Vaticano: Papa a Corpo Diplomatico, 183 Stati hanno rapporti con Santa Sede

10-01-2022 15:00 -

GD - Città del Vaticano, 10 gen. 22 - Questa mattina, nell'Aula della Benedizione, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udienza il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno. Dopo il discorso introduttivo del Decano del Corpo Diplomatico, George Poulides, ambasciatore di Cipro presso la Santa Sede, il Papa ha pronunciato il discorso che riportiamo più sotto.
Come riferisce una nota della Santa Sede, sono 183 gli Stati che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Ad essi vanno aggiunti l'Unione Europea e il Sovrano Militare Ordine di Malta. Le Cancellerie di Ambasciata con sede a Roma, incluse quelle dell'Unione Europea e del Sovrano Militare Ordine di Malta, sono 87. Hanno sede a Roma anche gli Uffici della Lega degli Stati Arabi, dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Nel corso del 2021, il 10 febbraio, è stato ratificato il Settimo Accordo Addizionale fra la Santa Sede e la Repubblica Austriaca alla Convenzione per il Regolamento di Rapporti Patrimoniali del 23 giugno 1960, firmato il 12 novembre 2020. Il 26 novembre 2021, la Santa Sede ha inoltre depositato lo strumento di ratifica della Convenzione globale sul riconoscimento delle qualifiche dell'insegnamento superiore, adottata dall'UNESCO il 25 novembre 2019. Infine, il 31 maggio è stata formalizzata la partecipazione della Santa Sede ai lavori dell'Organizzazione Mondiale della Sanità in qualità di Stato non-Membro Osservatore.
Questo il testo del discorso del Papa al Corpo Diplomatico.
«Eccellenze, Signore e Signori! Ieri si è concluso il tempo liturgico del Natale, periodo privilegiato per coltivare i rapporti familiari, che a volte ci si trovano distratti e lontani, affaccendati - come siamo nel corso dell'anno - in molti altri impegni. Oggi, ne vogliamo continuare lo spirito, ritrovandoci insieme come una grand famiglia, che si incontra e dialoga. In fondo, questo è lo scopo della diplomazia: aiutare a mettere da parte i dissapori della convivenza umana, favorire la concordia e sperimentare come, quando superiamo le sabbie mobili della conflittualità, possiamo riscoprire il senso dell'unità e della realtà.
Vi sono dunque particolarmente grato per aver voluto prendere parte quest'oggi al nostro annuale “incontro di famiglia”, occasione propizia per formularci reciprocamente i voti augurali per il nuovo anno e per guardare insieme alle luci e alle ombre del nostro tempo. Un particolare ringraziamento rivolgo al Decano, Sua Eccellenza il Signor George Poulides, Ambasciatore di Cipro, per l'amabilità delle parole che mi ha indirizzato a nome dell'intero Corpo diplomatico. Attraverso di voi, desidero far venire il mio saluto e il mio affetto ai popoli che rappresentate.
La vostra presenza è un segno tangibile dell'attenzione che i vostri Paesi hanno per la Santa Sede e per il suo ruolo nella comunità internazionale. Molti di voi sono giunti da altre capitali per l'evento odierno, unendosi così alla nutrita schiera degli ambasciatori residenti a Roma, che a breve aggiungerà pure quello della Confederazione Elvetica.
In questi giorni vediamo come la lotta alla pandemia richieda ancora un notevole sforzo da parte di tutti e come anche il nuovo anno si prospetti impegnativo. Il coronavirus ha continuato a creare isolamento sociale ea mietere vittime e, tra quanti hanno perso la vita, vorrei che ricordare il compianto mons. Aldo Giordano, Nunzio Apostolico ben conosciuto e stimato in seno alla comunità diplomatica. Allo stesso tempo, abbiamo potuto accertare che laddove si è svolta un'efficace campagna vaccinale il rischio di un decoro grave della malattia è diminuito.
È dunque importante che possa continuare lo sforzo per immunizzare quanto più possibile la popolazione. Ciò richiede un molteplice impegno a livello personale, politico e dell'intera comunità internazionale. Anzitutto a livello personale. Tutti abbiamo la responsabilità di aver cura di noi stessi e della nostra salute, il che si traduce anche nel rispetto per la salute di chi ci è vicino. La cura della salute rappresentava un obbligo morale. Purtroppo, accertamento sempre più come viviamo in un mondo dai forti contrasti ideologici. A volte ci si lascia dall'ideologia del momento, spesso costruita su notizie infondate o fatti scarsamente documentati. Ogni affermazione ideologica recide i legami della ragione umana con la realtà oggettiva delle cose. Proprio la pandemia ci impone, invece, una sorta di “cura di realtà”, che richiede di guardare in faccia al problema e di adottare i rimedi adatti per risolverlo. I vaccini non sono strumenti magici di guarigione, la mia promessa, in aggiunta alle cure che vanno sviluppate, la soluzione più per la prevenzione della malattia.
Vi deve essere poi l'impegno della politica attraverso una comunicazione attraverso il bene della popolazione decisioni di prevenzione e immunizzazione, che chiamino in causa anche i raffinati sentimenti di sentirsi partecipi e trasparente delle problematiche possono affrontare. La carenza di fermezza decisionale e di chiarezza comunicativa genera confusione, crea sfiducia e mina la coesione sociale alimentando nuove tensioni. Se s’instaura un “relativismo sociale” si ferisce l'armonia e unità.
Infine, occorre un impegno complessivo della comunità, destinato a tutto il mondo e alla popolazione internazionale affinché possa accedere in egual misura alle cure essenziali e ai vaccini. Purtroppo si constata con dolore che per vaste aree del mondo l'accesso universale all'assistenza sanitaria rimane ancora un miraggio. In un momento così grave per tutta l'umanità, ribadisco il mio appello affinché i Governi e gli enti privati interessati mostrino senso di responsabilità, elaborando una risposta coordinata a tutti i livelli (locale, nazionale, regionale, globale), dando il via a nuovi modelli di solidarietà e a strumenti atti a rafforzare la capacità dei Paesi più bisognosi.
In particolare, mi permetto di esortare gli Stati che si stanno impegnando per definire uno strumento internazionale sulla preparazione e la risposta alle pandemie sotto l'egida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, ad adottare una politica di condivisione disinteressata, quale principio-chiave per diagnosticare e consentire a tutti l’accesso agli strumenti, vaccini e farmaci. E parimenti è auspicabile che le istituzioni come l'Organizzazione Mondiale del Commercio e l'Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale adeguino i propri principi, raffinino le regole monopolistiche affinché non costituiscano ostacoli alla produzione e a un accesso organizzato di cure, vaccini e farmaci.
Lo scorso anno, anche grazie all'allentamento delle restrizioni disposte nel 2020, ho avuto occasione di ricevere molti Capi di Stato e di Governo, nonché varie autorità civili e religiose. Tra i molteplici incontri, vorrei qui ricordare la giornata del 1° luglio scorso, dedicato alla riflessione e alla preghiera per il Libano. Al caro popolo libanese, stretto dalla morsa di una crisi economica e politica che fatica a giungere a soluzione, desidero oggi rinnovare la mia vicinanza e la mia preghiera, il necessario sostegno della comunità internazionale a ritrovare la propria identità di modello di coesistenza pacifica e di fratellanza tra le varie religioni presenti.
Nel corso del 2021, ho potuto riprendere anche i viaggi apostolici. Nel mese di marzo ho avuto la gioia di recarmi in Iraq. La Provvidenza ha voluto che ciò accadesse come segno di speranza dopo anni di guerra e terrorismo. Il popolo iracheno ha diritto a ritrovare la dignità che gli apparteneva a vivere in pace. Le sue radici religiose e culturali sono millenarie: la Mesopotamia è culla di civiltà; è da lì che Dio ha chiamato Abramo per iniziare la storia della salvezza.
A settembre mi sono recato a Budapest per la conclusione del Congresso Eucaristico Internazionale; e poi in Slovacchia. È stata un'opportunità di incontro con i fedeli cattolici e di altre confessioni cristiane, come pure di dialogo con gli ebrei. Parimenti, il viaggio a Cipro e in Grecia, di cui è vivo in me il ricordo, mi ha permesso di avere più profondi legami con i fratelli ortodossi e di sperimentare la fraternità tra le varie confessioni cristiane.
Una parte toccante di questo viaggio ha avuto luogo nell'isola di Lesbo, dove ho potuto osservare la generosità di quanti prestano la propria opera per fornire accoglienza e aiuto ai migranti, ma soprattutto ho visto i bambini e ospiti dei centri di accoglienza. Nei loro occhi c'è la fatica del viaggio, la paura di un futuro incerto, il dolore per i propri cari rimasti indietro e la nostalgia della patria che sono stati costretti ad abbandonare. Davanti a questi volti non possiamo rimanere indifferenti e non ci si può trincerare dietro muri e a fili spinati con il pretesto di difendere la sicurezza o uno stile di vita. Questo non si può.
Ringrazio perciò quanti, individui e Governi, si adoperano per garantire accoglienza e protezione ai migranti, facendosi carico della loro promozione umana e della loro integrazione nei Paesi che li hanno ospitati. Sono consapevole delle difficoltà che alcuni Stati incontrano di fronte a flussi di tante persone. A nessuno può essere chiesto quanto è impossibile a fare, ma c’è una netta differenza fra accogliere, seppure limitatamente, e respingere totalmente.
Occorre vincere l'indifferenza e rigettare il pensiero che i migranti siano un problema di altri. L'esito di tale approccio lo si vede nella disumanizzazione stessa dei migranti concentrati negli hotspot, dove finiscono disperatamente per divenire facile preda della criminalità e dei trafficanti di esseri umani, o per tentativi di fuga che, a volte, si concludono con la morte. Purtroppo, occorre anche rilevare che i migranti stessi sono spesso trasformati in arma di ricatto politico, in una sorta di “merce di contrattazione” che priva le persone della loro dignità.
In questa sede, desidero rinnovare la mia gratitudine alle Autorità italiane, grazie alle quali alcune persone sono potute venire da me a Roma da Cipro e dalla Grecia. Si è trattato di un gesto semplice ma significativo. Al popolo italiano, che ha molto sofferto all'inizio della pandemia, ma che ha anche mostrato segni incoraggianti di ripresa, rivolgo il mio augurio, perché mantenga sempre quello spirito di apertura generosa e solidale che lo contraddistingue.
In pari tempo, reputo di fondamentale importanza che Unione Europea trovi la sua coesione interna nella gestione delle migrazioni, come ha saputa trovarla per far fronte alle conseguenze della pandemia. Occorre, infatti, dare vita a un sistema coerente e comprensivo di gestione delle politiche migratorie e di asilo, in modo che siano solidali nel ricevere i migranti, rivedere le domande di asilo, ridistribuire e integrare quanti possono essere membri.
La capacità di negoziare e trovare soluzione condivisa è uno dei punti di forza dell'Unione Europea e costituisce un valido modello per affrontare la prospettiva delle sfide globali che ci sono.
Tuttavia, le migrazioni non riguardano solo l'Europa che è particolarmente interessata da flussi provenienti sia dall'Africa sia dall'Asia. In questi anni abbiamo assistito, tra altro, all'esodo dei profughi siriani, a cui si sono aggiunti nei mesi scorsi quanti sono fuggiti dall'Afghanistan. Non dobbiamo dimenticare gli esodi massicci che interessano il continente americano e che premono sul confine fra Messico e Stati Uniti d'America. Molti di quei migranti sono haitiani in fuga dalle tragedie che hanno colpito il loro Paese in questi anni.
La questione migratoria, come la pandemia e il cambiamento, che nessuno si può salvare da sé, ossia che le grandi sfide del nostro tempo sono globali. Desta fronte dei problemi che deve verificare una maggiore connessione ampia, crescendo una frammentazione delle soluzioni. Non di rado si riscontra una mancanza di voglia di aprire finestre di dialogo e spiragli di fraternità. E questo finisce per alimentare ulteriori tensioni e divisioni, nonché un generale senso di incertezza e instabilità. Occorre, invece, recuperare il senso della nostra comune identità di unica famiglia umana. L'alternativa è solo un crescente isolamento, segnato da preclusioni e chiusure reciproche che, di fatto, mettono ulteriormente in pericolo il multilateralismo.
La diplomazia multilaterale attraversa da tempo una crisi di fiducia, una ridotta credibilità dei sistemi sociali, governativi e intergovernativi. Importanti risoluzioni, dichiarazioni e decisioni sono spesso prese senza un vero negoziato nel quale tutti i Paesi hanno voce in capitolo. Tale squilibrio, divenuto oggi drammaticamente evidente, genera disaffezione verso gli organismi internazionali da parte di molti Stati e organismi minando nel suo complesso il sistema multilaterale, rendendolo sempre meno efficace nell'affrontare le sfide globali.
Il deficit di efficacia di molte organizzazioni internazionali è anche dovuto alla diversa visione degli scopi che esse si dovrebbero prefiggere. Non di rado il baricentro d'amore è spostato su tematiche per loro natura divisive e non strettamente attinenti allo scopo dell'organizzazione, con l'esito di agende sempre più dettate da un pensiero che rinnega i fondamenti naturali dell'umanità e le radici culturali che costituiscono l'identità di molti popoli. Come ho avuto modo di affermare in altre occasioni, ritengo che si tratti di una forma di colonizzazione ideologica che non lascia spazio alla libertà di espressione e che oggi assume sempre più la forma di quella cancel culture, che invade tanti ambiti e istituzioni pubbliche. In nome della protezione delle diversità, se si finisce per cancellare il senso di ogni identità, con il rischio di far tacere le posizioni che difendono un'idea rispettosa ed equilibrata delle varia sensibilità. Si va elaborando un pensiero unico costretto a rinnegare la storia, o peggio ancora a riscriverla sulla base di una categoria contemporanea, mentre ogni azione storica va interpretata secondo l'ermeneutica dell'epoca, non l'ermeneutica di oggi.
La diplomazia multilaterale è chiamata perciò ad essere inclusiva, non cancellando ma valorizzando le diversità e le sensibilità storiche che contraddistinguono i vari popoli veramente. In tal modo essa riacquisterà insieme efficacia per le sfide umane di tutti. Ciò esige fiducia reciproca e disponibilità a dialogare, ovvero ad "ascoltarsi, confrontarsi, accordarsi e camminare insieme". Peraltro, "il dialogo è la via più adatta per arrivare a riconoscere ciò che dev'essere sempre affermato e rispettato, e che va oltre il consenso occasionale". Non bisogna mai dimenticare che "ci sono alcuni valori permanenza". Non sempre è facile riconoscerli, ma accettarli e ciò “conferisce solidità e stabilità a un'etica sociale. Anche quando li abbiamo approvati e assunti grazie al dialogo e al consenso, vediamo che tali valori di base vanno al là di ogni previsione”. Desidero richiamare specialmente sul diritto alla vita, dal concepimento sino alla fine naturale, e il diritto alla libertà religiosa.
In questa prospettiva negli ultimi anni è cresciuta di più la consapevolezza collettiva in merito all'istanza comune, che sta soffrendo a di causa un continuo e indiscriminato sfruttamento. Al riguardo, penso specialmente alle Filippine, colpite nelle scorse settimane da un devastante tifone, come pure ad altre nazioni del Pacifico, che hanno vulnerabilità dagli effetti negativi del cambiamento climatico, che mettono a rischio la vita degli abitanti, la maggior parte delle quali dipende da pesca e risorse naturali.
Proprio questo deve spingere la comunità internazionale nella sua globalità a trovare soluzioni comuni ea metterle in pratica. Nessuno può esimersi da tale sforzo, poiché siamo tutti interessati e coinvolti in egual misura. Nella recente COP26 a Glasgow sono state individuate direzioni abbastanza deboli se rispetto alla consistenza del problema da affrontare. La strada per il raggiungimento degli obiettivi dell'Accordo di Parigi è complesso e sembra essere ancora lungo, mentre il tempo a disposizione è sempre meno. Vi è ancora molto da fare e dunque il 2022 sarà un altro anno fondamentale per verificare quanto e come ciò che si è deciso a Glasgow possa e debba essere ulteriormente rafforzato, in vista della COP27, prevista in Egitto nel novembre prossimo.
Dialogo e fraternità sono i due fuochi essenziali per superare la presente crisi del momento. Tuttavia, "nonostante i molteplici sforzi mirati al dialogo costruttivo tra le nazioni, si amplifica assordante rumore di guerre e conflitti", e la comunità internazionale deve interrogarsi sull'urgenza di trovare soluzioni a scontri interminabili, che sono talvolta labili con il volto di vere guerre di proprietà per procura (guerre per procura).
Penso anzitutto alla Siria, dove ancora non si vede un orizzonte chiaro per la rinascita del Paese. Ancora oggi il popolo siriano piange i suoi morti, la perdita di tutto, e spera in un futuro migliore. Sono necessarie riforme politiche e costituzionali, raffinate affinché il Paese rinasca, ma è pure necessario che le sanzioni applicate non colpiscano direttamente la vita quotidiana, offrendo uno spiraglio di speranza alla popolazione, sempre più stretta nella morsa della povertà.
Non possiamo dimenticare il conflitto in Yemen, una tragedia umana che si sta consumando da anni in silenzio, lontano dai riflettori mediatici e con una certa indifferenza della comunità internazionale, verso le numerose vittime civili, in particolare anziani, donne e bambini.
Nell'anno passato non si sono fatti passi in avanti nel processo di pace tra Israele e Palestina. Vorrei davvero vedere questi due popoli ricostruire la fiducia tra di loro e riprendere a parlarsi direttamente per arrivare a vivere in due Stati fianco a fianco, in pace e sicurezza, senza odio e risentimento, ma guariti dal perdono reciproco.
Preoccupazione destano le tensioni istituzionali in Libia; come pure gli episodi di violenza ad opera del terrorismo internazionale nella regione del Sahel e nelle aree interne in Sudan, Sud Sudan ed Etiopia, dove occorre "ritrovare la via della riconciliazione e della pace attraverso un confronto sincero che metta al primo posto le esigenze della popolazione".
Le forti disuguaglianze, le ingiustizie e la corruzione endemica, nonché le varie forme di povertà che offendono la società e le persone, dove le polarizzazioni sempre più forti non aiutano a risolvere i conflitti e urgenti con problemi per i cittadini, soprattutto quelli più poveri e vulnerabili.
La fiducia reciproca e la disponibilità a un confronto sereno devono animare tutte le parti interessate per trovare soluzioni accettabili e durature in Ucraina e nel Caucaso Meridionale, così come per evitare l'apertura di nuove crisi nei Balcani, in primo luogo in Bosnia.
Dialogo e fraternità sono quanto mai urgenti per affrontare, con saggezza ed efficacia, la crisi che colpisce ormai da quasi un anno il Myanmar, dove le strade che prima erano luogo di incontro sono ora anche teatro di scontri, che non risparmiano i luoghi di preghiera .
Naturalmente, tutti i conflitti sono agevolati dall'abbondanza di armi a disposizione e dalla mancanza di scrupoli di quanti si adoperano ha diffonderle. A volte ci si illude che gli armamenti servano solo a svolgere un ruolo dissuasivo contro possibili aggressori. La storia, e purtroppo la cronaca, ci insegnano che non è così. Chi possiede armi prima o poi finisce per utilizzarle, poiché, come - diceva san Paolo VI - “non si può amare con armi offensive in pugno”, "quando ci consegniamo alla logica delle armi e ci allontaniamo dall'esercizio del dialogo, ci dimentichiamo inoltre tragicamente che le armi, ancor prima di causare vittime e distruzione, hanno la capacità di generare cattivi sogni".
Sono preoccupazioni rese ancora più concrete oggi per la disponibilità dell'utilizzo di armamenti autonomi, che possono avere conseguenze terribili e imprevedibili, mentre devono essere soggette alla responsabilità della comunità internazionale.
Tra le armi che l'umanità ha prodotto, desta speciale preoccupazione l’acquisizione di quelle nucleari. A fine dicembre scorso è stata ulteriormente posticipata, a causa della pandemia, la X Conferenza d'Esame del Trattato sulla Non-Proliferazione Nucleare, che era prevista a New York in questi giorni. Un mondo libero da armi nucleari è possibile e necessario. Auspico, quindi, che la Comunità internazionale colga la opportunità di quella Conferenza per compiere un passo significativo in tale direzione. La Santa Sede rimane ferma nel sostenere che le armi nucleari sono strumenti inadeguati e inappropriati a rispondere alle minacce e il loro possesso nel 21° secolo è immorale. La loro fabbricazione distoglie risorse alle prospettive di uno sviluppo umano integrale e il loro utilizzo.
La Santa Sede ritiene importane che la ripresa a Vienna dei negoziati circa l'Accordo sul nucleare con Iran (Joint Comprehensive Plan of Action) possa garantire risultati positivi per un mondo più sicuro e fraterno.
Nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace celebratasi il 1° gennaio scorso, ho cercato di porre in evidenza gli elementi che ritengo essenziali per favorire una cultura del dialogo e della fraternità.
Un posto speciale è occupato dall'educazione, attraverso il quale si formano le nuove generazioni, che sono la speranza e avvenire del mondo. Il processo è lento e laborioso, talvolta può indurre allo scoraggiamento, ma mai vi si deve rinunciare. Esso è espressione eminente del dialogo, se però è arroccato non vi è vera educazione che non sia per sua struttura dialogica. L'educazione genera poi cultura e crea ponti incontro tra i popoli. La Santa Sede ha inteso sottolinearne il valore mediando la partecipazione all'Expo Dubai 2021, negli Emirati Arabi Uniti, con l'allestimento di un Padiglione ispirato al tema dell'Esposizione: “Collegare le menti, creare il futuro”.
La Chiesa Cattolica ha sempre riconosciuto e valorizzato il ruolo dell'educazione per la crescita spirituale, morale e sociale delle giovani nuove generazioni. È perciò per me ancor più motivo di dolore sapere che in diversi luoghi educativi - parrocchie e scuole - si siano consumati abusi sui minori, con gravi conseguenze psicologiche e spirituali sulle persone che li hanno subiti. Si tratta di crimini sui quali vi deve essere la ferma volontà di fare chiarezza, vagliando i singoli casi, per accertare la responsabilità, rendere giustizia alle vittime e impedire che simili atrocità si ripetano in futuro.
Nonostante la gravità di tali atti, nessuna società può mai abdicare alla responsabilità di educare. Duole, invece, trovare spesso nei bilanci statali poche risorse destinate all'educazione. Essa viene vista prevalentemente come un costo, mentre si tratta del miglior investimento possibile.
La pandemia ha impedito a molti giovani di accedere alle istituzioni educative, con un contenimento del loro processo di crescita personale e sociale. Molti, tramite gli strumenti tecnologici, hanno trovato rifugio in realtà virtuali, che creano legami psicologici ed emotivi molto forti, con la conseguenza di estraniare dagli altri e dalla realtà circostante e di modificare radicalmente le relazioni sociali. Con ciò non intendo certo negare l'utilità della tecnologia e dei suoi prodotti, ma richiamo l'urgenza di vigilare affinché tali strumenti siano ad uso interpersonale, familiare, sociale e internazionale. Se fin da piccoli si impara a isolarsi, più difficile sarà in futuro costruire ponti di fraternità e di pace. In un universo dove esiste solo l'“io”, difficilmente può esserci spazio per un “noi”.
Il secondo elemento che desidero richiamare è il lavoro, "fattore indispensabile per costruire e preservare lo spazio". Esso “è espressione di sé e dei propri doni, ma anche impegno, fatica, collaborazione con altri, perché si lavora sempre con o per qualcuno. In questa prospettiva marcatamente sociale, il lavoro è il luogo dove impariamo a dare il nostro contributo per un mondo più vivibile e bello”.
Abbiamo dovuto accertare come la pandemia abbia messo a dura l'economia mondiale, con gravi ricadute sulle famiglie e sui lavoratori, che vivono situazioni di disagio psicologico, prima ancora che difficoltà economiche. Essa ha posto ancor più in evidenza le disuguaglianze persistenti in diversi ambiti socio-economici. Si pensi all'accesso all'acqua pulita, al cibo, all'istruzione, alle cure mediche. Il numero delle person annoverate nella categoria della povertà estrema è in sensibile aumento. Per di più, la crisi sanitaria ha indotto molti lavoratori a cambiare tipo di mansioni, e talvolta li ha obbligati a entrare nell'ambito dell'economia sommersa, privandoli così dei sistemi di protezione sociale previsti in molti Paesi.
In questo quadro, la consapevolezza del valore del lavoro acquista un'ulteriore importanza poiché non esiste sviluppo economico senza il lavoro. La tecnologia moderna può rimpiazzare il valore aggiunto procurato dal lavoro umano. Esso è poi scoperta della propria dignità, incontro e di crescita umana attraverso la quale ciascuno di loro partecipa a un contributo concreto della propria dignità, e dà un contributo all'ed pace. Anche in quest'ambito è perciò necessaria maggiore cooperazione tra tutti gli attori a livello locale, nazionale, regionale e globale, specialmente nel prossimo periodo, con la riconversione, una sfida posta dall'auspicata ecologica. Gli anni a venire saranno un tempo di opportunità per lo sviluppo di nuovi servizi e imprese, per adattare quelli già esistenti.
Il profeta Geremia ricorda che Dio ha per noi «progetti di pace e non di sventura, per concederci un futuro pieno di speranza» (29,11). Non dobbiamo perciò temere di fare spazio alla pace nella nostra vita, coltivando il dialogo e la fraternità tra di noi. Il ritmo è un bene “contagioso”, che si propaga dal cuore di quanti lo desiderano e ambiscono a viverlo, raggiungendo il mondo intero. A ciascuno di voi, ai vostri cari e ai vostri popoli rinnovo la mia benedizione e augurio più sentito di un anno di serenità e di pace. Grazie!».
Foto: Vaticano


Fonte: Redazione