Gli "ospiti noti" che invecchiano nell´ambasciata di Addis Abeba

18-08-2018 15:43 -

GD - Addis Abeba, 15 ago. 18 - Dal Corriere della Sera - Sono passati 27 anni da quando l´ambasciata italiana ad Addis Abeba concesse l´ospitalità «per pochi giorni» (cosi si sperava) ad alcuni complici del «Negus Rosso» Menghistu in biga dopo la caduta del dittatore e la presa del potere da parte dei ribelli del Tigrai People Liberation Front. Ventisette anni di trattative, di carteggi epistolari, di processi, di faticose ricerche di un compromesso... Tutto inutile.
L´ex capo di Stato Maggiore Addis Tedia e l´ex ministro degli Esteri e ideologo del regime marxista-leninista Berhanu Bayeh, esponenti di ridevo del sanguinario regime del despota rifugiato da allora nello Zimbabwe, sono ancora lì, ospiti della foresteria della nostra rappresentanza diplomatica su una delle colline della capitale etiope, nel quartiere di Belia/Kebenna.
Quando la notte del 27 marzo ´91 riuscirono a rifugiarsi nel nostro compound diplomatico temendo di essere giustiziati dal governo entrante guidato da Meles Zenawi, Tedia aveva 46 anni, Bayeh 55. Adesso sono due vecchi. Malati. Rassegnati a morire là, nelle due camere con bagno e cucina in comune del parco nel quale son liberi di fare a orari fissi qualche passeggiata e insieme prigionieri, come agli «arresti domiciliari», assediati dai soldati etiopi che, se avessero potuto, li avrebbero sbattuti in galera tanto ma tanto tempo fa.
Una storia paradossale. Raccontata da Giuseppe Mistretta, ambasciatore in Etiopia - dal 2014 al 2017, e da un suo giovane collega, Giuliano Fragnito, in un libro edito da Greco&Greco. Si intitola «I noti ospiti» e senza fare sconti racconta tutta la vicenda, a partire dalla rivolta contro l´imperatore Hailé Selassie e dal «Terrore Rosso» rivoluzionario. Un bagno di sangue. «Non è possibile quantificare il numero delle vittime», scrivono gli autori, «Amnesty International le ha stimate in circa 500.000».´
Va da sé che quando otto complici di quel regime chiesero asilo, il nostro ambasciatore di allora Sergio Angeletti si ritrovò tra le mani una patata bollente della quale avrebbe volentieri fatto a meno. Erano indifendibili, quegli otto. Ma nello stesso tempo era impossibile, senza violar le nostre leggi, consegnarli al regime nuovo: in Etiopia c´era (e c´è) la pena di morte.
E a questo nodo insuperabile si sono attaccati per tre decenni quelli che nelle corrispondenze vengono definiti «I noti ospiti». Ridotti via via a due dalla decisione di quattro imputati di consegnarsi alla giustizia etiope, da quella di un quinto di ucciderai e infine dalla morte (contestata) d´un sesto.
I due rimasti, decisi a chiedere un lasciapassare per rifugiarsi all´estero o a rimanere «ospiti» a carico nostro, non vogliono saperne di consegnarsi neppure dopo aver avuto la certezza che no, non saranno mandati a morte. E restano lì, sospesi, a invecchiare nel limbo come personaggi di Gabriel Garda Marquez.

di Gian Antonio Stella


Fonte: Corriere della Sera