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A Biden scelta tra coalizione saudita-israeliana o possibile negoziato con Iran

02-12-2020 19:57 - Opinioni
GD – Venezia, 2 dic. 20 - La dichiarazione del presidente eletto degli USA Joe Biden di voler offrire al regime degli Ayatollah un ritorno al percorso negoziale e diplomatico appare, in questo momento, appesa al vuoto. Non sarebbe comunque semplice attuare un così deciso cambio di strategia nei confronti dell’Iran, da parte del presidente USA, neanche se, come si sospetta, il Mossad non avesse assassinato il capo del programma nucleare iraniano, lo scienziato Mohsen Fakhrizadeh.
Il professore, da tempo nel mirino degli israeliani, già nel 2018 era stato segnalato come bersaglio da colpire proprio da Netanyahu, in una conferenza riguardante il pericolo derivante dall’arricchimento dell’uranio iraniano.
Peraltro, anche se Teheran ha sempre decisamente negato di perseguire il nucleare militare, lo stoccaggio di uranio arricchito nel Paese è oggi 15 volte superiore a quello consentito nel trattato JCPOA. E senza spiegazioni resta la lunga scia di cadaveri che ha segnato il progetto nell’ultimo decennio.
A rendere più intricato il rebus si è aggiunta, ad agosto scorso, sempre nei dintorni di Teheran, l’eliminazione del numero 2 di Al Qaeda Abdullah Ahmed Abdullah, rendendo così manifesto uno stretto legame dell’Iran con l’organizzazione terroristica, mentre resta non confermata la scomparsa di uno dei principali comandanti dei guardiani della rivoluzione, Muslim Shadan, annunciata dai Sauditi che, in questi giorni, hanno attaccato senza mezzi termini gli Ayatollah, accusandoli di usare l’influenza religiosa sciita a fini di potenza in tutte le controverse vicende mediorientali.
Tali inaspettate dichiarazioni del principe Saudita Salman permettono a Israele di raccogliere i frutti dell’”Accordo di Abramo” e di aggiungere ai vecchi legami con Giordania ed Egitto anche quelli con Riad, Emirati, Bahrein, Sudan e, seppur più defilati, Oman e Kuwait.
Si è spinta, così, nel profondo l’inedita alleanza, che ha addirittura previsto entro il 2022 la costruzione nella capitale degli Emirati, per la prima volta, di una Moschea, di una Chiesa e, incredibilmente, di una Sinagoga.
Non c’è che dire: la nuova coalizione stringe più da vicino gli iraniani e il timore che ne consegue è che dalle elezioni previste a giugno 2021 esca una classe politica ben più estremista dell’attuale trojka Khamenei-Rohani-Zarif, riecheggiando i nefasti tempi di Ahmadinejad.
L’”asse sciita” (Iran – Iraq sciita – Siria alawita – Hezbollah) a 20 anni dalla sua definizione e dopo un crescente consolidamento, anche a seguito dell’uccisione di Qassem Suleimani, il suo ideatore, trova ora difficoltà a reggere, dal Golfo Persico a Beirut, sul Mediterraneo.
E naturalmente non è solo un problema militare. I Paesi attraversati dall’asse sono anche economicamente in ginocchio, o devastati da inspiegabili eventi come la spaventosa esplosione di Beirut, diretta ad eliminare l’arsenale di Hezbollah.
Va da sé che l’inedita coalizione Saudita-Israeliana progetta una Regione del Golfo stabilizzata e aperta agli scambi con le grandi economie asiatiche e ritiene la muraglia fondamentalista e teocratica dell’Iran la barriera da svellere per favorire transizione energetica, cooperazione, relazioni e commerci oggi assenti.
I principali Paesi sunniti guardano infatti all’Oceano Indiano e al passaggio attraverso il Golfo per raggiungere l’India, il grande sub continente con cui da anni Israele ha sottotraccia ottimi rapporti, anche di intelligence.
Riuscirà il presidente Biden a coniugare la convivenza con la coalizione anti-iraniana, divenuta quasi una sorta di avanguardia dell’Occidente e, allo stesso tempo, a promuovere l’annunciato negoziato diplomatico con il regime di Teheran?
Una cosa è certa: l’area del Golfo, da tempo bloccata nello scontro tra potenze regionali, al quale si è poi sommata la trentennale stagione del terrorismo, non può più rimanere sotto la cappa pesantissima degli eventi nefasti che da un lato hanno affondato l’Iran e dall’altro hanno impedito lo sviluppo di forme di economia alternative a quelle circoscritte alla rendita del gas e del greggio nelle quali, ora, il mondo sunnita ha deciso di entrare, anche con l’utilizzo delle tecnologie e dell’intelligence israeliani.

di prof. Arduino Paniccia
Presidente ASCE Scuola di Guerra Economica e Competizione Internazionale di Venezia



Fonte: Arduino Paniccia
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