uigura dei propri luoghi di culto, le moschee nella regione sono state distrutte dallo Stato cinese, passando in pochi anni da 24 mila a 15 mila.
Alla base di tutto ciò, nonostante la proclamata caccia al terrorismo, c’è il processo di sinizzazione ed eliminazione dell’etnia uigura voluto dal Governo cinese, processo che viene portato avanti anche tramite la riduzione delle nascite tramite sterilizzazione di massa, imposizione di metodi contraccettivi e aborti indotti.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan negli anni si è comportato in modo ambiguo prendendo inizialmente le difese della minoranza turcofona e andando, nell’ultimo periodo, a cambiare le sue posizioni verso un sostegno al progetto cinese. Già nel 2009, quando era ancora Primo Ministro, Erdoğan accusò la Cina di commettere un "genocidio" contro la minoranza uigura. Nonostante ciò, lo Stato turco non si è mai unito alla condanna internazionale dei campi di detenzione nello Xinjiang, nonostante abbia concesso più volte alla popolazione uigura in loco di manifestare il dissenso politico, azione non concessa facilmente sotto il governo di Erdoğan.
Il cambio di rotta è avvenuto in contemporanea con una forte crescita della partnership commerciale sulla Via della Seta. I due Paesi negli ultimi dieci anni hanno consolidato un rapporto che vede al centro scambi economici, collaborazioni internazionali e ingenti investimenti cinesi in Turchia in settori importanti come le infrastrutture, la finanza e le telecomunicazioni. Infatti, dal 2017, attraverso un trattato di estradizione degli uiguri con la Cina, ratificato solo nel dicembre 2020, la Turchia ha intrapreso un processo di assistenza all’arresto e agli interrogatori degli uiguri, che venivano espulsi in Paesi terzi come il Tagikistan per poi essere rinviati in Cina.
Ufficialmente il trattato ha l'obiettivo di rafforzare la cooperazione giudiziaria per favorire la lotta al terrorismo. Una lotta al terrorismo che cela un tentativo di genocidio demografico, pone molti interrogativi sul futuro della stabilità e dei diritti umani tanto nello Xinjiang quanto in Turchia dove, ancora una volta, gli interessi di una minoranza sono stati preceduti da interessi economici che rischiano di portare all’estinzione di un intero popolo.

Chiara Giovannoni
Autore di Diritti Umani
Mondo Internazionale Post


Fonte: Mondo Internazionale Post
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