Statuto di Roma, Articolo 6 - Nonostante gli atti in sé siano chiaramente documentati, stabilire l’intento di distruggere è particolarmente arduo, motivo per cui la parola genocidio ha un peso importante e, persino organizzazioni per diritti umani quali Human Rights Watch non si sono espresse a riguardo, in attesa di un verdetto ufficiale dall’ICC.
Per stabilire l’intento genocida, la Corte sembra aver seguito il concetto di intento realistico, affermando che un intento individuale di distruggere (quello di Al Bashir) diventa collettivo (in questo caso, governativo) quando l’individuo ha pieno controllo della collettività. Perciò, riuscendo a dimostrare l’intento del singolo, la corte sarebbe capace di dichiarare gli atti commessi sotto il controllo di questo come genocidio, senza rendere necessario un intento collettivo più deliberatamente capillare.
La fuga dal mandato di arresto - Per provare i fatti però è necessaria la cattura di Omar Al-Bashir, mai avvenuta. Il mandato è stato infatti richiesto quando Al Bashir era ancora capo di stato del Sudan, in quanto l’immunità presidenziale non è prevista dallo Statuto secondo l’Articolo 27. Ciò nonostante, de facto lo status di presidente in carica ha prevenuto l’arresto di Al Bashir, anzi, questi ha viaggiato liberamente, toccando ben ventidue paesi di cui sette firmatari della Corte. Essere membro della Corte Penale Internazionale infatti implica l’obbligo di arrestare coloro indicati dall’ICC, ma il peso politico di Al Bashir gli ha permesso di viaggiare semi-liberamente e di continuare con quelli che gli osservatori continuano a sancire quali crimini di guerra.
Significativo è il viaggio dell’allora presidente in Sudafrica nel 2015, Stato firmatario del Trattato di Roma, per un incontro dell’Unione Africana. Durante la sua permanenza nel paese sud africano, gruppi di attivisti contro Al Bashir ricorsero alla Corte Nazionale per consegnare il presidente sudanese alla giustizia. Tuttavia, Pretoria, capitale amministrativa del Sud Africa, ha permesso la fuga sicura di Al Bashir, causando però una denuncia contro se stessa alla Corte Suprema Sudafricana.
Al-Bashir comunque finirà in prigione anni dopo, al seguito di un colpo di stato da parte dello stesso esercito che continua ad ignorare gli appelli della Corte e della comunità internazionale e che, adesso, dà informazioni contrastanti riguardo il suo trasferimento e la sua posizione. L’impunità dell’ex-presidente è una prova tangibile della necessità di volontà politica e cooperazione intergovernativa per concretizzare i principi di giustizia penale internazionale.
cura di Gaia De Salvo
Autrice per l’Area Tematica “Diritti Umani”
Mondo Internazionale Post