Sanzioni: la Russia ringrazia, analisi Eurispes a quattro anni da avvio

05-07-2018 13:10 -

GD - Roma, 5 lug. 18 - Le sanzioni internazionali alla Russia si sono rivelate un boomerang per chi le ha adottate. "L´Eurispes ha sempre manifestato perplessità nei confronti delle sanzioni contro la Russia, prevedendo che potessero essere dannose più per i paesi sanzionatori che non per il sanzionato", ha dichiarato il presidente dell´Eurispes, Gian Maria Fara. "A distanza di quattro anni, questi timori si sono rivelati del tutto fondati. Per quanto riguarda il nostro paese, le sanzioni alla Russia, sono state uno stimolo alla delocalizzazione ed hanno provocato il trasferimento di know how che ha impoverito il nostro Paese e arricchito la Russia stessa", ha aggiunto Fara.
La riflessione curata da Paolo Greco, ricercatore Eurispes, approfondisce i diversi aspetti, per alcuni versi poco noti, delle conseguenze delle scelte con le quali si pensava di poter "punire" un grande paese, tra i primi produttori di materie prime al mondo.
Le sanzioni imposte dall´Unione Europea alla Russia erano di due tipi, diplomatiche ed economiche; mentre le contro sanzioni imposte dalla Federazione erano di tipo economico, e riguardavano l´embargo di prodotti quali carni, bovina, pollame e suina, pesce, formaggi e latticini, frutta e verdura.
Ma che cosa è cambiato in questi 4 anni? E che cosa è successo? Qualcuno ha raggiunto il proprio obiettivo? E i settori sotto embargo?
L´obiettivo dell´Unione Europea era la fine dell´occupazione della Crimea, da raggiungersi attraverso un riallineamento della politica estera della Federazione al rispetto del diritto internazionale in conseguenza delle sanzioni imposte. Mentre l´obiettivo della Federazione Russa era, attraverso l´embargo, scoraggiare le sanzioni e rilanciare il mercato interno.
Le sanzioni imposte alla Russia hanno portato in recessione l´economia russa, la popolazione perse potere d´acquisto, e si è vista aumentare fino al 35% i prezzi di molti beni di consumo, in particolare i beni sottoposti all´embargo con un conseguente squilibrio tra domanda e offerta.
Ma il risultato auspicato, ovvero il ritiro russo dalla Crimea, non è stato raggiunto. Di contro, ben più evidente è apparso il crollo delle importazioni da parte della Federazione in tutti i settori e non solamente in quelli direttamente sanzionati, proprio a causa della perdita di potere d´acquisto della popolazione.
Nel 2013 l´export italiano in Russia valeva 10.8 miliardi di Euro; a distanza di tre anni nel 2016 all´Italia mancavano 4 miliardi di esportazioni e 80mila posti di lavoro, per chiusure o riassetti organizzativi delle imprese che contavano sul mercato russo.
Ad oggi, la situazione dell´export italiano verso la Russia sta recuperando quel valore precedente le sanzioni, crescendo nel 2017 del 19% rispetto all´anno precedente, trainato da macchinari, abbigliamento, prodotti farmaceutici e calzature, nel particolare quello agroalimentare è aumentato del 29,6%, sostenuto da quei prodotti non rientranti nell´embargo; un export che complessivamente segna un valore di circa 8 miliardi di euro. Questo, grazie all´abilità dei nostri imprenditori nel riorganizzare i canali di distribuzione e dal recupero di potere d´acquisto delle famiglie russe, ma che complessivamente nel food&beverage dalla ottava posizione di partner commerciale ci ha visto scendere nel 2017 alla tredicesima. Quindi, dopo l´iniziale crollo si sta assistendo ad un recupero, anche se il volume totale dell´import da parte della Federazione Russa rimane complessivamente inferiore.
Mentre l´embargo imposto dalla Russia ai nostri prodotti agroalimentari ‒ oltre a voler recare disagio ai paesi esportatori di questi beni ‒ puntava a sostenere una politica orientata a creare una produzione interna, import substitution, sostenuta dalle politiche di agevolazione agli investimenti diretti esteri, con l´intento di attrarre investitori al fine di diversificare maggiormente l´economia e sviluppare quei settori dove la componente importatrice era maggioritaria rispetto alla produzione locale, necessaria al soddisfacimento della domanda interna.
I settori sottoposti ad embargo non possono esportare nel paese sanzionatore, di conseguenza un modo per aggirare il problema è stato quello di spostare la produzione nel paese che impone la sanzione. Ed in questa particolare situazione, questa forma di aggiramento delle sanzioni stesse è stata agevolata dalle politiche volte a richiamare i capitali e facilitare gli investimenti diretti esteri. Di ciò si sono avvalse, fra l´altro, molte imprese non direttamente colpite dalle sanzioni, ma facenti sempre parte della filiera dell´agroalimentare. A titolo di esempio, si è registrato un aumento delle internazionalizzazioni localizzate di aziende metalmeccaniche e zootecniche, pronte ad accompagnare la crescita di una produzione in loco dei beni sanzionati.
Nel settore agroalimentare sotto embargo, i produttori di frutta e verdure, specialmente quelli più piccoli, hanno potuto fare ben poco per arginare tali sanzioni dal momento che spostare una produzione di arance, kiwi e altri prodotti simili in Russia, risulta complicato ed oneroso.
In questo settore, tra le produzioni che andavano piuttosto bene, ma che si son viste chiudere completamente il mercato, si contano mele e pere, uva, altri frutti e frutta snocciolata, che nella loro totalità pesavano per il 58% delle esportazioni del settore nel 2012. Rispetto al totale dell´export italiano verso la Federazione russa, questi prodotti rappresentavano l´1,80% per un valore di 177 milioni di euro su un totale di 10 miliardi. In seguito all´embargo sull´agroalimentare, tali percentuali si sono drasticamente ridotte al 33% del settore nel 2014 per azzerarsi del tutto dal 2015.
L´altro settore colpito è quello legato ai prodotti lattiero-caseari. La Russia, grande consumatrice di formaggi, con una bassa produzione interna non sufficiente a rispondere alla domanda, ne importava notevoli quantità, di cui l´Italia anno dopo anno andava ad allargare la sua quota. Le importazioni del settore caseario in Russia erano in una fase espansiva, che le sanzioni hanno bruscamente bloccato passando dai 1,47 miliardi di euro nel 2010 a 1.80 miliardi nel 2013 per poi crollare a 708 milioni di euro nel 2016.
L´effetto finale non è stato solamente un riallocamento delle quote di import perse a favore dei paesi esclusi dall´embargo, ma soprattutto un aumento della produzione interna, centrando appieno l´obiettivo a cui il governo puntava.
Difatti, si è registrato dal 2014 al 2016 un aumento della produzione interna di prodotti caseari intorno al 60%, raggiungendo le 424mila tonnellate nel 2017, aumentata sia a causa dell´incremento della produzione da parte delle aziende già esistenti in Russia prima dell´embargo, sia per la nascita di nuove imprese di agenti locali, ed infine stimolata da alcune nostre produzioni o l´emigrazione di singoli casari, che si sono spinti fino in Russia a produrre formaggio "italiano", mossi dalla grande occasione di vuoto di offerta lasciato dal blocco delle importazioni europee. Un vuoto che si registra dal 2013 al 2016 con un calo del 42,5% dell´offerta da importazioni; un´ottima occasione di crescita per chi già operava e di opportunità di ingresso per chi fosse stato interessato, agevolato da un mercato chiuso e un improvviso squilibrio tra domanda e offerta.
Questo settore, che ancora oggi è sotto embargo, una volta che questo sarà terminato, dovrà cercare di recuperare le quote di mercato perdute a cominciare dalla fiducia del consumatore, che nel frattempo si sarà visto riempire gli scaffali di prodotti made with Italy e made as in Italy, senza contare i prodotti che sfruttano l´italian sounding, prodotti con un nome riconducibile all´Italia che spesso può generare una, peraltro ricercata, confusione per il consumatore ‒ fenomeno che dal 2014 ha richiesto più di 1.500 interventi per un controvalore superiore ai 13 miliardi di euro.
Per quanto possano essere buoni i prodotti realizzati anche dai nostri connazionali all´estero, si spera di riuscire a mantenere la consapevolezza che certamente non siano un made in Italy, un appellativo sinonimo di qualità, che trasmette fiducia al consumatore, motivo per molti produttori a non delocalizzare per non perdere quel vantaggio competitivo che quelle tre parole riescono a trasmettere.


Fonte: Redazione