«I segreti della diplomazia veneziana» svelati nel libro di Gian Nicola Pittalis

20-05-2020 16:36 -

GD – Venezia, 20 mag. 20 – Solo un abile topo d'archivio come il giornalista veneziano Gian Nicola Pittalis poteva svelare i molti arcani diplomatici della Serenissima Repubblica di Venezia, che fu maestra ed anzi antesignana dell'arte della diplomazia e delle sottili sue interconnessioni, spionaggio compreso. Lo ha fatto con un lavoro certosino che ora è stato condensato nell'interessante e avvincente libro «I segreti della diplomazia veneziana – Accordi e trattati internazionali dagli Archivi della Serenissima», appena pubblicato dall'editore Biblioteca dei Leoni di Villorba (Treviso). Non va dimenticato che Venezia con la Spagna è stata la patria della diplomazia moderna. Era il 1436 quando la Serenissima apre a Roma la prima ambasciata stabile nel mondo. La sede era a Palazzo Venezia, passata poi alla storia per altre ragioni.
Come si legge in un eloquente abstract, infatti, «Venezia è con la Spagna la patria della diplomazia moderna. Occorreva un'ottima rete diplomatica per garantire commercio e potere. E Venezia per secoli è stata maestra di contatti, cultura e spionaggio. Una storia lunga di ambasciatori, trattati, dispacci, ritratti di sovrani grandi e piccoli, di pontefici non sempre santi. Una storia di uomini spediti nelle corti più lontane, tra re e sultani che non sempre rispettavano le regole. Da Giovanni Dario che firmò la pace col terribile Maometto II e poi legò il suo nome al palazzo maledetto, a Marco Antonio Barbaro che trattò con tutta Europa e fu amico dei più grandi artisti del suo tempo, dal Veronese a Palladio, a Ermolao Barbaro il Giovane che scrisse un trattato sul perfetto ambasciatore e che, mandato a Roma, piacque tanto alla Chiesa che rischiò di essere eletto pontefice. Antonio Foscarini, in pochi mesi dal più grande traditore della Repubblica è trasformato nel più fedele ambasciatore della Serenissima. Condannato, ucciso e poi riabilitato. Venezia riafferma se stessa anche attraverso un clamoroso errore giudiziario. Non riuscirà a ripetersi con Girolamo Lippomano, bailo a Costantinopoli, accusato di tradimento, ma senza prove. Ritorna per scagionarsi, lo trovano in fondo al mare davanti al Lido. Suicidio, dicono le cronache. Ucciso e gettato in mare, dice la gente. E Leonardo Donà, l'ambasciatore che seppe farsi Doge e osò opporsi al Papa dell'Interdetto per ribadire l'autonomia di Venezia davanti alla Chiesa. E Alvise Querini, l'ultimo ambasciatore nella Parigi della Rivoluzione e del Terrore. Avvertì la Serenissima del pericolo della spartizione napoleonica, ma era troppo tardi: la città si era già consegnata senza combattere ai nuovi vincitori».
Non a caso Venezia è diventata la Serenissima anche grazie all'abilità e alla preparazione dei suoi ambasciatori, agli intrighi e alle spie, ai segreti custoditi o svelati. Ha dominato per secoli, intessendo rapporti di opportunità politica con tutti gli stati italiani e europei e anche oltre. Lo ha fatto fino al momento in cui la storia di quella Venezia si è conclusa.
Tutto finisce nel «tremendo zorno del dodese» (12 maggio 1797), che è l'epilogo di un processo storico, la conclusione del viaggio verso la caduta: quel giorno, per voto del Maggior Consiglio, la Serenissima decide di scomparire dalla storia. Ma non è altro che la presa d'atto di una situazione irreversibile.
Pittalis con maestria e garbo ci accompagna in una lunga storia di ambasciatori, corrieri, dispacci anche cifrati, rapporti economici, ritratti di sovrani grandi e talvolta piccolissimi, di pontefici non sempre santi. Una narrazione di uomini veneziani spediti nelle corti più lontane, tra re e sultani che non sempre rispettavano le regole.
Allora come oggi, fare l'ambasciatore era un mestiere difficile. Venezia allevava i suoi diplomatici nella sua classe dirigente: venivano dall'aristocrazia e dalla borghesia più sfrontata e ricca. Era una scuola che richiedeva capacità notevoli e capitali altrettanto notevoli, una tradizione di famiglia. Era un mestiere che portava vantaggi importanti e spesso sfociava nell'elezione alla carica più ambita, quella di Doge. Gli ambasciatori-dogi sono più numerosi di quanto si pensi.
Come scrive l'autore, c'erano regole severissime da rispettare, spesso si pagava di tasca, non si potevano trattenere i doni ricevuti, bisognava riferire ogni cosa e alla fine quasi sempre il privato e il segreto diventavano pubblici. Una legge obbligava gli ambasciatori a riferire oralmente sulla loro missione e su ciò che avevano appreso all'estero, e un decreto del Senato ingiungeva loro di far seguire una relazione scritta, ricca di particolari, da presentare al Collegio e registrata dalla Cancelleria ducale. Quasi un genere letterario, un genere originale che dava fama anche oltre confine, ed era importante per capire la politica e la storia dell'Europa e del suo mondo.
Gli ambasciatori mettevano in mostra nelle loro relazioni un grande spirito d'osservazione, avevano il senso della sintesi, la spregiudicatezza, il senso soprattutto dello Stato. Ognuno metteva in mostra il suo retroterra culturale spesso notevole. Erano lo specchio più vario e talvolta più alto dell'arte del negoziato, tanto più utile quanto più Venezia decade.
Le relazioni degli ambasciatori veneti non sono soltanto “documenti dello Stato” indirizzati rigorosamente alle istituzioni, non sono soltanto dispacci in fila tutti immancabilmente indirizzati al «Serenissimo Prencepe». Sono al tempo stesso trattati, guide turistiche, saggi. Sono rapporti informativi su re, regine, amanti, figli, personaggi di corte. Talvolta sono veri identikit che rivelano lo stato di salute del sovrano o del pontefice, il carattere i rapporti familiari, la cultura, i passatempi, i giochi, le cattive abitudini. C'è tutto quello che le fonti ufficiali non dicono. Spesso abbondano i giudizi forti su papi e sovrani
Gli ambasciatori mandano dispacci a un ritmo spesso frenetico e ossessivo. Inviati a Venezia per mezzo di corrieri fidati e veloci che viaggiano per terra per evitare i pericoli del mare. Riescono a far arrivare dispacci anche nelle situazioni più sfavorevoli, anche dal carcere, anche poco prima di morire.
Venezia deve molto a queste informazioni talvolta scritte in inchiostro simpatico, in linguaggio cifrato, usando cifrari complessi caduti in disuso nel Settecento. Per la «Zifra» Venezia primeggia per ingegno, per protezione di interessi commerciali. C'è un trattato conservato all'Archivio di Stato di Venezia scritto nel 1558 dal segretario Agostino Amadi che contiene, divise in tre parti, le regole per comporre alfabeti cifrati e per la decodificazione. E c'è un messaggio cifrato incredibile fatto pervenire dall'imperatore Carlo V a Venezia durante il dogado di Andrea Gritti. Era in uno spartito musicale: gli strumentisti di corte ne trassero soltanto suoni sgraziati, si incolparono a vicenda. Poi il segretario capì che si trattava di un messaggio cifrato.
Grazie al lavoro di Pitallis con il suo avvincente libro abbiamo fatto un viaggio tra gli ambasciatori e i documenti lasciati e affidati all'Archivio di Stato di Venezia che conserva la memoria della storia. Sono stati giorni difficili per l'autore nel consultare i documenti: c'è stata l'alluvione di novembre che ha messo in ginocchio la città e ha fatto scattare l'allarme di una nuova Aqua Granda. Sono state settimane complicate, come racconta: si è aggiunto anche il ramo di un cedro secolare che nel cortile ha sentito il vento e si è piegato sulle finestre. Riprodurre i documenti utilizzati gli è stato possibile soprattutto grazie alla collaborazione di Michele Dal Borgo, archivista di talento grande e di passione ancora più grande.
La lettura del libro «I segreti della diplomazia veneziana» è un viaggio divertente e appassionante. I personaggi che più incuriosiscono sono raccontati in modo divulgativo, rigoroso ma senza la pretesa del saggio storico. Ci sono le più grandi corti dell'Europa, re e regine, pontefici e cardinali, duchi e imperatori. E c'è il Bailo che risiede a Costantinopoli, personaggio misto: è il rappresentante diplomatico presso il “Gran Signore” dell'impero ottomano e governatore della colonia veneziana. Una carica ricercata, la giurisdizione sui mercati mette a disposizione guadagni alti, ma il Gran Signore non rispetta l'immunità diplomatica in tempo di guerra.
C'è Venezia con le sue ambizioni e la sua grandezza, anche con le sue miserie e i suoi errori che spesso costano la vita. Come quando sulla base di false accuse condanna a morte Antonio Foscarini, che passa da ambasciatore di talento a grande traditore della Repubblica. Ucciso e appeso a testa in giù tra le due colonne della Piazza. Ma poi riabilitato. Venezia riafferma se stessa anche attraverso un clamoroso errore giudiziario. Non riuscirà a ripetersi con Girolamo Lippomano, bailo a Costantinopoli, accusato di tradimento, ma senza prove. Ritorna per scagionarsi, lo trovano in fondo al mare davanti al Lido. Suicidio, dicono le cronache. Ucciso e gettato in mare, dice la gente. Sono sparite le carte.


Fonte: Direzione