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Cina: amb. Bradanini, «malumori nel PCC, per Xi e Paese percorso inedito»

13-11-2021 17:41 - Opinioni
Amb. Alberto Bradanini Amb. Alberto Bradanini
GD - Roma, 13 nov. 21 - Il futuro di Xi Jinping e della Cina non è deciso. Ci sarebbero «malumori» all'interno del PCC Partito Comunista Cinese e non è escluso il rischio, «concreto», di una «guerra per il potere». A parlare è Alberto Bradanini, che è stato ambasciatore in Cina fino al 2015, in un colloquio con l'agenzia Adnkronos all'indomani dell'adozione da parte del PCC della «risoluzione storica» che consolida il potere di Xi Jinping.
«Non c'è ancora una decisione definitiva sull'estensione per altri cinque anni del secondo mandato di Xi, su un terzo o addirittura un quarto mandato», ha spiegato il diplomatico esperto di Cina, presidente del Centro Studi Cina Contemporanea, con il pensiero rivolto al Congresso del Pcc dell'autunno del prossimo anno. E c'è il nodo delle cariche: segretario generale del Pcc, presidente della Repubblica Popolare, presidente della Commissione Militare Centrale. Il sesto plenum del XIX Comitato centrale del Partito Comunista Cinese, con la risoluzione sui «principali traguardi e l'esperienza storica» dei 100 anni del PCC, ha «messo le premesse» per gli anni a venire, ma secondo Bradanini non è tutto scontato. Le tre cariche potrebbero essere «spacchettate», ovvero Xi potrebbe mantenere la carica di presidente della Commissione Militare Centrale, quella di segretario generale del partito ma non di presidente della Repubblica Popolare. O, «come qualcuno vocifera, rievocare una carica, quella di presidente del partito, lasciando vacante quella di segretario generale del Pcc, e mantenere una delle altre due cariche o entrambe». In questo caso, «significherebbe» da parte di Xi l'individuazione di un suo successore, «lasciando aperta una possibilità di successione preordinata».
Perché il rischio, «piuttosto concreto», secondo Bradanini, «è che se non è certa la data del passaggio di consegne da una generazione di leader a un'altra si possa scatenare la guerra per il potere», un «elemento di pericolosa instabilità» per il Dragone «che potrebbe avere riflessi anche sul resto del mondo». E bisogna guardare al Pcc. «Sembrerebbe ci sia all'interno dei vertici del partito un malumore che si esprime, secondo la tradizione cinese, attraverso riti difficili da capire per chi vive in un mondo politico più leggibile», ha detto ancora l'ex ambasciatore italiano a Pechino.
«Malumori» che potrebbero «esprimersi nel corso dell'anno che manca alla decisione formale» sia «contenendo il numero delle cariche che Xi potrebbe mantenere al termine del secondo mandato» sia addirittura, prosegue, con «una espressione di forza attraverso l'individuazione di personalità che potrebbero succedere a Xi».
Bradanini ha parlato di «un percorso inedito per la Repubblica Popolare», di quello che «Deng Xiaoping aveva cercato di scongiurare» per il futuro della Cina, ovvero la «senescenza della classe dirigente», una «leadership che lascia il potere solo con la morte e perde il contatto con l'evoluzione dei tempi, scatenando intorno a sé la lotta per il potere». Xi, 68 anni, resta al timone, «affascinato a modo suo, perché i tempi sono cambiati, dal culto della personalità», ma al contempo senza «la figura del grande condottiero militare che è stato Mao Zedong», osserva Bradanini, che parla di un «uomo culturalmente molto debole, dal pensiero filosofico molto modesto», che «non è considerato una grande figura all'interno degli apparati ideologici del partito».
«Dopo l'indipendenza politica di Mao e l''indipendenza economica’ di Deng, due profili necessari per lottare efficacemente contro il colonialismo e la dipendenza nei confronti delle grandi potenze, su questo percorso Xi non ha aggiunto granché», ha aggiunto l'ex ambasciatore, autore di “Cina. Lo sguardo di Nenni e le sfide di oggì” (Anteo) a cui seguirà a fine anno anche “Cina. L'irresistibile ascesa” per i tipi di Sandro Teti Editore.
Per quanto riguarda i rapporti tra Cina e USA, secondo Bradanini «è indispensabile che Stati Uniti e Cina vadano d'accordo» e «beninteso che le differenze siano risolte pacificamente, non con le armi, le portaerei armate di testate nucleari o i missili ipersonici». In vista dell'atteso vertice virtuale tra Joe Biden e Xi Jinping, dopo l'accordo sul clima annunciato a sorpresa durante la Cop26 di Glasgow, disertata dal leader cinese. L’ambasciatore italiano ha rilevato che «è una buona cosa» perché «se il mondo vorrà trovare delle soluzioni ai tanti problemi, è indispensabile che Stati Uniti e Cina trovino una sintesi delle rispettive posizioni». Ma, ha sottolineato, «serve uno sguardo pacifico», occorre «sedersi intorno a un tavolo cercando di capire le ragioni dell'altro» e «tale diverso atteggiamento dipende essenzialmente dagli Usa, i quali devono abbandonare la loro politica imperiale, iniziando a concepirsi come una nazione normale».
Con il pensiero rivolto al Medio Oriente, l'amb. Bradanini ha detto: «auspichiamo che gli Stati Uniti capiscano che devono abbandonare la strategia di espansionismo armato seguita da oltre mezzo secolo». Del resto, continua, «la stragrande maggioranza dei cittadini del mondo considera gli Usa la nazione più pericolosa per la pace nel mondo, e non a caso, se si prendono in conto le loro oltre 800 basi militari sparse in ogni continente, a fronte dell'unica base militare cinese all'estero, a Gibuti».
«Il budget militare USA equivale alla somma dei budget militari delle dieci nazioni che seguono in graduatoria, Cina e Russia comprese». Quindi, ha detto ancora Bradanini, «il nostro auspicio è che gli Stati Uniti riducano le loro politiche espansioniste per lasciare spazio a ciascuno, Cina compresa. Purtroppo sinora Donald Trump o Joe Biden hanno fatto ben poca differenza sotto il profilo delle strategie espansioniste di stampo imperialistico».
L'ex ambasciatore ha citato un esempio: quello dell'accordo sul nucleare iraniano del 2015, voluto da Barack Obama e poi rinnegato da Trump con il ripristino delle sanzioni contro Teheran. «Mentre la logica avrebbe dovuto spingere Biden a ripristinarlo appena insediato alla Casa Bianca, l'accordo resta invece congelato, a dispetto delle pressioni dell'Unione Europa, di Cina e Russia» ha detto concludendo che «continua senza sosta la politica bellicosa nei confronti dei Paesi che non si piegano ai voleri di Washington, perseguendo una legittima politica di indipendenza nazionale».

Fonte: Redazione
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