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Camera: audizione amb. Massari in Commissione Esteri su crisi in Afghanistan

11-11-2021 18:49 - Ambasciate
Amb. Maurizio Massari Amb. Maurizio Massari
GD – Roma, 11 nov. 21 – L’amb. Maurizio Massari, rappresentante permanente italiano all’ONU, ha partecipato oggi all’audizione dinnanzi alla Commissione Esteri della Camera sulla crisi in Afghanistan. Questo il testo integrale del suo intervento.
«Ringrazio la Commissione Affari Esteri per l’opportunità che mi è stata concessa di fornire un contributo all’analisi della crisi in Afghanistan e dei possibili scenari futuri dalla prospettiva onusiana. Mi concentrerò su tre dimensioni: 1) la risposta “politica” alla crisi; 2) la risposta “umanitaria” alla crisi; 3) la risposta in termini di sostegno socio-economico diretto alla popolazione afghana e di fornitura di servizi essenziali.
Per quanto riguarda la risposta politica dopo la caduta di Kabul, il 15 agosto scorso, le Nazioni Unite hanno lanciato due forti messaggi, uno alla popolazione afghana ed uno, quindici giorni dopo, alle Autorità de facto da poco insediatesi.
Il primo messaggio sono state le parole del Segretario Generale Guterres alla popolazione afghana: cinque semplici parole che hanno tuttavia costituito per milioni di afghani un punto fermo in uno scenario in rapido mutamento: “we will stay and deliver”. Ossia Resteremo sul terreno e continueremo a fornire sostegno alla popolazione. Qualche giorno dopo Guterres ha anche esortato la comunità internazionale a restare unita, “to stand as one”, rammentando altresì l’importanza di proteggere le conquiste degli ultimi vent’anni specialmente in termini di diritti di donne e ragazze ed esortando le Autorità de facto afghane a fare in modo che il Paese non diventi un santuario del terrorismo internazionale.
Il secondo messaggio è stato quello lanciato dal Consiglio di Sicurezza con l’adozione il 30 agosto della Risoluzione 2593 passata con 13 voti favorevoli e le astensioni di Russia e Cina. Il testo si prefigge tre obiettivi principali: quello di garantire il cosiddetto "passaggio sicuro", ossia la possibilità per i cittadini afghani di lasciare il Paese in sicurezza; assicurare un accesso umanitario senza ostacoli; scongiurare il rischio che il territorio afghano sia utilizzato come base per attacchi terroristici e per reclutamento e training di formazioni estremistiche.
A tali priorità immediate, l’Italia e gli alleati, direi anzitutto l’Unione Europea, hanno aggiunto altre priorità, arricchendo i contenuti dell’azione internazionale. La prima di esse è la tutela dei diritti di donne, ragazze e minoranze, la seconda e la necessità di dar vita ad un governo inclusivo, la terza quella di evitare il collasso economico del Paese. Questo per quanto riguarda la dimensione politica, e di queste istanze l’Italia si è fatta portatrice nel suo ruolo di Presidenza G20, organizzando un vertice ad hoc a livello di leader lo scorso 12 ottobre, che è stato preceduto da una importante riunione ministeriale, qui a New York durante la settimana di alto livello presieduta dal ministro degli Esteri Di Maio, che ha visto la partecipazione dei ministri degli Esteri del G20, dell’ONU, la partecipazione iniziale del Segretario Generale Guterres, e quella delle diverse agenzie e articolazioni onusiane e dai leader di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale.
Aldilà del ruolo del G20 che è stato il primo a fornire una cornice multilaterale per discutere del presente e immediato futuro dell’Afghanistan, vanno sottolineati gli sforzi diplomatici messi in campo dai vari attori regionali, con la Russia molto profilata e le due riunioni svolte a Mosca insieme anche ai Paesi confinanti. Anche l’Iran, ha ospitato lo scorso 27 ottobre una nuova Conferenza dei Ministri degli Esteri dei Paesi confinanti con l'Afghanistan, incluso ovviamente anche la Cina.
Sottolineerei, poi, il ruolo particolarmente profilato anche in raccordo con le Nazioni Unite del Qatar, che è impegnato in una azione di raccordo dei vari attori internazionali promuovendo un approccio di ingaggio realistico della nuova dirigenza afghana, senza però valicare quelle linee rosse che sono rappresentate dal riconoscimento del nuovo regime. A proposito dell’azione dell’ONU in questa dimensione politica in senso ampio che sto descrivendo, vorrei sottolineare due ultimi aspetti. Uno è quello dei diritti umani. Abbiamo svolto qui alle Nazioni Unite una riunione Ministeriale sempre a settembre durante la settimana di alto livello dell’Assemblea Generale ONU, del pari presieduta dal ministro Di Maio, per quanto riguarda i diritti delle donne e bambine afghane e il loro diritto all’istruzione.
Poi, nell’ambito del Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra, grazie all’impulso dell’Italia e dell’Unione Europea abbia depositato una risoluzione sull’Afghanistan, che è stata recentemente approvata, che prevede l’istituzione di un Relatore Speciale per monitorare gli sviluppi della situazione dei diritti umani nel Paese.
Infine, oltre alla Risoluzione 2593, l’ONU ha anche adottato, a fine settembre, la Risoluzione 2596 che rinnova il mandato della missione ONU sul terreno, UNAMA, missione politica speciale presente in Afghanistan nel Paese dal 2002. Il Consiglio di Sicurezza ha adottato il 17 settembre all’unanimità la risoluzione 2596, rinnovando il mandato di UNAMA di sei mesi, fino al 17 marzo 2022. Vedremo poi cosa accadrà per il successivo rinnovo dopo marzo. Questo è per quanto riguarda la dimensione politica.
Passo alla risposta umanitaria, molto importante ovviamente. L’azione umanitaria delle Nazioni Unite prevede un’azione di assistenza basata sui principi di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza. Il sottosegretario generale per gli Affari Umanitari dell’ONU che presiede OCHA - il britannico Griffiths con cui manteniamo uno stretto contatto - si è recato in Afghanistan per promuovere l’azione delle Nazioni Unite e ha potuto parlare a più riprese con i massimi esponenti talebani per le modalità di svolgimento di questa assistenza umanitaria in loco. Assistenza che naturalmente non è direttamente fornita ai Talebani, ma alla popolazione afghana attraverso appunto le agenzie delle Nazioni Unite.
I Talebani si sono impegnati, attraverso una lettera inviata dal loro di fatto “Ministro degli Esteri” allo stesso Griffiths, per garantire il pieno accesso alla popolazione bisognosa di assistenza e alla protezione e piena libertà di movimento degli operatori umanitari e all’inviolabilità dei compound delle Nazioni Unite. Questo sta consentendo alle Nazioni Unite di portare avanti l’azione umanitaria sul terreno attraverso le sue diverse agenzie cercando di coordinare anche in loco le diverse ONG, sono circa 150 ONG attive. Secondo la valutazione che si fa qui a New York di questa azione umanitaria, i convogli umanitari godrebbero di una soddisfacente libertà di movimento tra le diverse province afghane: ciò anche perché è dovuto alla cessazione di diffusi conflitti tra esercito governativo e talebani che esistevano in precedenza.
Un riferimento anche alla libertà di lavorare da parte dello staff femminile umanitario. C’è un aspetto interessante: nonostante i terribili fatti di cronaca sulle donne afghane che i media ci descrivono purtroppo quotidianamente, dal punto di vista strettamente umanitario, le Nazioni Unite riportano un quadro accettabile della libertà di movimento delle operatrici umanitarie. Questo dato è tanto più importante se si considera che le donne afghane bisognose d’assistenza possono essere raggiunte soltanto da operatrici dello stesso sesso, senza la cui libertà di lavorare metà della popolazione ovviamente sarebbe esclusa dall’assistenza a causa delle restrizioni imposte dai Talebani.
Ciò detto, per la situazione che conosciamo sul terreno dovuta non soltanto all’instabilità politica degli ultimi mesi ma agli effetti della pandemia e alla siccità legata ai fenomeni climatici estremi, la situazione umanitaria resta particolarmente preoccupante. Secondo le stime del Palazzo di Vetro, oltre la metà della popolazione afghana ha attualmente bisogno di assistenza umanitaria a causa di grave insicurezza alimentare, quindi circa 23 milioni di persone e più della metà dei bambini sotto i cinque anni soffre di malnutrizione acuta e ovviamente l’arrivo dell’inverno rischia di peggiorare ulteriormente questa situazione.
Le Nazioni Unite hanno messo in campo in questa situazione. Presidente, lei appunto ha ricordato la Conferenza di Ginevra di settembre, il flash appeal per raccogliere risorse da parte dei Paesi donatori. Di questo miliardo che è stato promesso, naturalmente l’intera cifra non è stata ancora versata dai Paesi donatori. L’Italia, come sapete, ha annunciato la decisione di destinare 150 milioni di euro per la crisi, di cui il 50% per interventi anche nei Paesi della restante regione e il 50% concentrati proprio in Afghanistan. Per quanto fondamentale questa assistenza umanitaria nel breve periodo, è evidente che è una condizione necessaria ma non sufficiente per assicurare una sostenibilità per quanto riguarda funzionamento economico del Paese.
Qui si innesca la discussione, ancora in fase di finalizzazione, sulla cosiddetta dimensione del humanitarian plus, cioè di come le Nazioni possano contribuire ad evitare il collasso economico del Paese attraverso una serie di azioni di assistenza che non implichino transazioni finanziarie dirette con i talebani. Quindi, parliamo di programmi di sostegno socio-economico nelle diverse aree e province del Paese, parliamo del pagamento di salari a insegnanti, a personale sanitario e così via.
Si stanno studiando diversi modelli di intervento: ci si è dibattutiti sulla possibilità di applicare il modello dello Yemen, in cui le risorse della Banca Mondiale venivano transitate attraverso le agenzie delle Nazioni Unite direttamente alla popolazione. Ma questo modello era possibile anche perché in Yemen era restato in vita il sistema bancario locale, cosa non vera per quanto riguarda l’Afghanistan, dove c’è un problema strutturale proprio di mancanza di valuta locale, di cash a causa del collasso e della chiusura di fatto del sistema bancario. Né è possibile l’utilizzo di valuta straniera secondo quanto hanno decretato i talebani.
Comunque, l’ONU e la Banca Mondiale stanno continuando questi approfondimenti in raccordo con i Paesi donatori, in primis ovviamente con gli Stati Uniti, per individuare le possibili modalità di canalizzazione delle risorse della Banca Mondiale attraverso agenzie, fondi e programmi delle Nazioni Unite. C’è qualche agenzia specifica, per esempio UNDP, che ha lanciato un’iniziativa per un trust fund per consentire programmi localizzati in alcune aree del Paese di sostegno socio-economico per la popolazione.
In sostanza, come breve sintesi di questa argomentazione che sto esponendo: è evidente che la situazione resta molto fluida e complessa, e la transizione inevitabilmente sarà lunga. Questa è la valutazione che si fa qui a New York. La stessa dirigenza talebana, come sapete è considerata divisa tra una componente più operativa, più pronta e disposta a ingaggiare la comunità internazionale, e un’altra componente più ideologica e meno moderata.
L’obiettivo fondamentale delle Nazioni Unite è quello di evitare il collasso socio-economico del Paese. Un obiettivo che è prioritario e condiviso dalla membership qui, per tutte le conseguenze che tale collasso economico porterebbe per i Paesi della regione, oltre che per l’Afghanistan, ma non dimentichiamo anche per l’Europa.
L’Afghanistan sembra geograficamente lontano, ma lo può essere molto meno laddove si verificasse un collasso economico del Paese. Va quindi perseguito l’obiettivo di evitare questo collasso economico attraverso un’azione di equilibrio, di impegno sul terreno, di engagement, che le Nazioni Unite continuano a predicare.
Ciò naturalmente senza compromettere e rinunciare ai nostri principi fondamentali, che sono quelli del rispetto almeno dei diritti umani essenziali e i diritti delle donne e delle ragazze. E naturalmente auspicando che ci possa essere anche una maggiore inclusività nel Governo afghano.
Nessuno vuole ovviamente pregiudicare i risultati che erano stati conseguiti negli ultimi vent’anni. È chiaro che in questa transizione, l’ONU è destinata a mantenere un ruolo assolutamente centrale, perché sul terreno attraverso le proprie agenzie può essere veramente il fattore decisivo in una fase che si preannuncia lunga, in cui sarà difficile ingaggiare direttamente il governo talebano. Le Nazioni Unite, attraverso la loro azione sia umanitaria che di sostegno socioeconomico, diventano assolutamente centrali, quindi andranno assolutamente sostenute da parte nostra, come stiamo del resto facendo, e da parte anche dell’Unione Europea.
Concludo con un’ultima osservazione che riguarda il dialogo che si sta sviluppando con l’azione attiva degli attori regionali. Parliamo chiaramente in primis di Cina, Russia, Pakistan, Iran e Paesi confinanti dell’Asia Centrale. Il messaggio che da qui cerco di veicolare quotidianamente, anche con i miei interlocutori, è quello di considerare un ruolo importante in questi formati anche dell’Unione Europea. In quanto principale donatore l’Unione Europea deve essere parte, a mio avviso, di questi formati che coinvolgono per il momento soprattutto i Paesi confinanti e i Paesi della regione. L’Unione Europea, in quanto appunto principale donatore, deve essere non soltanto un “payer”, ossia un pagatore, ma anche un “player”, vale a dire un giocatore, ed è importante che questa voce venga fatta ascoltare a tutti i Paesi che si stanno impegnando in questa diplomazia che cerca di portare stabilità all’Afghanistan».

Fonte: Redazione
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