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Ambasciata di Francia: torna restaurato l'affresco «Morte di Adone» del Domenichino

14-03-2022 18:02 - Ambasciate
Il team di Spedart predispone l'installazione dell'affresco "Morte di Adone" del Domenichino Il team di Spedart predispone l'installazione dell'affresco "Morte di Adone" del Domenichino
Raffronto tra l'opera restaurata e appesa, sopra, e quella provvisoria, sotto Raffronto tra l'opera restaurata e appesa, sopra, e quella provvisoria, sotto
da sin.: Alessandra Marino direttore Ist. Centrale Restauro; amb. Christian Masset; Daniela Porro, soprintendente da sin.: Alessandra Marino direttore Ist. Centrale Restauro; amb. Christian Masset; Daniela Porro, soprintendente
L'amb. Christian Masset L'amb. Christian Masset
GD - Roma, 14 mar. 22 - L'affresco "Morte di Adone" del Domenichino è tornato a Palazzo Farnese dopo aver ritrovato il suo splendore grazie a due anni di restauro. L'ampia collaborazione avviata da tempo tra l'Ambasciata di Francia a Roma e l'Istituto Centrale per il Restauro è continuata oggi con la conclusione del restauro dell'affresco staccato di Domenichino (Domenico Zampieri, Bologna 1581 – Napoli 1641) raffigurante la Morte di Adone. L'affresco è stato riallestito nel Salone delle Firme di Palazzo Farnese alla presenza di Alessandra Marino, direttrice dell'Istituto Centrale per il Restauro; di Christian Masset, ambasciatore di Francia in Italia; di Daniela Porro, soprintendente presso la Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma.
Il restauro è stato interamente finanziato, progettato ed eseguito dall'Istituto Centrale per il Restauro, d'intesa con la Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma. L'amb. Christian Masset ha voluto ricordare come «in questo periodo di guerra in Ucraina in cui si distrugge tanto e oggi vediamo l'importanza della conservazione del patrimonio e della civiltà» e ha salutato il valore particolare di quest'opera di preservazione dell'arte.
L'ambasciatore di Francia ha voluto anche «ringraziare vivamente le due istituzioni per il notevole lavoro svolto per il restauro di quest'opera» che, insieme agli altri due affreschi di questo ciclo, «rendono Palazzo Farnese quasi una pagina di storia dell'arte della pittura del Seicento bolognese», come ha sottolineato la soprintendente Daniela Porro.
La direttrice dell'ICR, Alessandra Marino, ha spiegato che «la restituzione di oggi segna la felice conclusione del restauro del secondo affresco staccato di Domenichino proveniente dal Casino della Morte, ma l'Istituto è interessato a far sì che l'importante collaborazione con l'ambasciata di Francia prosegua, soprattutto per portare a compimento il restauro dell'intero ciclo affrescato, intervenendo sulla scena dell'"Apollo e Giacinto", che fornirà un'utile occasione di confronto, ricerca e studio».
L'opera riconsegnata oggi è parte di un ciclo di tre affreschi realizzati dall'artista bolognese tra il 1603 e il 1604 nel cosiddetto Casino della Morte, un piccolo edificio fatto costruire dal cardinale Odoardo Farnese quale dépendance intima e raccolta del grandioso palazzo di famiglia. Situato sulla sponda del Tevere, e così denominato per via della contiguità con la chiesa di Santa Maria dell'Orazione e Morte, il Casino si apriva al pianterreno su un rigoglioso giardino prospiciente il fiume ed era accessibile direttamente dal palazzo principale attraverso l'arco che scavalca ancora oggi via Giulia.
L'edificio venne decorato dall'équipe di artisti diretta da Annibale Carracci, già impegnata nella realizzazione di numerose imprese decorative per la famiglia Farnese, prima fra tutte la celebre galleria del palazzo. Attraverso Annibale il giovane Domenichino ricevette l'incarico di realizzare i tre affreschi che impreziosivano le volte delle due sale del piano terreno nonché della loggia che si apriva sul giardino. Proprio in quest'ultima era collocato Morte di Adone. I soggetti dei tre dipinti, tratti dai miti classici e narrati da Ovidio nelle Metamorfosi, sono "Narciso alla fonte", "Apollo e Giacinto" e appunto "La morte di Adone", ovvero tre tragiche storie in cui la morte del protagonista è causa della nascita di un fiore, palese richiamo ai gigli dell'emblema araldico dei Farnese, nonché soggetto ideale per un edificio da giardino, dove venivano coltivate proprio le specie floreali la cui origine è rappresentata nei dipinti.
Nell'affresco è raffigurato il momento in cui Venere, scesa dal cocchio dorato trainato da due cigni, si abbandona alla disperazione nel trovare l'amato Adone agonizzante a terra, ferito a morte da un cinghiale. Cupido, due putti alati e il cane fedele del giovane morente assistono alla scena, ambientata in un paesaggio collinare, anticipazione di quel genere paesaggistico cui l'artista avrebbe dedicato una parte molto felice della sua produzione. Tra i ciuffi d'erba in primo piano sboccia l'anemone, fiore generato dal sangue di Adone.
Ben presto il Casino della Morte perse tutto il suo ricco apparato ornamentale, ma gli affreschi di Domenichino rimasero in situ fino al 1817, quando, su iniziativa del marchese Fuscaldo, plenipotenziario del Re delle Due Sicilie, erede delle proprietà Farnese, essi vennero distaccati, anche per il loro cattivo stato di conservazione, e trasferiti a Palazzo Farnese, in una sala adiacente alla Galleria dei Carracci.
Artefice dello stacco fu uno dei più importanti restauratori europei del primo Ottocento, Pietro Palmaroli, già autore, pochi anni prima, del riuscito distacco della "Deposizione dalla croce" di Daniele da Volterra a Trinità dei Monti. Palmaroli aveva elaborato una variante metodologica rispetto alle tecniche, allora praticate, dello stacco a massello o dello strappo: essa gli consentiva di distaccare gli affreschi conservando un sottile strato dell'intonaco originale, mantenendo così al dipinto, seppure montato sulla tela, le caratteristiche materiche proprie dell'affresco, come le incisioni e le giunzioni delle “giornate”.
Oggi i tre affreschi si conservano riuniti nella Sala delle Firme nell'appartamento dell'ambasciatore francese a Palazzo Farnese.
L'intervento appena concluso sulla "Morte di Adone" segue quello, sempre a cura dell'Istituto Centrale per il Restauro, nel 2018, sul "Narciso alla Fonte". Il restauro è stato eseguito nella ex chiesa di Santa Marta al Collegio Romano, adibita a laboratorio ICR, anche per allievi della Scuola dell'Istituto.
Dopo una puntuale campagna fotografica, preliminarmente al restauro si è condotta un'ampia campagna di indagini scientifiche per caratterizzare i materiali costitutivi originali, individuare i prodotti del degrado e i materiali riferibili ai precedenti interventi di restauro. Le riprese fotografiche in luce UV, all'infrarosso e l'indagine radiografica si sono sommate alle analisi biologiche, chimiche e mineralogiche. Gli esiti della diagnostica hanno supportato le scelte metodologiche adottate nell'esecuzione dell'intervento.
Lo strato preparatorio originale dell'affresco è risultato composto da una malta di calce e pozzolana e la pellicola pittorica ha presentato una tavolozza ampia, con l'impiego di pigmenti preziosi: cinabro, giallo di piombo e stagno, smaltino, azzurrite, malachite, lacche.
La "Morte di Adone", rispetto agli altri due dipinti murali del ciclo conserva ancora il supporto realizzato da Palmaroli, con un robusto telaio di legno di castagno e tele di fibra naturale: valutato il buono stato di conservazione esso è stato mantenuto per il suo valore di testimonianza storica.
L'affresco, all'arrivo in santa Marta, mostrava alcune deformazioni permanenti, gravemente fratturate e, in corrispondenza di queste zone, oggetto di precedenti interventi di restauro, i ritocchi erano spessi, alterati e debordanti sulla pellicola pittorica originale. Un ampio rifacimento a tempera interessava la zona della quinta arborea centrale e parte della figura di Venere (il braccio sinistro, una porzione del capo), rifacimento dovuto a una lacuna forse antecedente all'operazione di stacco e ascrivibile a una fase pittorica ottocentesca. L'intera superficie dipinta era offuscata da estese ridipinture e fissativi imbruniti che la ottundevano.
Il restauro si è incentrato sul recupero dell'originaria cromia del dipinto murale, ristabilendone i corretti valori tonali attraverso metodiche selettive di pulitura. Dopo la rimozione delle vecchie e improprie stuccature si è proceduto con le operazioni di presentazione estetica. Sulle lacune non ricostruibili si sono eseguite stuccature con malta simile, per composizione e cromia, allo strato preparatorio originale; in corrispondenza delle lacune della pellicola pittorica ricostruibili sono state invece eseguite stuccature a livello bianche, successivamente reintegrate con colori a vernice. A seconda della tipologia delle mancanze si è scelto di reintegrare a tono, a sottotono o con la tecnica del tratteggio verticale per poter rispondere al criterio di riconoscibilità dell'intervento di restauro.
In linea con il metodo consolidato dell'Istituto, all'intervento ha preso parte un gruppo di tecnici delle diverse professionalità che ha operato in modo interdisciplinare.

Fonte: Redazione
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