Italia/UE: un commissario e un portafoglio, ma chi e per che cosa fare

23-07-2019 15:58 -

GD - Bruxelles, 23 lug. 19 - AFFARINTERNAZIONALI - Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ci informa che l’Italia avrà un membro della Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen, ormai UvdL; ci mancherebbe, è nel trattato. Ci dice anche che sarà un vice-presidente; plausibile, l’Italia è un grande paese fondatore. Infine, che avrà un “portafoglio pesante”. Quest’ultima promessa solleva interrogativi interessanti ed è ovviamente legata al nome della persona prescelta. In seguito all’opposto comportamento dei due partiti di governo, infuriano le speculazioni sulle conseguenze su una scelta che fino a pochi giorni fa sembrava esclusivo appannaggio di Matteo Salvini. Mi si consenta di non entrare in questo gioco. Mi limiterò a notare che, pur continuando a rivendicare come diritto un “portafoglio di peso”, i due partiti sembrano oggi riluttanti a mettere la faccia su chi di quel portafoglio dovrebbe essere titolare; non necessariamente il mezzo migliore per ottenere il risultato sperato.
Per prima cosa la procedura. Dopo il trattato di Lisbona, il nome e il portafoglio dovranno per prima cosa essere discussi con UvdL, che ha un certo spazio per negoziare il nome, ma soprattutto molto da dire sul portafoglio. Poi la persona dovrà passare al vaglio del Parlamento europeo. Il precedente del “cordone sanitario” contro i sovranisti che si è creato nel Parlamento per la nomina degli incarichi all’interno dell’istituzione ha acceso speculazioni su sistematici veti contro commissari ritenuti non abbastanza “europeisti”.
È in parte vero, ma c’è un limite. Governi come quello italiano, polacco o ungherese hanno diritto ad avere un posto nella Commissione. Processi alle intenzioni non sono possibili. Molto dipenderà quindi da come il/la prescelto/a si presenterà all’esame della commissione parlamentare. In realtà ci vuole la spocchia e la volontà provocatoria di un Rocco Buttiglione per essere bocciati. Considerando la cultura politica di alcuni nostri governanti, tutto può succedere.
Prima di parlare del portafoglio, una premessa. Quello di membro della Commissione europea è forse uno degli incarichi più difficili al mondo. Le istituzioni dell’UE devono tener conto della doppia legittimità di un’organizzazione che è allo stesso tempo un’Unione di popoli e di Stati. Se la persona si spoglia completamente della propria identità nazionale, sarà un eunuco incapace di assolvere il compito delicato e necessario di rappresentare nel collegio la sensibilità del proprio Paese, ma anche di educare il proprio governo ai necessari compromessi. Se invece agirà costantemente avvolto nella bandiera nazionale, perderà ogni credibilità in Europa e fallirà in quello che è il suo compito principale: portare a casa dei risultati validi per tutti gli europei.
Una conseguenza di questa “mission quasi impossible” è che c’è una regola informale consolidata: non ricercare incarichi per cui la posizione del proprio Paese è troppo poco omogenea con il sentire comune della maggioranza dei Paesi membri. Non vi è dubbio che un “portafoglio pesante” aumenta l’influenza della persona nel collegio, ma a condizione di saper usare bene le leve che fornisce. Del resto, non è sempre vero. Molti a Bruxelles ricordano ancora Lorenzo Natali che negli Anni 80 non ebbe mai un “portafoglio pesante”, ma che grazie alla sua molto democristiana capacità di mediazione ebbe una indubbia influenza nella Commissione presieduta da Jacques Delors. In sostanza un membro della Commissione vive sul filo del rasoio fra essere considerato un proconsole (a Bruxelles) o un traditore (in patria).
La mia perplessità quando sento parlare di concorrenza o di commercio è legata a questo ancor più che alla probabilità, peraltro molto aleatoria, che quei portafogli siano disponibili per un italiano. Entrambi i portafogli sono fra i più forti. Nella concorrenza la Commissione ha poteri esclusivi. Il mondo intero la osserva per giudicarne la serietà e l’imparzialità. Il/la nuovo/a responsabile, se italiano/a sarà stato/a nominato/a da un governo noto per le sue tendenze stataliste: il contrario di una tradizione europea ancor oggi viva che ebbe un ruolo determinante nel promuovere l’ondata di privatizzazioni e liberalizzazioni degli Anni 90. Sarà sicuramente chiamato a decisioni controverse che riguardano multinazionali americane. Ciò farà probabilmente piacere alla base populista dei partiti di governo, il quale sarà però anche sottoposto a forti pressioni dell’Amministrazione statunitense perché il ‘suo’ commissario cessi le ostilità.
Peggio ancora quando si tratterà di giudicare aiuti di stato. L’italiano sarà guardato con sospetto prima ancora di aprire il dossier. È sicuramente in corso un dibattito per adattare la gestione della concorrenza da parte della Commissione alle mutate condizioni del mercato mondiale e dello sviluppo tecnologico; tuttavia i termini della discussione, anche per quanto riguarda i “riformatori”, sono molto lontani dalle idee apertamente stataliste del governo italiano. Ci vuole l’autorità e la forza di un Mario Monti per uscire indenne dagli inevitabili sospetti e pregiudizi; nessuno dei nomi che circolano ha queste qualità.
Nel commercio la Commissione ha il potere esclusivo di negoziare con i Paesi terzi, ma deve farlo con il consenso dei Governi e del Parlamento Europeo. Entrambi sono in maggioranza favorevoli a un’apertura degli scambi; lo stesso sarà presumibilmente vero per il prossimo collegio dei commissari. Quale sarà la posizione di una persona nominata da un governo che non ha ancora ratificato il Ceta e sembra annunciare tempesta sull’accordo con il Mercosur? Si può certo far cambiare rotta all’UE, ma non contro la posizione maggioritaria dei governi, della Commissione e del Parlamento.
A questo aggiungerei che la Commissione ha costantemente fatto in modo che le due direzioni generali preposte a quei settori siano composte da persone di grande competenza e con un consolidato spirito di corpo. Lo dice una persona che nei suoi anni di Bruxelles si è trovata in alcuni casi importanti in conflitto con loro. Non invidio una persona che volesse cambiare una politica consolidata contro il parere sia dei governi, sia dei propri colleghi, sia della burocrazia che dovrebbe sostenerla. Se il governo italiano decidesse, come è auspicabile, di giocare la carta del membro della commissione come parte di una strategia di dialogo costruttivo con Bruxelles, dovrebbe quindi rivendicare un incarico coerente con questa strategia; in altri termini, un portafoglio in cui il/la prescelto/a potrà mostrare convergenza (ammesso che esista) fra gli obiettivi dell’Italia e quelli dell’UE.

di Riccardo Perissich,
già direttore generale alla Commissione Europea, autore, fra l’altro, dei volumi "L’Unione Europea: una storia non ufficiale e "Stare in Europa: Sogno, incubo e realtà"


Fonte: Affarinternazionali