05 Maggio 2024
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János Kass e 'Il Castello di Barbablù' all’Accademia d’Ungheria di Roma

19-01-2024 17:43 - Arte, cultura, turismo
GD - Roma, 19 gen. 24 - János Kass e "Il Castello di Barbablù" all'Accademia d'Ungheria di Roma. "Il Castello di Barbablù", in ungherese A kékszakállú herceg vára, letteralmente "Il castello del duca Barbablù", è un'opera in un atto del compositore ungherese Béla Bartók. Il libretto, in lingua ungherese, è stato scritto da Béla Balázs, poeta, regista e sceneggiatore, amico del musicista, rifacendosi molto liberamente sia alla celebre fiaba "La Barbe Bleue" (1697) di Charles Perrault sia al dramma "Ariane et Barbe Bleue" (1901) di Maurice Maeterlinck, grande drammaturgo belga autore, fra le altre opere, del dramma "Pélleas et Mélisande", musicato da Claude Debussy su libretto dello stesso Maeterlinck.
"Il Castello di Barbablù" fu composto nel 1911 (con alcune modifiche apportate nel 1912 ed un nuovo finale aggiunto nel 1917), ma la prima rappresentazione ebbe luogo soltanto sette anni dopo, il 24 maggio 1918, al Teatro dell'Opera di Budapest.
L'esposizione aperta fino al 3 marzo all'Accademia d'Ungheria di Roma è stata organizzata in collaborazione con il Museo Móra Ferenc. Dice János Kass: "Ho iniziato negli anni '60 ad occuparmi de 'Il Castello di Barbablù', capolavoro di Béla Bartók. Su richiesta dell'editore Helikon, ho realizzato la prima versione grafica del dramma come illustrazione per il volume. Nei decenni successivi ho poi disegnato in molte versioni, anche come sceneggiature cinematografiche, le varianti di questo tema sempre attuale: l'eterna sfida tra gli opposti, il bianco e il nero, il positivo e il negativo. Il conflitto che nasce dalla differenza fondamentale tra uomini e donne è il destino. La simbolica storia di Béla Balázs si ispira allo stile Liberty, ma le emozioni sono autentiche. Se solo diamo uno sguardo all'interno di noi stessi, scopriamo la vera tensione, il dualismo all'origine della storia. Ho immaginato che le pagine del libro fossero porte, ed è questa struttura ad accompagnare gli avvenimenti. Le porte, come i punti alti del dramma, fanno da cornice ai processi psichici che si svolgono fra i due protagonisti. Fin dal primo istante mi è apparso chiaro di dover esprimere le emozioni con i colori. Il contrasto tra il blu, il rosso, il bianco e il nero scandisce il ritmo delle tavole grafiche che si susseguono. La conclusione, l'apoteosi, è suggerita dall'oro che si sprigiona dalla corona e dal mantello di Judit, mentre il nero che incombe dietro di lei conclude la storia senza speranza. L'opera si compone al ritmo della trama introdotta dal narratore, del castello, di Judit, di Barbablù e infine dei ricordi del passato e delle precedenti amanti. La coreografia del dramma, il suo scorrere lento come un fiume ricordano da lontano il teatro giapponese chiamato Nō, così come un'influenza giapponese aveva avuto la pittura fin-de-siècle. I riferimenti nascosti ai simboli che si rivelano dietro le porte che si aprono e si chiudono, nonché in ultimo la corona e il mantello, possono sembrare luoghi comuni: tuttavia l'eterno ripetersi di stereotipi quali la fedeltà, l'inganno, il diniego, il desiderio di sapere e la conoscenza creano una catena caleidoscopica di situazioni irripetibili".

Carlo Franza
Storico dell'Arte Moderna e Contemporanea


Fonte: Carlo Franza
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