Amb. Ugo de Mohr sull´8 settembre ´43: "Sono ottimista, si può ricordare il passato senza odi di parte"

04-07-2018 09:46 -

GD - Roma, 4 lug. 18 - "Sei un fascista!" è, in Italia, una delle accuse più infamanti. Anche se lanciata, a sproposito, in molti casi da chi neppure saprebbe spiegare cosa vuol dire "fascista". L´amb. Ugo Gabriele de Mohr, che ha concluso la propria carriera come capo missione in Finlandia e, per motivi anagrafici - è nato nel 1940 - fascista non è mai stato, ha cercato di capire cosa vuol dire essere fascista. E lo ha fatto sbattendo in prima pagina, o meglio in un libro, la storia del padre Claudio de Mohr - di antica nobile famiglia di origine austriaca, figlio del "poeta soldato" Arnaldo, medaglia d´argento al valor militare della Grande Guerra - anche lui diplomatico, che l´8 settembre 1943 fu uno di coloro che aderirono alla R.S.I., la Repubblica Sociale Italiana.
Al libro "Odissea di un diplomatico...che diranno i miei figli...", Gangemi editore, il "Giornale Diplomatico" dedicò una recensione (https://www.giornalediplomatico.it/Le-memorie-e-i-retroscena-di-due-epoche-dItalia-nel-libro-degli-ambasciatori-de-Mohr-padre-e-figlio.htm).
Il volume contiene le memorie che Claudio de Mohr aveva scritto, ma mai pubblicate e, in parallelo, le valutazioni e i giudizi, frutto di ricerche storiche spesso inedite, elaborate 50 anni dopo dal figlio. Il quale descrive ora al "Giornale Diplomatico" le reazioni alla sua iniziativa che più l´hanno colpito.
In "Odissea di un diplomatico...che diranno i miei figli...", lo storico Francesco Perfetti ha visto - come ha scritto nella prefazione - un tentativo di Ugo
de Mohr di "lanciare un messaggio di speranza: agli adulti perché possano ricordare il passato senza prevenzioni né odi di parte e ai giovani perché, conoscendo gli avvenimenti di ieri e superando le divisioni dei padri, possano guardare al futuro con spirito costruttivo".
"Sono convinto che, alla lunga, l´obiettivo sintetizzato dal professor Perfetti possa essere perseguito con successo per molteplici ragioni", ha spiegato l´ambasciatore de Mohr, in una sintesi delle decine di presentazioni-dibattito in università e circoli culturali attraverso l´Italia. Uno dei motivi di ottimismo, per de Mohr, è "il succedersi di nuove generazioni e il progressivo accrescersi del divario tra esse e i condizionamenti ideologici di una distorta storiografia postbellica, fattasi per troppo tempo espressione dell´egemonia culturale della sinistra, ancorché oggetto, da diversi anni, di una sempre più consistente, salutare revisione".
La più recente presentazione-dibattito, per importanza e prestigio dei partecipanti analoga a quella svoltasi nel dicembre scorso all´Università Cattolica di Milano (con interventi dei professori Massimo de Leonardis del Dipartimento di Scienze Politiche dell´Ateneo; Roberto Chiarini delle Statale; e dell´editorialista del Corriere della Sera, storico ed ambasciatore Sergio Romano) è avvenuta al Circolo degli Esteri di Roma, quasi una "seconda casa" per il migliaio di diplomatici italiani.
Ad introdurla, l´ambasciatore Umberto Vattani. "Da molte parti colleghi, conoscenti ed amici non hanno mancato di manifestare simpatia per il mio impegno concretatosi nella pubblicazione del volume", l´asciutto commento dell´ambasciatore de Mohr.
Che sul piano generale, e quindi anche tra i diplomatici, ci sia poca voglia di ridiscutere a settant´anni di distanza il dramma di coscienza vissuto da un´intera generazione di italiani di fronte al dilemma posto loro dalla capitolazione dell´8 settembre ´43, è evidente.
"Come pure è scottante il tema di un´intera intellettualità fascista, ideologicamente impegnata e spesso fortemente antisemita, che a partire dalla seconda metà del ´42, al chiaro delinearsi della catastrofe bellica e di regime, si trasferì in blocco nel campo comunista, per impegnarsi nel dopoguerra in un indefesso, spesso squallido esercizio di cancellazione di ogni traccia del proprio passato", ha denunciato de Mohr.
Molto interesse è stato manifestato, ad ogni presentazione del libro, soprattutto
per le rivelazioni che esso contiene sul "caso Wallemberg". Claudio de Mohr, che l´8 settembre de 1943 era di servizio in Bulgaria, venne detenuto dal 1944 fino al 1950 nelle prigioni sovietiche, dove ebbe modo di "scoprire" che lo svedese Wallemberg, che i sovietici negavano in quegli anni fosse ancora vivo e detenuto Russia, era rinchiuso nella cella accanto alla sua. Un comportamento, ha chiosato l´ambasciatore, "emblematico del disprezzo sovietico per ogni principio del Diritto Internazionale ed umanitario e degli orrori delle galere di Stalin e Berija".

di Carlo Rebecchi


Fonte: Carlo Rebecchi