A Washington, i passi europei nella giusta direzione senza farsi illusioni
20-08-2025 10:33 -
GD - Roma, 20 ago. 25 - Dagli incontri al vertice di Washington del 18 agosto è emerso almeno un elemento di reale novità: il ruolo attivo e potenzialmente creativo degli alleati europei nell’orientare le scelte dell’amministrazione Trump sulla questione russo-ucraina. Questo sviluppo non era affatto scontato, a fronte di sensibilità diverse tra le capitali europee (che si sono spesso manifestate con iniziative scoordinate ed estemporanee); ma soprattutto a fronte dell’approccio adottato dal presidente americano nell’avviare colloqui bilaterali con il presidente russo senza prima aver concordato un vero piano d’azione con Kiev, in sede NATO, e tantomeno con la UE come tale. Su tale sfondo, il formato dei colloqui è stato improvvisato, ma sensato e funzionale: i quattro Paesi del Vecchio Continente che finora si sono dimostrati più attivi diplomaticamente (Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia), la presidente della Commissione UE e il Segretario Generale della NATO, più la Finlandia a rappresentare quei Paesi che con la Russia confinano. Sul piano della sostanza, il punto-chiave è che questo gruppo ha portato un certo ordine ad un processo negoziale che francamente appariva confuso e dunque molto vulnerabile a una manipolazione da parte della diplomazia russa. È risultato chiaro anzitutto l’intento europeo di prevenire eventuali “scivolamenti” da parte di Trump e del suo team nel fare concessioni eccessive a Mosca, vista la mossa di apertura che era consistita di fatto in una vittoria simbolica per Putin con l’invito stesso ad un summit ufficiale in territorio americano, il 15 agosto ad Anchorage, rompendo tre anni di isolamento internazionale quasi completo. In termini più costruttivi, si è cercato di re-impostare il negoziato mettendo i buoi davanti al carro, per così dire; prima vanno fissati alcuni paletti e punti fermi, come la piena sovranità statuale dell’Ucraina (il che implica che non si parte da cessioni territoriali formali e permanenti, ma semmai dal riconoscimento di fatto di una linea militare del fronte), e poi si può definire cosa è invece trattabile ad un tavolo diplomatico russo-ucraino. E ciò significa che la volontà del governo di Kiev è un fattore decisivo, non secondario. Dagli incontri di Washington si può dunque trarre la conferma di questo dato politico: per i Paesi membri della UE (nessuno dei quali ad oggi ha contestato l’impostazione data dai Governi rappresentati nella capitale americana il 19 agosto), Kiev è la controparte e l’alleato, e Mosca è l’avversario e l’invasore. Da qui si può costruire la piattaforma negoziale, e soltanto da qui, senza confondere mediazione e negoziato. Se l’amministrazione Trump vuole proporsi – come è spesso sembrato – come mediatore, è libera di farlo, ma non è questa la posizione europea. È anche importante ricordare che dei vari precedenti storici di cui si parla dal 2022, tutti i tre più rilevanti suggeriscono decisamente che lo status formale dei territori contesi non dovrebbe essere negoziabile, né discusso in prima battuta, ma lasciato in una sorta di limbo pragmatico: in altre parole, non negoziabilità ufficiale (la sovranità ucraina non si discute) accompagnata ad una qualche ambiguità pragmatica. Il confine tra le due Germanie fu riconosciuto dal Governo di Bonn (la Repubblica Federale di Germania) soltanto nel 1971, cioè ben 26 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale; la linea del 38° parallelo che separa le due Coree non è mai stata riconosciuta come confine statuale dalla Corea del Sud; la maggioranza dei membri della NATO non ha mai riconosciuto l’annessione dei tre Paesi baltici all’Unione Sovietica, tra il 1940 e il 1991 – eppure numerosi accordi sono stati siglati con l’URSS nel frattempo. In estrema sintesi, benché la posizione russa faccia credere tutt’altro, ad esempio con le sue richieste massimaliste sull’annessione di regioni tuttora sotto il controllo ucraino, c’è spazio per intese durevoli senza cedere su alcune questioni di principio. È in tale contesto che si può vedere la questione delicata delle garanzie di sicurezza all’Ucraina – che finalmente Trump ha ammesso come fattore imprescindibile – e che non richiedono un percorso di adesione dell’Ucraina alla NATO ma piuttosto un impegno dell’Alleanza nella difesa di un Paese che si ritiene strategicamente rilevante. Si tratta di un progresso condizionato però da due fattori cruciali. Il primo è cosa si sono detti Trump e Putin il 15 agosto: resta difficile immaginare una Russia che accetti le garanzie di sicurezza occidentali sull’Ucraina, magari persino la presenza di migliaia di soldati americani o europei. Dunque, quanto è stato concordato tra la Casa Bianca e i rappresentanti europei è davvero compatibile con il contenuto dei colloqui tra Trump e Putin? Se la risposta fosse negativa, si dovrebbe prendere atto di una strategia diplomatica poco più che volontarista, da parte della Casa Bianca. Il secondo fattore, politico, riguarda Donald Trump. Dopo una campagna elettorale in cui l’uscita definitiva dal conflitto ucraino è stata promessa all’elettorato, il presidente degli Stati Uniti sarà in grado di offrire in periodo di pace, come gli spetterebbe in quanto capo del maggiore Paese della NATO e della prima potenza militare del mondo, quelle garanzie di sicurezza che già in periodo di guerra sono affluite in Ucraina soltanto con estrema fatica, tentennamenti e dilazione? Infine, ma non meno importante, c’è la questione dell’effettiva volontà della Russia, dopo che negli ultimi mesi ha intensificato come non mai l’offensiva militare (incluso durante l’ultimo colloquio Trump-Zelensky), anche contro i civili, di cessare le operazioni per discutere la pace, considerata la sua strategia – che sembra non essere affatto cambiata – mirante al crollo interno dell’Ucraina e alla distruzione della sua sovranità. In questo caso, sia gli Stati Uniti che i Paesi europei dovrebbero chiedersi, oppure sinceramente rivelare, quali strumenti di persuasione hanno per portare Vladimir Putin a sedersi allo stesso tavolo di Volodymyr Zelensky. L’Ucraina sta combattendo la sua durissima guerra per l’indipendenza dalla Russia; gli USA di Trump stanno procedendo ad un riassetto profondo della propria proiezione globale, dagli esiti incerti e al momento poco chiari. Ma in ogni caso, la UE e i suoi Paesi membri (quasi tutti anche membri della NATO) stanno cercando di difendere alcuni principi e interessi concreti che sono direttamente condizionati dal conflitto russo-ucraino, e gravemente minacciati dall’invasione putiniana, a cominciare dal fondamentale principio dell’inviolabilità dei confini. A Washington si è fatto un piccolo passo nella giusta direzione. Senza farsi illusioni sui prossimi – che saranno difficili e controversi e sono comunque soggetti ad eventi fuori dal controllo di noi europei – è opportuno continuare su questo percorso.
Roberto Menotti e Riccardo Pennisi
- Roberto Menotti è direttore responsabile di Aspenia online. È anche vicedirettore dell'edizione cartacea di Aspenia e Senior Advisor - Attività Internazionali in Aspen Institute Italia. Tra le sue pubblicazioni più recenti, "Mondo Caos" (Laterza, 2010). - Riccardo Pennisi è un analista politico, specializzato in politiche pubbliche, comunicazione politica e sistemi elettorali. In precedenza ha condotto studi sulla democratizzazione e l'allargamento dell'UE. Ha collaborato con l'Assemblea delle Regioni d'Europa a Strasburgo, è editorialista de "Il Mattino" e collaboratore di "Limes", ISPI e AffarInternazionali. È autore del libro "Europei? Fotografia di un continente disorientato" (Apes 2014).