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L'Unione Africana (UA) nella mediazione del conflitto Etiopia-Tigray

21-10-2022 00:57 - Opinioni
GD – Roma, 21 ott. 22 - Dal 4 novembre 2020 il Tigray si trova al centro di una delle guerre più distruttive al mondo, che ha causato la fuga di più di 50.000 persone nell’Est del Sudan, mentre l’Unione Africana non riesce a trovare soluzioni al conflitto. Cameron Hudson, analista ed ex-capo degli Affari africani per lo US National Security Council la definisce “the new Great War of Africa”, paragonabile alla tragica guerra del Congo di 25 anni fa in cui avevano preso parte sei Stati africani.
In questo conflitto è confermato il coinvolgimento di Eritrea, Somalia e Sudan come presenza di combattenti, e Turchia, Emirati Arabi Uniti, Russia, Iran e Cina per i rifornimenti di armi e munizioni. Il presidente dell’Etiopia, Abiy Ahmed, premio Nobel per la pace 2019, ha imposto un blocco informativo tagliando le linee telefoniche e internet nella regione e bloccando l’accesso ai social media, coprendo in questo modo la gravità degli scontri. Dopo più di un anno di conflitti, circa il 40% della popolazione del Tigray soffre per l’estrema povertà e la mancanza di cibo. Oltre all’insicurezza alimentare, si aggiunge una maggiore violenza di genere, che impedisce l’accesso di donne e bambini alla sanità, al welfare e al sistema giudiziario.
Nata nel 1963, l’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA), con sede ad Addis Abeba, sancisce l’unione di 31 Paesi contro il colonialismo, incaricandosi dello sviluppo socio-economico del Paese. Nell’atto costitutivo, l’OUA si faceva portavoce del principio di non-ingerenza e di inviolabilità territoriale, vietando quindi interventi a livello regionale nella risoluzione dei conflitti nel Continente. Nel 2002 nasce, invece, l’Unione Africana (UA), con un occhio verso il Panafricanismo, attenta ai principi di stability e security. Dal principio di non-intervento alla non-indifferenza: viene quindi sancito il diritto di intervento in uno Stato membro rispetto a gravi circostanze come crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità.
La credibilità dell’UA, ma soprattutto la sua imparzialità, è messa a dura prova dalla questione. Nonostante i molteplici tentativi di raggiungere una soluzione condivisa, gli ultimi negoziati sono risultati come vani alla comunità internazionale. Il processo di pace ufficiale, promosso dall’Unione Africana è rimasto ad un punto fermo per questioni di mediazione e di fondi. Al contempo, da marzo, gli Stati Uniti hanno organizzato tre riunioni fuori dall’area del conflitto – a Gibuti e alle Seychelles – con i leader delle parti in guerra: il Governo etiope e il Tigray People’s Liberation Front (TPLF).
Gli sforzi statunitensi non sono stati sufficienti, però, ad evitare la ripresa della guerra, più sanguinaria e distruttiva di prima, e ciò ha portato ad una critica verso l’amministrazione Biden per non aver fatto abbastanza pressione sulle parti coinvolte. L’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, il mediatore incaricato finora, non è riuscito a ottenere compromessi ed è particolarmente criticato dai tigrini per favorire il leader etiope Abiy.
Nei primi giorni di ottobre è arrivato un annuncio a sorpresa dell’UA, che invitava entrambe le parti a dialogare in Sudafrica, dal presidente della African Union Commission, Moussa Faki Mahamat. In questo caso la proposta, per quanto complessa, era stata accettata, ma lo stesso venerdì 7 ottobre – un giorno prima dell’inizio ufficiale dell’inizio dei dialoghi - l’incontro è stato rinviato a data da destinarsi per problemi logistici.
Inoltre, secondo alcuni giornali, tra cui il “SudanTribune”, a far saltare l’incontro è stato l’ex presidente keniano Uhuru Kenyatta (che oggi è l’inviato del suo Paese per la pace nel Corno d’Africa e nella regione dei Grandi laghi), che dichiarava di essere stato avvisato troppo tardi della riunione e di avere altri impegni che gli impedivano la partecipazione. Kenyatta, che preme di avere un ruolo di rilievo nella mediazione, ha dichiarato che la priorità per continuare i negoziati è che ci sia un cessate il fuoco da parte degli attori coinvolti.
Il leader dei TPLF, Debretsion Gebremichael, ha suscitato la necessità di chiarimenti poiché il suo partito non è stato consultato prima dell’invito. La richiesta rimane senza risposta. Un attivista del Tigray, Million Gebremedhin, ha espresso il suo disappunto per la completa inabilità dell’Unione Africana di trovare una soluzione durabile per il conflitto, soprattutto per il mancato impegno di mediazione nei confronti della parte Tigrina.
L’Unione Africana, attualmente, sta mostrando i suoi limiti che sembrano confermare le critiche, da sempre ricevute, per la governance inefficiente e per la sua inabilità nel promuovere una pace stabile e credibile.

Chiara Cecere
Mondo Internazionale Post


Fonte: Chiara Cecere
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