Farnesina: ministro Moavero Milanesi a "Il Sole 24 Ore", «La nostra industria è competitiva, vitale il libero commercio»

24-07-2019 12:01 -

GD - Milano, 24 lug. 19 - Il ministro Enzo Moavero Milanesi ha rilasciato una intervista al giornalista Gerardo Pelosi de "Il Sole 24 Ore". Ne trascriviamo il testo dal sito della Farnesina.
La diplomazia italiana si sta adeguando alle sfide della globalizzazione per difendere l'interesse nazionale e promuovere il "soft power" italiano e migliorare la presenza dei nostri prodotti in Estremo Oriente, Africa e America Latina. Ma restando fedeli a tre grandi pilastri: Nazioni Unite, Nato e Ue senza rompere la solidarietà europea nei rapporti con Cina e Russia. È il pensiero del ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi in quest'intervista a "Il Sole 24 Ore". Il ministro parla alla vigilia della XIII conferenza degli ambasciatori che sarà aperta oggi dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
D.: La conferenza degli Ambasciatori sarà l'occasione per una riflessione sul ruolo della nostra rete diplomatica per difendere l'interesse nazionale, concetto più volte richiamato dalla maggioranza gialloverde. Vede più elementi di continuità o discontinuità rispetto al passato nelle posizioni italiane in politica estera?
R.: Secondo me, la nostra politica estera ha tre pilastri di riferimento, che si manifestano in tre organizzazioni internazionali complesse alle quali la Repubblica aderisce, con lungimiranza, fin dai suoi albori. Il primo pilastro è l'Onu e il collegato sistema multilaterale. Il secondo è la Nato, alleanza militare fra Stati che condividono gli ideali di libertà e democrazia, e che fa perno sullo speciale rapporto di amicizia con gli Stati Uniti, alleato strategico e terzo partner commerciale. Il terzo pilastro è l'integrazione europea, dalle prime Comunità economiche all'attuale Unione europea che ha una portata molto più ampia. Vedo l'integrazione europea come una sorta di `fase 2" dell'unificazione nazionale, per certi versi un completamento del Risorgimento, come aveva intuito Giuseppe Mazzini. Le tre organizzazioni mantengono intatta la valenza ideale. Tuttavia, la loro prospettiva operativa dipende molto dalla capacità di riformarle e l'Italia deve contribuirvi con iniziative costruttive.
D.: Le sfide globali e il nuovo mondo multipolare stanno trasformando radicalmente il modo di fare politica estera e lo stesso ruolo degli Ambasciatori. Quali sono, secondo lei, i cambiamenti che stanno avendo il maggior impatto? E quali sono le priorità di azione e rinnovamento su cui dovrebbe concentrarsi il sistema di politica estera italiano?
R.: Ci troviamo in una fase di marcato cambiamento dei contesti e dei rapporti che rilevano della politica estera; una fase peculiare per le inusuali dinamiche in continuo, rapido evolversi. Il termine "globalizzazione" aiuta a individuare la principale matrice dei tempi che viviamo, ma non basta. C'è maggiore interdipendenza e un'inedita immediatezza e fluidità, specie negli investimenti. Per questa ragione, penso che la politica estera italiana debba muoversi per individuare autonomamente le linee d'azione di nostro interesse prioritario. Ne cito tre: far sì che i porti italiani s'impongano quale approdo finale e "porta d'Europa" della lunga rotta commerciale marittima che dall'area dell'Estremo Oriente (Giappone, Corea del Sud e Cina), attraversa il Sud-Est Asiatico in pieno boom economico. La seconda linea guarda all'Africa, ai nostri buoni rapporti antichi e recenti con i suoi Stati, alla complementarietà fra la loro realtà in crescita notevole e la nostra già matura, ma che ha tanto da offrire. La terza linea porta a coltivare i rapporti di affinità culturale con l'America Latina e i suoi Paesi animati oggi da un forte dinamismo.
D.: Quando si parla dell'Italia si fa spesso riferimento alla nostra leadership nel cosiddetto "soft power". Come trasformare questo in un vantaggio competitivo nel dialogo anche politico con i nostri principali partner?
R.: Qualche dato: l'Italia è ottava nel mondo per il suo Pil, settima per produzione manifatturiera e quinta se guardiamo al surplus commerciale manifatturiero; in quest'ultime due classifiche siamo secondi in Europa. Ciò significa che la nostra industria è molto competitiva e che il libero commercio è per noi vitale. Dobbiamo continuare a puntare sulla qualità dei prodotti industriali e agricoli, investire, innovare, brevettare, far crescere il settore dei servizi nei comparti nodali e modernizzare le relative infrastrutture. Inoltre, per affermarsi nel mondo è fondamentale essere percepiti come una controparte negoziale ambita e affidabile. Ed è qui il grande ruolo dell'immagine positiva di cui beneficiamo: di solito, non siamo visti come prevaricatori, né aspiranti dominatori e i nostri prodotti sono istintivamente associati a idee gradevoli e vengono apprezzati per l'alta qualità tecnica specialistica. Anche l'essere da secoli un crogiolo di cultura e arte aiuta moltissimo.
D.: La crisi del multilateralismo, a 75 anni dagli accordi di Bretton Woods, disegna scenari inediti che vedono sempre di più fronteggiarsi le due grandi potenze egemoni, Stati Uniti e Cina in una realtà multipolare in cui l'Europa sembra in grave sofferenza. Le recenti posizioni italiane a favore della Cina e della Russia non rischiano di minare la solidarietà europea?
R.: L'Italia non ha affatto una posizione differente da quella dell'Unione europea rispetto alla Cina o alla Russia. Ne sento molto parlare, ma i fatti provano che siamo in linea; anzi, a ben vedere, altri Stati Ue hanno, da lungo tempo, con questi due Paesi rapporti e scambi ben più intensi dei nostri. L'ho detto prima, ma forse è utile ripeterlo: siamo convinti e leali alleati degli Stati Uniti e di fronte a eventuali preoccupazioni di sicurezza, non abbiamo alcun dubbio che il dovere del governo verso i cittadini sia di darvi schietta priorità, rispetto ad altri interessi, pur legittimi, di natura commerciale o economica.
D.: Il ruolo guida dell'Italia nella stabilizzazione del Mediterraneo è riconosciuto dai principali attori internazionali. Concentrarsi soprattutto sulla vicenda migranti non rischia di oscurare il resto del lavoro che si sta facendo nella sponda sud del Mediterraneo?
R.: Non parlerei di "vicenda dei migranti" perché i grandi flussi migratori sono uno degli eventi più rilevanti di questi anni. Nell'Unione europea sono un tema lacerante, i Governi si dividono, anziché collaborare con solidarietà. L'Italia ha messo sul tavolo svariate idee, io stesso ne ho proposte, con l'obiettivo di pervenire a un ordinato governo delle migrazioni. L'Italia si trova in mezzo al Mare Mediterraneo: ciò che vi accade riveste per noi un'importanza cruciale. Continuano a esserci tensioni e conflitti: nel Medio Oriente; nel Nord Africa e in particolare in Libia; nella vicina area del Golfo e della penisola arabica. Per la posizione geografica e per il ruolo che ci spetta, abbiamo il dovere di agevolare e promuovere soluzioni di equilibrio e a tal fine, di coltivare un dialogo inclusivo. Il traguardo resta la pace e la stabilizzazione; ma ancora una volta, la precedenza va data alla sicurezza.

di Gerardo Pelosi


Fonte: Il Sole 24 Ore