Shoah: mostra "Solo il dovere oltre il dovere", storie di diplomatici che scelsero di resistere

19-04-2019 17:46 -

GD - Roma, 19 apr. 19 - Quattro diplomatici che scelsero di resistere e di non rassegnarsi alla Shoah. Le figure degli ambasiatori Guelfo Zamboni, Giuseppe Castruccio, Gustavo Orlandini e Roberto Venturini emergono dai documenti raccolti per la mostra "Solo il dovere, oltre il dovere. La diplomazia italiana di fronte alla persecuzione degli ebrei. 1938-1943".
Mentre molti diplomatici si adeguarono alla nuova legislazione, Zamboni, Castruccio, Orlandini e Venturini in Grecia, Francia e Macedonia riuscirono con escamotage burocratici a salvare dalla deportazione centinaia di ebrei italiani ed anche stranieri. In particolare basandosi sul fatto che in Italia le leggi razziali non si applicavano agli ebrei di nazionalità straniera, i diplomatici ottennero che, in base al principio di reciprocità, gli ebrei italiani fossero esentati dalle leggi razziali dei paesi in cui si trovavano ad operare. Inoltre rilasciarono “certificati di italianità provvisori” a molti ebrei stranieri, sottraendoli così alla deportazione.
Il segretario generale della Farnesina, ambasciatore Elisabetta Belloni, accompagnata dalla presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello, dalla presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, e dal superstite della Shoah, Sami Modiano, ha visitato oggi la mostra. "Ho voluto che fossero oggi presenti qui con me i giovani colleghi dell'ultimo concorso diplomatico. Se non possiamo cancellare il nostro passato, abbiamo il dovere morale di ricordarlo, a noi stessi e alle future generazioni", ha affermato l'ambasciatrice Belloni, rilevando che "al riguardo è importante conservare la memoria di quei colleghi che seppero andare ''oltre il semplice dovere'' e, ispirati da principi superiori, si opposero alle leggi razziali, salvando le vite di centinaia di ebrei. Vorrei che questi esempi coraggiosi", ha concluso Belloni, "ispirassero sempre il nostro operato come servitori dello Stato, ricordandoci ogni giorno che ciascuno di noi, con il suo contributo nell'esercizio delle proprie funzioni, può e deve fare la differenza".
- Guelfo Zamboni - Nasce in provincia di Forlì e resta orfano in giovane età. Si arruola nella prima guerra mondiale e alla fine del conflitto si laurea in economia a commercio, vincendo il concorso per la carriera diplomatica nel 1925. Dopo alcune sedi estere ed un periodo alla Farnesina, arriva a Salonicco nel 1942, dove resta fino al giugno del 1943. La città greca si trova nella zona della Grecia occupata assegnata ai tedeschi, con una popolazione di 55.000 ebrei, 53.000 dei quali nella sola Salonicco. Il 10 agosto 1943 vengono deportate circa 43.000 persone verso il complesso di Auschwitz-Birkenau. Come console generale, Zamboni tutela gli ebrei italiani, ma anche stranieri, a cui rilascia certificati provvisori di italianità. Nel marzo del 43 in un telegramma all'ambasciata ad Atene scrive: “Viene molto apprezzata clemenza del governo italiano” e “la comunità israelitica mi ha richiesto oggi interessamento benevolo Roma per ottenere che la partenza venga sospesa”. Ottiene che vengano rilasciati dal campo-ghetto di Baron Hirsch decine di ebrei, italiani e non, come risulta anche da lettere di ringraziamento rimaste agli atti. Della sua opera restano molti particolari in un diario scritto da Lucillo Merci, direttore didattico di una scuola elementare, che presta la sua opera come interprete di tedesco al consolato di Salonicco. Dopo la guerra continua la carriera diplomatica concludendola come ambasciatore a Baghdad e a Santo Domingo. - Giuseppe Catruccio - Dopo la partenza di Zamboni da Salonicco la sua opera viene proseguita dal nuovo Console Generale, Giuseppe Castruccio. È una personalità versatile. Calciatore nella prima squadra del Genoa, si laurea in chimica e durante la prima guerra mondiale diventa pilota di dirigibile guadagnandosi una medaglia d'oro al valor militare. Nel 1926 approda alla carriera diplomatica. Viene inviato negli Stati Uniti, poi in Brasile e a Istanbul prima di arrivare a Salonicco, appunto come successore di Zamboni. In particolare nel luglio del 1943 Castruccio riesce a far inserire un gruppo di ebrei in una tradotta militare diretta ad Atene, che si trovava ancora nella zona italiana. Tra i documenti in mostra, una lettera del Console Generale all'Ambasciata di Atene segnala i problemi avuti con un ufficiale che lo rimprovera per aver fatto viaggiare gli ebrei in un treno militare e lo accusa di non conoscere le leggi razziali. Molti vengono fatti uscire dal campo di concentramento di Baron Hirsch. Il 30 luglio 1943 Lucillo Merci nei suoi appunti scrive che furono salvati “da morte sicura 113 ebrei e 323 italiani o diventati tali furono avviati ad Atene (zona italiana) salvandoli essi pure dalla deportazione in Polonia”. Merci non nasconde che durante i controlli dei documenti da parte dei tedeschi nel campo di concentramento gli “tremavano i polsi”. Fino all'agosto 1943 Castruccio continua a chiedere ai tedeschi il rilascio di ebrei con parenti italiani, ma questi via via si irrigidiscono. A dicembre di quell'anno il consolato viene chiuso e lui torna a Roma, dove resta al Ministero degli esteri fino alla pensione nel 1953.

- Roberto Venturi - Nasce a Ancona nel 1908 e, dopo la laurea in scienze economiche e commerciali, nel 1932 inizia la carriera diplomatica a Roma. Dopo alcuni incarichi a Spalato, Parigi e Biserta, nel 1939 arriva come console a Skopje in Macedonia. Nel febbraio del 1943 un inviato di Berlino firma un patto con le autorità locali per la deportazione entro maggio di 12.000 ebrei dalla Macedonia e dalla Tracia (sotto occupazione bulgara). Venturini nel marzo di quell'anno invia una lettera alla legazione di Sofia riferendo con toni accorati dei rastrellamenti di ebrei a Skopje che vengono avviati ai campi di concentramento. Parla di “guardie che adoperano sotto ogni pretesto con sadica energia le fruste delle quali sono munite”. Descrive “ebrei in tardissima età e in grave stato di salute obbligati a lasciare le loro case e trasportati su rozze carrette al campo”, persone che ”si può veramente dire che hanno ormai solo gli occhi per piangere”. “Alle preoccupazioni per l'incertissimo avvenire ed al dolore per la perdita totale di ogni avere", scrive ancora, "si aggiungono per i 9.000 deportandi le sofferenze davvero non necessarie alle quali vengono sottoposti per imprevidenza o per pura brutalità” ed aggiunge che i bulgari hanno dimostrato “il più assoluto disprezzo per ogni elementare principio umanitario”. Come in altri casi ed in altri paesi, Venturini cerca di sottrarre alla deportazione gli ebrei italiani e non solo. In una memoria scritta dopo la guerra il diplomatico riferisce di essere riuscito a salvare dall'invio ai campi e quindi alla morte “cinque membri della Famiglia Modiano, una trentina di israeliti albanesi e 73 israeliti spagnoli”. Venturini nel 1944 è richiamato a Roma. Dopo la guerra continua la carriera diplomatica concludendo il suo servizio nel ‘73 come ambasciatore.

- Gustavo Orlandini - Nasce a Venezia nel 1898 e si laurea in economia e commercio e in scienze consolari. Dopo aver prestato servizio nel Commissariato generale dell'emigrazione a Bardonecchia, Torino, Ventimiglia e Parigi viene assorbito nei ruoli consolari nel 37 nella capitale francese. Nel '42 diventa capo dell'Ufficio consolare. Tra le testimonianze della sua attività come vice console e console resta una lettera di Renzo Bolaffi, professore dell'università di Camerino, del 15 aprile 1945 “Si interessò vivamente e con successo per sottrarre i cittadini italiani dall'applicazione delle norne restrittive e dalle gravi misure di polizia adottate sia dalle autorità germaniche, sia dal governo di Vichy. Fu così evitato che cittadini italiani fossero costretti a portare il distintivo della ‘stella gialla' e questo risultato tornò a indiretto vantaggio anche di ebrei di altre nazionalità (ad esempio spagnola e ungherese) i cui consolati, incoraggiati dall'esempio italiano, ottennero lo stesso trattamento per i loro connazionali”. Orlandini, scrive ancora Bolaffi, “dimostrò di agire senza alcuna faziosità ma anzi con assoluta indipendenza di giudizio”. Dal settembre 1943 al febbraio 1944 è internato a Vittel e Salsomaggiore. Torna in servizio al Ministero degli esteri nel 1946. Chiude la sua carriera nel 1963 dopo aver prestato servizio a Rabat, Lione e Port au Prince.