Hackeraggi: i casi Pegasus, Qatargate e Marocco

20-01-2023 13:00 -

GD - Roma, 20 gen. 23 - È passato poco più di un mese da quando la magistratura belga ha portato alla luce uno dei più gravi scandali di corruzione riguardante le istituzioni europee, conosciuto come Qatargate. Oltre al Qatar, da cui il caso prende il nome, c’è però un altro Paese coinvolto, i cui tentativi di influenza sembrerebbero anche più importanti e più forti: si tratta del Marocco. Il Governo di Rabat, infatti, secondo le accuse della procura, sarebbe impegnato da diversi anni nel condizionare i lavori di istituzioni comunitarie su diversi dossier. Fra di essi figurerebbe anche quello riguardante Pegasus, lo spyware di proprietà dell’azienda israeliana Nso Group che viene venduto come strumento utile ad aumentare la sicurezza e combattere il terrorismo, ma che in realtà si è rivelata un’arma in mano a Governi repressivi per controllare società civile e giornalisti.
Nel marzo dello scorso anno, a seguito dello scandalo nato dall’inchiesta “Pegasus Project” portata avanti da un gruppo di 17 testate giornalistiche di diversi Paesi, il parlamento europeo aveva deciso di istituire la Commissione Speciale PEGA, (Pegasus and equivalent surveillance spyware), proprio per tentare di fare chiarezza sull’utilizzo del software israeliano all’interno dei confini dell’Unione Europea. I casi, infatti, non mancano nel Vecchio continente e sono diversi i Paesi coinvolti. Fra gli acquirenti risultano Ungheria e Polonia, ma scandali sono scoppiati anche in Spagna e Grecia dove diversi esponenti dei Governi hanno scoperto di essere stati spiati tramite Pegasus o altri sistemi di questo tipo.
Tra le vittime di questo hackeraggio rientra anche il presidente Emmanuel Macron, il cui numero figurava all’interno della lista analizzata da Amnesty International nel luglio del 2021.
Dietro il tentativo di spionaggio nei confronti del presidente francese sembrerebbe esserci proprio il Marocco che, nonostante abbia sempre negato di utilizzare questo tipo di strumenti, è da tempo al centro dello scandalo riguardante Pegasus. Nel rapporto pubblicato lo scorso luglio da Human Rights Watch, organizzazione non governativa che si occupa della difesa dei diritti umani nel mondo, il Governo di Rabat è accusato di utilizzare Pegasus per spiare e monitorare attivisti e giornalisti, per controllare il dissenso interno alla società marocchina.
Se i casi confermati, ovvero quelli in cui è stato possibile effettuare analisi sugli smartphone delle vittime, al momento risultano essere solamente cinque, la probabilità che questo numero sia più elevato è molto alta. Secondo quanto emerso con l’inchiesta Pegasus Project sarebbero infatti migliaia i numeri di telefono coinvolti.
Proprio da queste evidenze sarebbe nato il tentativo da parte del Marocco di condizionare i lavori della Commissione Speciale, spingendo per la nomina di alcuni parlamentari europei vicino a Rabat che potessero controllare i risultati delle indagini. Non sarebbe, quindi, solo una coincidenza la presenza nella commissione di alcuni dei nomi coinvolti nello scandalo corruzione.
Dubbi sulla presenza di queste persone sono stati espressi anche da Sophie in’t Veld, europarlamentare olandese del gruppo Renew Europe e relatrice del rapporto della commissione Pega, che in un’intervista rilasciata al quotidiano “Domani” ha parlato di alcune posizioni anomale dell’eurodeputata greca Kaili in relazione allo scandalo spyware che ha travolto il Governo greco di Mitsotakis la scorso estate.
Nonostante questi presunti tentativi di condizionare i lavori, il 28 novembre scorso è stata pubblicata la bozza della relazione sull’utilizzo di Pegasus e di strumenti equiparabili all’interno dei confini europei. Il quadro emerso è abbastanza preoccupante, come anticipato dalle inchieste giornalistiche degli ultimi mesi, con diversi Paesi europei coinvolti. Proprio l’estensione del problema ha portato in’t Veld a proporre di adottare una moratoria a livello europeo per evitare che questa grave violazione dei diritti umani possa continuare ad avvenire sul suolo europeo.
Durante le indagini condotte è stato ascoltato anche Chaim Gelfand, vicepresidente del Nso Group, che ha risposto ad alcune domande poste dalla commissione. Una delle questioni poste durante l’audizione ha riguardato i metodi con i quali Nso Group seleziona gli Stati a cui concedere l’utilizzo del software. Il rappresentate dell’azienda israeliana ha infatti affermato che la vendita di Pegasus avverrebbe solo dopo una valutazione sul Governo richiedente da parte dell’azienda israeliana, valutazione che dovrebbe tenere conto anche dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani nel singolo Paese.
Ma osservando gli Stati che utilizzano massicciamente questo genere di software, come appunto il Marocco o anche la sempre meno democratica Ungheria, ed anche le vittime, spesso giornalisti e attivisti, sembra una risposta quantomeno problematica. Le possibilità sembrano essere due: o i criteri utilizzati dalla Nso Group sono diversi da quelli di tutti le principali organizzazioni ed istituti impegnati nel monitoraggio dello stato di diritto, o molto più semplicemente si tratta di una menzogna.
I problematici rapporti con Qatar e Marocco, la presunta corruzione di europarlamentari, l’utilizzo di spyware da parte di governi europei e di Paesi terzi. Non è un periodo semplice per le istituzioni europee che si trovano impegnate ad affrontare crisi parallele fra loro, ma che potrebbe rappresentare un momento importante per affrontare una serie di temi centrali, primo fra tutti l’intransigenza nei confronti delle violazioni dei diritti umani.

Giorgio Giardino
Mondo Internazionale Post

Fonte: Giorgio Giardino