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“Droit du Sol”: corsi e ricorsi storici e un po' di buonsenso

27-12-2023 10:26 - Opinioni
GD - Roma, 27 dic. 23 - Nella storia dell'umanità si sono sempre succeduti periodi in cui si sono affermati determinati principi e periodi in cui gli stessi principi sono stati abiurati. Ad esempio, in Francia è sancito dalla Costituzione sin dal 1793, il “Droit du Sol”, che prevede che chiunque nasca in Francia, da genitori sconosciuti o stranieri, sia cittadino francese perché nato sul suolo francese. Questo principio giuridico, anche noto con il termine latino “Jus Soli”, attribuisce la cittadinanza di uno Stato a una persona nata sul suo territorio, con o senza condizioni aggiuntive. La sua origine risale all'antica Roma, dove i bambini nati sul territorio romano erano considerati cittadini romani. Il "Droit du Sol", oltre che in Francia, è stato adottato da molti Paesi nel corso della storia, tra cui Stati Uniti, Canada, Australia e Brasile.
Il 19 dicembre scorso è stata approvata in Francia una nuova legge sull'immigrazione che prevede, tra le altre norme, anche la limitazione del “Droit du Sol” e che imporrà ai giovani nati in Francia da genitori stranieri di richiedere volontariamente la cittadinanza francese. In un articolo pubblicato su "Le Monde", Catherine Wihtol de Wenden, specialista di questioni migratorie, sostiene che si tratta di “un ritorno al passato", come la “legge Pasqua del 1993”, che ha riformato il codice della nazionalità e le condizioni di ingresso e soggiorno degli stranieri in Francia. Questa legge fu promulgata dal governo di Jacques Chirac, con Charles Pasqua ministro dell'Interno, e introdusse una serie di misure importanti, tra cui la restrizione del "Droit du Sol", dove i bambini nati in Francia da genitori stranieri non diventavano più automaticamente francesi al compimento della maggiore età, ma dovevano farne richiesta tra i 16 e i 21 anni.
Il "Droit du Sol" si differenzia dal “Droit du Sang” - “Jus Sanguinis”, perché attribuisce la nazionalità di uno Stato sulla base della nazionalità dei genitori, indipendentemente dal luogo di nascita. Negli ultimi decenni il “Droit du Sol” è diventato un argomento di lotta politica, dove i sostenitori ritengono che sia un principio di giustizia che garantisce la nazionalità a tutti i bambini nati sul territorio di uno Stato, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori, perché ritengono che sia un fattore che favorisce l'integrazione degli immigrati e dei loro figli.
Gli oppositori del "Droit du Sol" ritengono, invece, che questo sia un principio “non sufficiente” per riconoscere la cittadinanza, ai nuovi nati figli di immigrati e che sia necessario, ad esempio, adottare delle condizionalità aggiuntive quali la padronanza della lingua nazionale, la buona condotta e un percorso scolastico ("Jus Scholae") che dimostri la reale integrazione del nuovo cittadino nella patria di adozione.
I fenomeni di terrorismo, per mano soprattutto di giovani immigrati o di discendenti di immigrati che si sono susseguiti in Europa nell'ultimo 20ennio, non hanno favorito i proponenti di politiche per una adozione più diffusa dello “Droit du Sol” - “Ius Soli” nei vari Paesi europei. In Francia, in seguito ai terribili attentati del Bataclan del 13 novembre 2015, fu presentato un disegno di legge che proponeva di revocare la nazionalità per quei cittadini che si fossero macchiati di reati di terrorismo. Il disegno di legge non ebbe seguito solo perché risultò che alcuni dei terroristi coinvolti negli attentati terroristici di Parigi erano discendenti da famiglie di origine maghrebine, ma erano francesi da diverse generazioni. Quindi, non sarebbe stato possibile revocare loro la nazionalità francese perché non ne avrebbero potuto avere alcun'altra.
Gli attentati terroristici del 13 novembre 2015 hanno segnato un punto di svolta nella percezione diffusa tra i cittadini europei del fenomeno migratorio ed hanno avuto un profondo impatto sulle politiche relative all'immigrazione in Francia e in tutta Europa. Le nuove politiche per la gestione del fenomeno migratorio hanno portato ad un aumento della sorveglianza e delle misure di sicurezza ed hanno contribuito all'esasperazione del dibattito sull'immigrazione da parte di coloro che propongono maggiore apertura con coloro che, al contrario, propongono maggiori restrizioni all'accoglienza di immigrati.
Come sempre un po' di buonsenso e dialogo costruttivo fra le diverse posizioni consentirebbe di trovare le soluzioni più opportune, perché è ormai acclarato da decenni di esperienza che non si può dare a qualcuno la cittadinanza di un Paese solo perché è nato “casualmente” in un determinato luogo in quel la nazione. Non si può neanche negare la cittadinanza a qualcuno che è nato, cresciuto, che ha studiato nel Paese ed è perfettamente integrato nel contesto sociale, perché quella persona fa parte della popolazione, come qualsiasi altro cittadino di quel Paese.
Infatti, per vivere bene in uno Stato straniero è fondamentale parlare la lingua locale, conoscere e condividere le tradizioni e le usanze del paese di accoglienza, perché viverci come un “corpo estraneo” non è funzionale né utile a nessuno. Chiarire questo semplice assioma fin da subito potrebbe aiutare sia coloro che decidono di migrare in Europa, sia gli europei che ricevono nuovi cittadini provenienti da culture e usanze diverse, ma certamente in grado di coesistere e vivere in armonia in una società civile ed evoluta com'è la nostra.
Altrimenti si crea solo emarginazione che genera problemi, disadattamento e sofferenza per tutti. Questo dovrebbe far riflettere i decisori politici sull'importanza di perseguire politiche migratorie sostenibili, sia per i migranti, sia per i paesi di accoglienza.

Ciro Maddaloni
Esperto di eGovernment internazionale


Fonte: Ciro Maddaloni
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