Giornalisti sotto assedio: tra repressione e guerra, Turchia e Gaza a confronto

27-04-2025 16:27 -

GD - Roma, 27 apr. 25 - In Turchia basta un articolo scomodo per ritrovarsi dietro le sbarre. A Gaza, un cameraman può morire mentre documenta una scuola bombardata. Due contesti lontani, ma uniti da un destino comune: essere giornalisti significa vivere, e spesso morire, sotto assedio. Secondo il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ), la Turchia è tra i Paesi con il più alto numero di reporter detenuti.
A Gaza, dal 7 ottobre 2023, almeno 176 giornalisti sono stati uccisi, rendendo questo conflitto il più mortale per i media dal 1992.
In entrambi i casi, chi informa diventa un bersaglio. E la diplomazia resta uno degli ultimi strumenti per proteggere chi ha scelto di raccontare la verità.
Turchia: il bavaglio di Stato - Dopo il fallito golpe del 2016, il governo di Recep Tayyip Erdoğan ha stretto la morsa sulla stampa. Chi critica, chi indaga, chi documenta viene accusato di “terrorismo” o di “tradimento”. Testate indipendenti chiuse, licenze revocate, processi sommari. Il giornalista Can Dündar, oggi in esilio, è stato condannato a oltre 27 anni per aver pubblicato un'inchiesta sui traffici di armi verso la Siria. Non è un caso isolato. Le organizzazioni per i diritti umani parlano di centinaia di giornalisti arrestati in pochi anni. Il controllo dell'informazione è diventato sistematico, con una stampa in gran parte schierata e un'opposizione ridotta al silenzio.
Gaza: informare tra le macerie -Se in Turchia il problema è la repressione, a Gaza è la sopravvivenza. I giornalisti palestinesi operano in condizioni estreme, spesso senza protezioni adeguate. Molti non hanno giubbotti antiproiettile, né accesso a vie sicure.
Le redazioni vengono colpite, le trasmissioni interrotte, le storie censurate dai combattimenti in corso. Durante le recenti offensive, le immagini di reporter uccisi con la telecamera ancora accesa hanno fatto il giro del mondo. Alcuni, come i corrispondenti stranieri, riescono a documentare l'orrore. Altri, soprattutto locali, muoiono senza fare notizia.
Diplomazia: tra pressioni e silenzi - In assenza di reali garanzie, la diplomazia resta l'unico argine. Governi stranieri, ambasciate, ONG e istituzioni internazionali come l'ONU e l'Unione Europea svolgono un ruolo fondamentale nel denunciare abusi e chiedere protezioni.
In Turchia, diversi giornalisti sono stati liberati grazie a campagne internazionali. A Gaza, la presenza della stampa estera ha contribuito a far luce su crimini altrimenti oscurati. Ma non basta. Serve una volontà politica chiara, serve coerenza, serve coraggio. Difendere la libertà di stampa non può essere un atto simbolico: deve diventare una priorità diplomatica.
Informare è resistere - Fare informazione in territori ostili è un atto di resistenza. I giornalisti non chiedono privilegi, ma protezione. Chiedono di poter fare il proprio lavoro senza essere arrestati, minacciati o uccisi. In un mondo che si regge sulla narrazione dei fatti, la loro voce è la nostra libertà. E se la diplomazia tace, il silenzio diventa complice.

Cristina Di Silvio
Esperta di Relazioni Internazionali


Fonte: Cristina Di Silvio