Ucraina: ineludibile ruolo diplomatico Unione Europea, cui compete fermare guerra

09-05-2022 17:30 -

GD - Venezia, 9 mag. 22 - Con la visita a Washington DC, il presidente del Consiglio Mario Draghi sta elaborando non solo una politica energetica italiana in sintonia con l’amministrazione degli Stati Uniti, ma anche l’individuazione di fonti alternative a quelle del gas russo, con una marcata provenienza africana e mediterranea. In questa ricerca di approvvigionamento energetico, per la prima volta l’Italia può essere la porta sia delle forniture energetiche provenienti dal continente più dimenticato dall’occidente, l’Africa, che per gli approvvigionamenti provenienti appunto dall’area mediterranea e diretti non solo al nostro Paese, ma a tutta l’Europa. Un ruolo, quindi, decisivo nell’era della transizione energetica e nel momento in cui, superate le resistenze dell’Ungheria e di alcuni altri Paesi dell’Est per l’adozione dell’embargo sul petrolio russo, si configura, quello italiano, come un vero e proprio ponte verso le nuove fonti energetiche anche per il centro Europa, inclusa la Germania.
La nuova intesa non riguarda però soltanto l’energia. Con la Francia si tratta anche della politica estera e del piano di difesa dell’Unione Europea, nel quale lo strategic compact prevede una stretta collaborazione con la NATO, che può così destinare investimenti importanti verso l’area dell’Indo-Pacifico, per contrastare l’obiettivo cinese della supremazia globale nel 2049.
Come si può notare, i principali filoni che attraversano tutta l’Unione Europea passano oggi prima di tutto per l’Italia, compresa la ridefinizione del rapporto commerciale della Via della Seta e l’individuazione delle nuove aree alternative a quelle Baltico-Mar Nero, che vedono lo scontro diretto con la Federazione Russa, in particolare i Balcani, il Caucaso e il vicino Oriente.
Certo, la guerra dell’Ucraina ha apertamente dimostrato che la Russia è molto più debole di quanto, a livello internazionale, le potenze avessero ritenuto. L’esercito russo, in realtà, pur mantenendo una considerevole capacità offensiva, sembra impegnato in un conflitto che difficilmente porterà ad una soluzione sul campo, ma che ha dato il via ad una crisi economica interna provocata da sanzioni molto dure, il cui finale potrebbe essere ancora peggiore nel momento in cui petrolio e gas russo fossero definitivamente sostituiti da energie alternative per l’Unione Europea.
In realtà, nello scontro tra democrazie e autocrazie l’Occidente, guidato nuovamente dagli USA, considerati perdenti dopo la fuga da Kabul, compete con successo con il regime guidato in maniera autocratica. Gli Stati Uniti, di fatto, hanno dimostrato per la prima volta dopo molto tempo, che possono assistere e sostenere un alleato aggredito senza un intervento diretto, ma con supporto finanziario e militare.
Non solo la guerra ha segnato, quindi, una nuova coesione della NATO e una incisività degli Stati Uniti che sembrava assolutamente relegata ad anni lontani ma, grazie all’evidenza delle sanzioni, è iniziata una fuga di cervelli e di aziende, soprattutto cinesi, che vengono richiamate in patria. I casi di Lenovo e Xiaomi sono i più eclatanti, ma non sono i soli e il rischio di non poter sfruttare in futuro né gli enormi giacimenti minerali, né la distribuzione di gas e petroli ai Paesi asiatici, a partire dalla Repubblica Popolare Cinese, sono molto più reali di quello che non apparissero solo qualche mese fa.
Resta tuttavia il nodo fondamentale della guerra: come trovare la possibilità di cessare il fuoco, definire una tregua e iniziare il complesso cammino verso la trattativa e la negoziazione? È chiaro che, oltre la Russia e l’Ucraina, sono meno direttamente, ma comunque intensamente coinvolte sia la Cina che gli Stati Uniti e, naturalmente, l’Unione Europea. E proprio a quest’ultima compete il compito probabilmente più difficile, che tuttavia riveste una valenza comune: fermare la guerra. È impossibile pensare che una forte spinta verso la pace venga, in questi frangenti, dagli Stati Uniti o addirittura dalla Repubblica Popolare cinese.
La volontà di non essere direttamente coinvolti è stata più volte dichiarata dal presidente degli Stati , Joe Biden, mentre la ferma alleanza tra russi e cinesi all’interno dell’Organizzazione di Shanghai, più volte ribadita dagli esponenti di Pechino, impedisce qualsiasi tentativo da parte asiatica di un intervento, se non prima concordato con la Federazione Russa.
L’onere quindi riguarda prima di tutto l’Unione Europea, perché da qualsiasi posizione si guardi il conflitto, è chiaro che sia geograficamente che economicamente esso è in territorio contiguo a quello dell’Unione e, se peggiorasse, potrebbe coinvolgere ancor più Paesi membri e popolazioni confinanti. Ed è proprio al fine di non permettere un allargamento del conflitto che trapela dall’escalation in corso, che addirittura sfiora il nucleare, che l’intervento diplomatico europeo si rende, oggi più che mai, assolutamente necessario.

Prof. Arduino Paniccia
Presidente ASCE Scuola di Competizione Economica Internazionale di Venezia


Fonte: Arduino Paniccia