17 luglio: ragioni dell’umanità impongono sostegno a Corte Penale Internazionale

16-07-2025 09:54 -

GD - Roma, 6 lug. 25 - Il 17 luglio è dedicato simbolicamente alla “Giornata mondiale per la Giustizia Internazionale Penale”. Il 17 luglio 1998, a Roma, nella sede della FAO, l’assembla di 160 delegati salutò con un fragoroso applauso l’approvazione dello Statuto di Roma che decretava la costituzione della Corte Penale Internazionale. In quella stagione di altri massacri, con i genocidi del Ruanda e di Srebrenica, era maturata l’aspirazione ad una idea concreta di giustizia universale grazie a un movimento d’opinione globale che aveva coinvolto nella proposta leader politici responsabili. La Conferenza di Roma riuscì ad ottenere 120 voti a favore, con 21 astensioni, e solo 7 Stati contrari: Stati Uniti, Cina, India, Israele, Turchia, Filippine e Sri Lanka.
La ricorrenza, voluta dall’assemblea degli Stati parti della Corte, deve far riflettere soprattutto l’Italia, che sui principi della giustizia internazionale non può arretrare: significherebbe tradire la sua cultura giuridica. Quando ancora doveva celebrarsi il processo del Tribunale di Norimberga era stato Pietro Nuvolone nel 1944 a concepire la definizione dei “crimini di lesa umanità”, e al sostegno per il percorso dei Tribunali per la ex Jugoslavia e del Ruanda per arrivare alla Corte Penale Internazionale avevano contribuito figure insigni di giuristi come Giuliano Vassalli, Antonio Cassese e Umberto Leanza.
La domanda che deve porsi chi ha responsabilità nel dare attuazione fino in fondo allo Statuto della Corte è una: quante vite umane sarebbero risparmiate se alla giustizia internazionale fosse dato effettivo valore? Finalmente non un ‘tribunale dei vincitori’, ma una Corte permanente, imparziale e indipendente, può garantire la perseguibilità universale per i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità; il genocidio e ha la competenza sul crimine di “aggressione”, l’atto di forza contro l’integrità e la sovranità di uno Stato.
Quest’ultimo importante passaggio è stato definito con gli emendamenti allo Statuto di Roma approvati alla Conferenza di Kampala del 2010, definitivamente entrati in vigore nel 2018. La giurisdizione della Corte opera dunque secondo il principio di “complementarietà”: si vincolano gli Stati a perseguire i responsabili, perché la Corte interviene quando gli Stati non hanno la volontà (unwillingness), o la capacità (inability) di perseguire i responsabili. Inoltre per i crimina iuris gentium non vale la prescrizione, e non si riconoscono le immunità, neanche per i capi di Stato e di governo ai quali anzi si imputa la specifica ‘responsabilità di comando’.
L’amarezza è stata bene espressa da uno dei co-presidenti di una delle ultime Commissioni governative sul progetto di Codice dei crimini internazionali; Francesco Palazzo: l’Italia non ha ancora varato l’atteso strumento che darebbe concreta e definitiva attuazione alle previsioni dello Statuto. Secondo alcuni osservatori il quadro giuridico sui crimini contro l’umanità potrebbe esporre a procedimenti per le politiche migratorie, ad esempio, per i respingimenti in Paesi che praticano la tortura come la Libia. Anche il caso Almasri ha posto seri interrogativi: andava valutato il diverso regime della ‘consegna’ diretta alla Corte (surrender) degli incriminati, che esclude la discrezionalità ‘politica’ e il sindacato di legittimità dei governi nazionali previsti per le richieste estradizionali ordinarie degli Stati e per i reati comuni. Le questioni di legittimità o su presunte irregolarità vanno pertanto sollevate solo nel procedimento davanti alla Corte, nei cui confronti gli Stati aderenti hanno un obbligo di esecuzione dei provvedimenti, e di generale consultazione e cooperazione.
A proposito degli incriminati Putin e Netanyahu, qualcuno è tornato a sostenere la tesi delle immunità per capi di Stato e di Governo: si rinnega così tutta la sofferta elaborazione sui crimina iuris gentium. Anche la Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite sin dal 1950 ha sancito l’universalità dei ‘principi del Tribunale di Norimberga’ che stabilivano l’irrilevanza delle immunità per quei crimini internazionali. Sul punto vale un altro amaro giudizio sull’ipocrisia dell’Europa - sulla deriva degli Stati Uniti di Trump c’è solo da stendere un velo pietoso - espresso dal giudice d’origine nigeriane Cile Eboe Osuji, già presidente della Corte: fin quando per decenni sono stati incriminati solo i leader delle guerre africane l’Europa nulla ha eccepito, ma quando la Corte ha invece guardato verso altri ‘potenti della terra’ - in qualche misura più legati agli interessi dell’Occidente - allora le cose sono cambiate.
Occorre non rassegnarsi allo scetticismo verso il diritto internazionale o ad archiviare definitivamente tutto quanto si è costruito dopo la Seconda guerra mondiale, dalla Carta delle Nazioni Unite alle Convenzioni contro il genocidio, la tortura e sui diritti umani, per giungere alla Corte penale internazionale. La strada per riprendere questo percorso può avere ancora chance: nella stessa Europa è bene che leader responsabili recuperino il senso della loro ‘comunità di diritto’ basata sulla solidarietà e la cooperazione, e comincino a rivolgersi verso quel Global South con le restanti popolazioni emarginate per far fronte comune contro i ‘nuovi imperi’.
Un primo passo dovrebbe portare a unirsi nell’Assemblea degli Stati-parti a favore della Corte Penale Internazionale contro le sanzioni ai giudici disposte da Trump, per poi rilanciare la battaglia all’assemblea generale delle Nazioni Unite per una loro riforma radicale che renda effettivo e concreto il multilateralismo, superando il potere di veto delle ‘grandi potenze’.
Le riflessioni del teorico del diritto e della moderna democrazia Hans Kelsen devono costituire un faro di fronte alle atrocità delle guerre: Peace through law (1944), la pace si afferma attraverso il diritto, con un sistema di governance globale efficace e corti internazionali riconosciute dalla comunità degli Stati. L’alternativa è solo la deriva verso i ‘nuovi imperi’ e altre guerre per l’umanità.

Maurizio Delli Santi
membro dell’International Law Association


Fonte: Maurizio Delli Santi